Che estate sarebbe senza mare? Difficile immaginarlo in un paese come l’Italia: oltre ottomila chilometri di costa e un susseguirsi di paesi, litorali, paesaggi e civiltà. C’è l’estate vivace della Versilia, quella tutta colori pastello di Varigotti, quella affollata di Riccione e quella sorprendente della Riviera del Conero, quella metropolitana di Ostia, c’è l’estate isolana, nelle sue tante sfumature, quella di scogli e quella di sabbia, quella di cemento ai bordi della città, quella della spiaggia selvaggia, da conquistare. E poi ci sono le persone che quelle estati e quelle spiagge italiane le popolano: balneari, bagnini, gelatai, venditori di angurie e pescatori, baristi e camerieri, affittacamere e turisti italiani, avvezzi, magari proprietari di una seconda casa, oppure stranieri, non solo rispetto ai confini nazionali ma a quelli regionali. Ogni regione, ogni tratto di mare, ogni posto, qui, è un microcosmo.

Un ventaglio di umanità sempre uguale a se stessa, o forse no, sempre uguale a una società che però muta nel tempo, e che nell’arco degli ultimi 50 anni si è trasformata insieme al modo di abitare e vivere quelle spiagge, di considerare la vacanza al mare, di concepire i territori e il loro respiro. In alcuni luoghi più che altrove, vuoi i giri di vento della cultura, il sedimento di anni di amministrazione di un certo tipo, le aspettative della gente, sia degli abitanti che dei villeggianti.

La casualità mi ha portata a scoprire due reportage commissionati da testate giornalistiche dedicati alla scoperta delle coste italiane. Uno lo conoscevo da tempo, è “Tutti al mare” di Michele Serra, uscito per Feltrinelli nel 1986, un mese fa ho scoperto per puro caso che ne esisteva uno antecedente, firmato da Pier Paolo Pasolini: “La lunga strada di sabbia”, datato 1959. Li ho letti e riletti, associati, ho riscontrato alcuni punti di contatto, e poi ho iniziato a indagare se anche ad altri, nel tempo, fosse venuta l’idea di percorrere in auto tutto il lunghissimo litorale italiano pressoché infinito, da Ventimiglia a Trieste. Sorpresa, ho scoperto che proprio gli ultimi anni sono stati molto prolifici: esiste un reportage spiccatamente giornalistico che percorre lo stesso itinerario nel 2018, e poi esiste un libro, che romanza il tutto con la voce narrante del cantautore Giovanni Truppi, un’esperienza peculiare perché svoltasi in camper, nell’estate pandemica del 2020.

Come mai l’idea del reportage tra le coste italiane piace così tanto e continua a raccontare cose di noi, del nostro paese e del nostro modo di divere da 50 anni? Me lo sono chiesta, e analizzando queste quattro esperienze ho provato a darmi qualche risposta.

La strada delle spiagge di Pasolini

1959, Pier Paolo Pasolini, a bordo di una Millecento Fiat che guida personalmente, intraprende un viaggio lungo le coste italiane da Ventimiglia a Trieste. Il viaggio gli è commissionato dalla rivista “Successo” che pubblicherà il suo reportage in tre puntate (4 luglio, 14 agosto, 5 settembre) con le foto di Paolo di Paolo: “La lunga strada di sabbia”. Una commistione tra idea giornalistica che avrà molte repliche e trasformazioni ma manterrà il suo cuore e il suo senso, e racconto, storia letteraria. Stiamo del resto parlando di Pasolini, un Pasolini forse anche un po’ leggero e frizzante in questo lavoro, sicuramente godibilissimo. Il suo paesaggio italiano costiero ed estivo è, per l’appunto, proprio e solo il suo: ha la targa della sua Millecento, l’ombra della sua penna, il profilo del suo sguardo. E ci racconta un’Italia che oggi sembra distantissima, ma che in fondo è sempre e ancora lei, proiettata 50 anni indietro. La Genova industriale, il caos di Roma (dove, peraltro, Pasolini arriva in macchina niente meno che con Elsa De Giorgi, attrice e intellettuale, storica amante di Calvino) Ischia e la sua folla di vip con cui ricordarsi di fare il cronista mondano, e poi il grande sud da esplorare, il fascino della Sicilia  e, risalendo, l’Adriatico già turistico e come tale de-formato. Antropologie lungo le coste italiane, in pratica.

