La scorsa settimana sono finalmente riuscita a mettere piede a una mostra a cui tenevo molto: Ferenc Pintér, l’illustratore perfetto, allestita fino al prossimo 22 aprile nei nuovi spazi del MEF outside, a Torino, in via Juvarra 13.

Ammetto con il candore di chi scopre cose nuove e si arricchisce, accrescendo conoscenze e punti di vista, che prima di questa mostra non avevo mai sentito parlare di Ferenc Pintér, e forse è lo stesso per qualcuno di voi che sta leggendo queste parole: in tal caso ne sarei felice, significherebbe diffondere la conoscenza di un personaggio – un artista – che con molta probabilità già avete presente attraverso qualche sua opera, ma non siete al corrente del fatto che l’autore è proprio lui.

Il Museo Ettore Fico (MEF) è un museo privato torinese che si occupa di arte contemporanea, moderna, e di illustrazione e grafica. L’anno scorso infatti, nella primavera del 2017 avevo avuto l’occasione di scoprirlo grazie a una bellissima mostra su Bruno Munari, un maestro dell’arte e dell’illustrazione dell’ultimo Novecento. Sullo stesso tema – l’illustrazione – è tornato con questa mostra ospitata nei recenti nuovi spazi della sezione “Outside”, piccolini, ma più facilmente raggiungibili in pochi minuti a piedi dal centro.

Ma torniamo a Pintér, del quale come dicevo nulla sapevo prima di leggere il comunicato stampa e questa frase: “Ferenc Pintér nasce ad Alassio nel 1931 da madre italiana e padre ungherese”. Alassio? Ma Alassio è vicino a casa mia, in Liguria, possibile che il MEF dedichi una mostra a un artista nato ad Alassio? Informarmi, con due click, è stato un attimo. Ho così scoperto che Pintér era in effetti poco legato ad Alassio, se non per una nascita italiana che lo riportò qui, dopo gli studi di arte applicata in Ungheria e l’avvio della carriera di grafico, nel 1956. Profugo, dopo la rivoluzione nel suo paese, deve ricominciare tutto da capo, ed è così che nel 1960 trova posto in Mondadori, come grafico.

Eccola, la seconda molla che mi ha spinta a incuriosirmi a questa mostra: un grafico che ha lavorato per l’editoria? Quali opere potranno mai essere esposte? Ancora due click, e l’oscurità è sparita, lasciando posto a qualche immagine di Pintèr. Ma allora è lui! È stata la stupita conferma non appena scoperto qualche lavoro dell’artista. La sola locandina della mostra sarebbe bastata, perché si tratta de Il mio amico Maigret, copertina – opera su tempera – che ritrae l’inconfondibile figura del commissario di Simenon su una spiaggia, l’immancabile pipa, una barca e una conchiglia. Un po’, sarò sincera, ci ho ritrovato anche i colori dell’estate di Alassio. Ma soprattutto, ho sorriso perché immediatamente, senza ulteriori intermediazioni, avevo capito di conoscere già Pintér, e di aver stretto con lui antichi legami di amicizia lontanissimo da ogni museo, semplicemente sulla copertina di decine e decine di libri, alcuni dei quali miei, altri ereditati dai miei genitori in tipiche edizioni Oscar Mondadori di tempo fa.

Ci sono scrittori che non accettano in copertina nient’altro che un disegno di Pintér. È l’uomo che ha reinventato (o forse inventato) la copertina italiana. Ferenc Pintér era un uomo che attraverso il proprio lavoro raccontava se stesso e il proprio mondo; le cose che aveva vissuto, ed erano molte. Anche tutto ciò che aveva letto, sfogliato, ascoltato, assorbito in ogni modo possibile [Antonio Pintér]

Oscar, Omnibus, Saggi: centinaia di opere, centinaia di copertine progettate e realizzate in più di trent’anni per Mondadori. Intere collane firmate Pintér. E una mostra che, in modo per me geniale, porta alla ribalta il nome e il percorso di un autore che, probabilmente, è stato almeno una volta sotto gli occhi di tutti, tra scaffali di libreria, forse edicole, e biblioteche, e case di amici, e cumuli di libri in sale di aspetto. Perché di libri economici, per lo più, si tratta: ecco dunque spiegata la diffusione delle opere dell’artista, rimasto ai miei occhi uno sconosciuto, anche se molto noto attraverso le sue copertine, fino a oggi.