Prendiamo per esempio la costa calabrese lungo la quale Pasolini incontra Cutro. Ci furono anche polemiche legate a ciò che scrisse di questo che, secondo lui, era davvero un posto di banditi. Rileggerlo oggi fa riflettere due volte. La prima sull’aria da posto di banditi di un paesino calabrese alla fine degli anni Cinquanta: probabilmente Pasolini aveva ragione, e l’arretratezza di quella terra, in quegli anni, misurata sul racconto del turismo balneare con tanti chilometri alle spalle, doveva risultare evidente, solida. La seconda è la riflessione su Cutro: un luogo che oggi, nel 2023, ci è noto per la tragedia dei migranti. Oggi le nostre spiagge sono diventate anche questo, e chissà come avrebbe riflettuto sul tema Pasolini, che si trovò a viaggiare e osservare l’identità e i tratti culturali di questo posto.

Con il reportage di Pasolini emerge infatti un tratto che sarà comune a tutti i lavori anche successivi sulle coste dell’Italia: il racconto delle identità. Avviato da “La lunga strada di sabbia”, questo percorso di esplorazione raggiunge, per il mio gusto personale, l’apice con lo sguardo acuto di Serra, e con la sua resa in forme sempre puntuali e al contempo ironiche, ma è anche interessante tirare fuori un filo comune che snocciola perle italiane dalle storie del Corriere, e sotto traccia, ma con solidità, questo notare e meditare attraverso la scrittura sull’Italia che cambia mille volti lungo i suoi litorali definisce anche la struttura del libro di Giovanni Truppi.

Per raccontare l’Italia e la sua antropologia, insomma, ci vuole uno sguardo particolare, e io credo che Pasolini fosse e sia stato il personaggio migliore al quale affidare per la prima volta l’esperimento. Chissà quanto di lui, consapevolmente o meno, è passato in ciascun reportage basato sulla stessa sfida vacanziera. Pasolini parte a giugno dalla frontiera di Ventimiglia, ed è una vera frontiera nel 1959, ci sono ancora le guardie. Ventimiglia è solo scogli e frontiera, il seccume del Rio San Luigi, che sta sul confine. Ed è subito Sanremo, ovvero il Casinò, dove Pasolini entra ed esplora. Esplora molto attentamente, perché dice che i croupier sono gente come bagnini  e pescatori, gente del luogo, umile, “si sente che pensano in sanremese” mentre parlano francese ai giocatori.  E poi, ancora, solo Riviera, dove i nomi – c’è da commuoversi, io penso – a Pasolini risuonano per la corse ciclistiche. La tappa successiva è Alassio, Pasolini ci passa, il tempo di scrivere che è “una matrice di alberghi protesa sul mare” e già ne ha disegnato il carattere.

Del brulichio della spiaggia coglie la voglia di esserci, a godersi un ideale di estate (e per capire bene questa sensazione io ripenso e rimando a “La memoria del cielo” di Paola Mastrocola, dove le vacanze al mare dei torinesi si svolgono proprio in quegli anni, proprio in Liguria), a fare le persone felici. Le parole di Pasolini sono il pregio di questo reportage: ogni località toccata è penetrata dallo sguardo dello scrittore che sapientemente mescola le informazioni giornalistiche di contesto e ciò che vibra sotto la sabbia e gli scogli, lo spirito del luogo, con la sua tempra, le sue sensazioni. Tra cartoline liguri e spiagge prestampate nella memoria adolescente della riviera romagnola, Pasolini è stregato dal sud, al quale dedica il cuore del reportage. “Solo, con la mia millecento e tutto il Sud davanti a me. L’avventura comincia”. Che Truppi abbia dato il titolo di “L’avventura” al suo reportage potrebbe avere dei legami con questo slancio con cui Pasolini si fa non più e non solo giornalista ma esploratore, reporter, appunto. Di fatti che gli accadono, circostanze del viaggio, incontri casuali e altri cercati ai fini del lavoro per il giornale, del freno dell’auto rotto, della fuga in spiaggia a Siracusa con la sua amica attrice, della difficoltà di trovare un posto dove dormire, delle persone, del clima che si respira sulle spiagge d’Italia da giugno ad agosto, da Ventimiglia al suo Friuli con Trieste, dove finiscono l’Italia e l’estate.

Mi aspetta qualcosa di stupendo: quello che si aspetta quando si è ragazzi, il primo giorno di villeggiatura, e si ha davanti un’estate eterna […] mi sembra di avere alle spalle un viaggio omerico. Vorrei scriverne, se fossi capace, solo per quel lettore che non si è mai mosso dal suo paese, dalla sua cittadina, se non per brevi viaggi nella sua provincia, e sogna Capri, sogna Ischia, come li ho sognato io, ragazzo. Ma mi occorrerebbe un libro, perché non è successo niente: sono successe solo quelle cose che appartengono solo alla vita, e muoiono dopo cinque minuti.

Michele Serra e il viaggio nell’estate italiana

1985, un diario di viaggio lungo le coste italiane, da Ventimiglia a Trieste, “da dettare in presa diretta durante tutto il mese d’agosto, un articolo al giorno”. Alle prese con fretta, varietà di situazioni, quantità di lavoro, e con una Panda 4×4 offerta da Fiat, sponsor del viaggio. Questo aveva davanti Michele Serra presentando il suo progetto all’”Unità”, per cui allora lavorava. “Pur di riempire i giornali, in agosto, si è disposti a tutto”, chiosa Serra nell’introduzione a quello che è diventato il libro che raccoglie quegli articoli, pubblicati in forma di volume esattamente come uscirono sul giornale. C’è da dire che ha ragione: il funzionamento dei giornali in agosto, nonostante gli enormi cambiamenti in corso con il digitale, è ancora molto legato all’ideale delle ferie italiane: tutto si ferma ad agosto, bisogna inventarsi le notizie. Ecco allora l’idea del giornalista: proporre pezzi caratterizzati dal forte taglio personale, in soggettiva. Serra nell’introduzione si domanda se siano ancora notizie, o no. Ed è questa la parte di lavoro che mi ha stuzzicato: “Tutti al mare” è un racconto, sì, ma è insieme anche uno spaccato italiano. Anche Pasolini aveva fatto la stessa operazione?

Serra condensa il tutto nel mese di agosto, quello esclusivo delle ferie e macina chilometri, vite, interviste, incontri, ma soprattutto sguardi e considerazioni che mescolano alla soggettività anche un insieme dei tratti di italianità incontrati lungo le coste. Tratti tipici del loro tempo, al lettori di oggi questo appare evidente, come però appare evidente che siano ancora alcune di quelle sottolineature di Serra a caratterizzare il nostro mondo litoraneo italico, nel bene e nel male. Insomma, ho trovato il lavoro di Serra molto più giornalistico delle cronache di Pasolini, che hanno dalla loro una maggiore letterarietà, qualche volo maggiore dell’animo. Il giornalista dell’”Unità” invece resta una schiena dritta, da quando denuncia la pessima accoglienza al museo dei Balzi Rossi di Ventimiglia, a quando osservando le coste calabresi e pugliesi non si tira indietro a descrivere gli scempi edilizi. La verità, proprio come sul giornale, uno stato dell’arte del Paese e delle sue coste che non cerca romanzesco né narrazione né afflati: viaggia, osserva, riporta. Con smaccato piglio ironico, ritmo pungente e quel pizzico di empatia che non guasta a far amare un paese che a volte sembra andare a rotoli da decenni.

Tra i reportage delle coste italiane, questo è dunque un lavoro prettamente giornalistico. Le tappe sono fatte della stessa sostanza di quelle che saranno le puntate scelte dal Corriere: analisi del territorio, approfondimenti laddove possibile, interviste, conoscenze, incontri. Serra stesso si interroga sul valore giornalistico del suo lavoro. Nell’introduzione scrive che “forse il giornalismo è proprio questo: dare una forma, una delle infinite forme possibili, al magma straripante della realtà. Quella forma è la scrittura. La notizia è la scrittura”. Trovo queste osservazioni preziose per capire innanzitutto che cosa può essere un reportage, specie uno di questo tipo, ammantato di leggerezza estiva (ma le osservazioni di Serra lungo il percorso non sempre sono leggere, come dicevo sopra), e poi per il valore enorme dato alla scrittura. Viaggio, visione, scrittura: riportare sulla pagina (dettare al telefono, all’epoca era così) ciò che si è filtrato dalle realtà vissute e conosciute, ben consapevoli che si tratterà solo di una piccola selezione. 