Questa strana dinamica, un po’ paradossale, che forse è solo conseguenza di una mia ignoranza – e del fatto di non leggere quasi mai il colophon con le indicazioni sulla realizzazione di tutto l’apparato paratestuale del libro – mi ha inevitabilmente acchiappata, e si è sommata al fatto, di cui finora non ho parlato, che io quei disegni di copertina li ho sempre adorati. Ho una collezione vastissima di Oscar Mondadori di Agatha Christie, compagni di anni di letture ghiotte e appassionate, e solo oggi ho scoperto che sono di Pintér. E ho letto decine e decine di inchieste di Maigret immaginando questo personaggio immortale, un po’ fumoso, un po’ inventato, un po’ anche Gino Cervi, che credo ne abbia segnato l’immaginario come solo Luca Zingaretti sta facendo con Montalbano.

Perché si sa: leggere è bello perché non tutto è detto, i personaggi possiamo immaginarli noi, dipingerli sulla base di un paio di suggestioni e farne un ritratto che probabilmente non ha niente a che fare con il pensiero dell’autore. È questa, la bellezza. Ed è questo, che Pintér sa. Al contempo, con uno stile che io, digiuna di storia dell’arte e storia della grafica moderna, non so definire ma la cui voce colgo in pieno, e saprei esteticamente distinguere da altre mani, credo che Pintèr attraverso le tantissime copertine sia riuscito a segnare lo stile e l’immaginario di un’epoca. Quegli Oscar, quelle collane editoriali, erano così, erano loro e dovevano esserlo. Oggi sembra inevitabile, ma probabilmente quando uscivano questi libri avevano un appeal tutto loro, ognuno diverso e nuovo, ognuno però legato ai precedenti, dentro – appunto – una collana che aveva un profilo ben delineato, e insieme alla qualità di autori e storie proponeva anche uno stile grafico di sicuro successo commerciale. Un ritratto del tempo, insomma, di una fetta di storia dell’editoria.

È insolito poter godere di una mostra dove le opere sono a tutti gli effetti prodotti artistici, e dove tuttavia sono anche parte importante di un immaginario legato alla grande editoria del secolo scorso, quella (anche) commerciale, quella che con gli Oscar Mondadori permise al meglio della letteratura di viaggiare su comodi e agili volumetti a prezzi economici, che hanno riempito le case di molti, dando respiri, scenari e impulsi all’immaginazione. Il MEF ha avuto l’idea potentissima e attuale di aprire una possibilità di dialogo tra la qualità dell’opera di Pintér, evidente dai bozzetti in mostra e dalle prove di copertine, una più bella dell’altra, e il mezzo su cui questo artista si è espresso. Non tele, isolate e singole, ma libri, e non libri d’arte, rari e pregiati, ma libretti economici e diffusissimi.

L’opera di Ferenc Pintér stupisce e lascia ammirati oggi come ieri, per la qualità e la versatilità dei suoi linguaggi. Per quarant’anni le sue copertine, le sue illustrazioni e i suoi manifesti hanno contribuito ad affinare il gusto degli italiani, il suo lavoro, tutto di altissimo livello, e di tale quantità che è difficile non trovare in ogni casa italiana un libro con una copertina creata da lui. Moltissimi lettori ricordano quelle straordinarie di Maigret, di Pavese, della Deledda, degli Oscar: solo un numero decisamente inferiore le collega al nome dell’artista che le ha realizzate. Pintér affrontava ogni lavoro cn il medesimo impegno e la stessa imprescindibile regola prima di soddisfare il committente doveva soddisfare se stesso. Solo così riusciva a consegnare all’editore un prodotto di prim’ordine in cui convivevano stile tecnica e invenzione [Santo Alligo]

Questa mostra, e l’idea che ne è alla base, mi è piaciuta tantissimo. Perché le copertine dei libri, specialmente quelle che hanno contraddistinto progetti ben solidi, e intere collane (e a questo proposito ricordo anche le copertine di Munari per la Mondadori Ragazzi: chi se le dimentica, quelle di Gianni Rodari?) sono una delle espressioni più vivide del nostro tempo, quello della comunicazione di massa che tanto ispirò Umberto Eco, quello della riconoscibilità del prodotto a fini commerciali, quello dove in tutta questa dinamica comunicativa riesce a innestarsi lo sguardo personale di un artista. Perché Pintér è tale: un grafico, sì, che disegnava le sue tempere e che forse per anni è stato ritenuto più un tecnico che un autore. Ma anche la penna dietro un tratto inconfondibile, sempre sospeso, quel tanto da dare un’idea precisa ed evocare tutto il resto, invogliando ad aprire il libro per scoprire la storia. Una storia che sì, come in tutta l’editoria si trasforma in un prodotto, ed è venduta, forse smaliziata, per questo, forse più terra terra dell’arte cui si dedicano le grandi mostre, quelle che riuniscono pochi sparuti estimatori, tutti appartenenti a ceti sociali prediletti. Eh sì, quella di Pintér sarà industriale, di massa, di grandi numeri, ma avendo reso intramontabili un sacco di copertine, e con loro autori e storie, immaginari e atmosfere, resta in ogni caso un’arte.

Ho cominciato a leggere Maigret quando ho fatto la prima copertina e poi li ho letti quasi tutti (…) Mi insospettiva la produzione industriale di Simenon, ma poi ho cambiato idea perché mi sono accorto che pochi come lui sanno raccontare una storia e dare un’anima ai personaggi utilizzando pochi elementi essenziali [Ferenc Pintér]

Penso che questa citazione sia perfetta anche se riapplicata allo stesso Pintér. Pochi elementi, essenziali: il tratto, le sagome, i colori, la tempera. E così eccoli, Grazia Deledda, Cesare Pavese, Fruttero e Lucentini, le serie di Maigret, Agatha Christie, ma anche i progetti di Pinocchio, Moby Dick, il Decamerone. Tutte le copertine di questo artista sono uniche, si distinguono alla prima occhiata. È stato sorprendente scoprire il nome, la mente e la mano dietro quadri in abitavano mondi letterari che da sempre ho frequentato. Un’impronta unica, la sua, uno stile che ha vestito autori e intere serie, facendoli apparire nitidi, distinguendoli e conferendo loro un’immagine che, ancora oggi, resta forte e identifica autori, voci, narrazioni e colori letterari. Dalle copertine di Pintér, attraverso le magiche vie della fantasia e le declinazioni estetiche a cui da bravi spettatori e (per qualcuno) abitanti del Novecento abbiamo imparato a farci suggestionare, interpretando segnali ormai parte della nostra enciclopedia (in senso echiano: l’insieme delle nostre competenze intertestuali), capiamo già quale sarà il sapore dell’opera. Entriamo in sinergia totale con Maigret, eccolo là, commissario parigino tanto particolare e unico da essere rappresentabile in pochi abili tratti, senza che nemmeno l’espressione del viso abbia a intaccare un’ombra che già intuiamo, e che completeremo, appagati, scartando il sipario della copertina e sprofondando nell’opera.

Un disegno di Pintér si riconosce al volo ma è impossibile ricondurlo a una maniera. Aveva la (…) capacità di interpretare molteplici registri lo rendeva permeabile anche allo stile di un autore, le sue copertine erano quasi una incarnazione (…) della scrittura [Domenico Rosa]

Non solo copertine, in mostra, ma anche campagne pubblicitarie (buffissima quella anni ’50 per la Coca Cola), e manifesti politici, che riportano all’epoca della Perestroika, alle lotte contro il dominio sovietico. Ci sono addirittura, tra una copertina e l’altra, di testi della letteratura italiana e straniera, tarocchi e fiabe, a indicare un talento davvero poliedrico. Passo dopo passo, sorriso dopo sorriso tra un’opera e l’altra, scopro che Pintér si è spento nel 2008 e che dunque oggi ricorre il decimo anniversario della sua scomparsa. Ecco perché la saggia scelta della mostra, di cui ancora una volta mi stupisco: come ho fatto a stare fino a oggi senza sapere che quelli erano i disegno di uno dei più famosi illustratori del Novecento, tra le voci più complesse e creative d’Europa? Immaginario collettivo, ecco cosa sono ormai, oggi, questi lavori. 150 opere, in mostra, tra tavole a colori, schizzi in bianco e nero, chine e layout: si entra dentro un’officina, e nel mondo un artista che, con questi strumenti a servizio dell’editoria ha saputo entrare nelle case degli italiani, e costruirsi una nicchia inconfondibile. Sì, lo so, io parlo da librofila e appassionata, e in modo quasi istintivo voglio bene a quegli Oscar Mondadori di cui oggi conosco anche l’autore delle copertine, ma credo che in fondo, come lettura data per assodata, depositata nella memoria quasi genetica alla stregua di una lettura sul sussidiario delle elementari, anche alle persone non librofile come me i lavori di Pintér siano familiari. Perché

Pintér aveva la capacità straordinaria di rendere visibile l’invisibile, di realizzare immagini essenziali dall’impronta possente, che segnavano il libro fin dalla copertina, conducendo il lettore dentro lo scenario della storia che avrebbe vissuto [Vincenzo Mollica]

E dunque vi consiglio davvero vivamente di andare a visitare questa mostra, e magari di riscoprire tra scaffali impolverati i silenziosi Pintér che abitano casa vostra senza che non ve ne siate mai accorti!

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!