Anche Serra parte da “casa mia”, e di Ventimiglia dà un ritratto veritiero, sottolineando alcune cose che non vanno, ma anche le bellezze, aspetto che resterà costante per tutto il viaggio. Non è poi, del resto, ciò che facciamo anche noi, abitanti o turisti di località? Un viaggio come quelli degli italiani in ferie: in auto, su strade intasate tra effluvi di benzina, tra contraddizioni e stridori italici, tra evocazioni della spiaggia e sedicente cultura turistica che a volte se ne frega della cultura anche antica del luogo. Il filo conduttore di questo viaggio appare come l’onnipresente dialettica tra bellezza e scempio, che sempre e da sempre caratterizza il nostro mare. Che, pure, resta sempre il nostro mare del cuore, anche di quello di Michele Serra. Si legge proprio da Ventimiglia, partendo per il viaggio:

Alla partenza sono sostenuto da un’unica certezza: che il mistero più affascinante di questo viaggio sarà, appunto, quello relativo alla frase di cui sopra […] di chi sarà mai la competenza? Di chi la responsabilità di tutto? dello scempio edilizio, dell’inquinamento, dei prezzi alle stelle, della privatizzazione selvaggia delle spiagge, del cinismo predatorio con cui l’uomo si accosta alla natura? E come farà, nonostante tutto, questo paese di gentili e fantasiosi incompetenti a reggere l’onda d’urto di decine di milioni di turisti, senza per giunta disgustarli più di tanto dal momento che l’anno seguente tornano quasi tutti?

Il lunghissimo lungomare del Corriere

Estate 2018, “Sette” del “Corriere della Sera” lancia un’iniziativa tutta estiva che ricalca le orme del fu viaggio di Pasolini e, diciamocelo, un po’ copia l’idea di Michele Serra, non fosse altro per lo spiccato piglio giornalistico che, vista la cornice che ospita la narrazione del viaggio per le coste italiane, si rivela la chiave più adatta a una testata autorevole. “Il Lunghissimo lungomare” è l’iniziativa che lungo tutta l’estate di quell’anno il Corriere propone su Sette, il suo settimanale, e online. Si parte il 28 giugno e si finirà con la fine dell’estate, almeno idealmente: il 30 agosto. Anche questa volta il viaggio procede per tappe e anche questa volta (chissà perché) la partenza è alla Porta Occidentale d’Italia, Ventimiglia.

Alcune sono le differenze rispetto ai reportage di cui ho parlato sopra. La più palese: gli articoli non sono stati raccolti in un volume. Si tratta infatti di pezzi nati con tutta probabilità come progetto di contenuti estivi: come diceva Serra nella prefazione al suo libro, occorrono idee e si è a volte disposti a tutto per riempire le pagine dei giornali ad agosto, quando in effetti i colleghi in redazione latitano, la politica latita, e salvo rari casi che danno ossigeno ai cronisti sconsolati, anche i fattacci sembrano sparire. Come contenuti estivi, però, quelli del “Lunghissimo lungomare” si adattano ai tempi e dunque propongono sì un racconto narrato, scritto (uscito sulle pagine di “Sette”) ma anche e soprattutto dei contenuti digitali come video, che ritraggono l’autore del pezzo e qualche intervistato, in genere sindaci, personaggi, esperti di vario tipo. Parlo di autori del pezzo perché l’altra sostanziale differenza di questa iniziativa di narrazione delle spiagge italiane in estate rispetto agli altri reportage di cui parlo è che si tratta di un racconto corale. Una “staffetta”, così la definiscono su “Sette”, di 34 giornalisti, quattro fotografi e un videomaker, da Ventimiglia a Trieste.

L’impianto dell’iniziativa, va da sé, è profondamente diverso: non c’è il viaggio unico, il lungomare da Ventimiglia a Trieste per intero, insomma, con le sue considerazioni che si alimentano di confronti e paragoni, con la possibilità di unire puntini e tracciare rotte oltre il confine della singola “tappa”.  L’aspetto bello è che, così impostato il lavoro, siamo davanti a una serie di storie definite con una rotondità più lavorata rispetto al viaggio in auto di Pasolini e Serra: il giornalista ha avuto tempo di cercare, di parlare, di esplorare un po’ di più un piccolo mondo.

Anche in questo caso propongo l’esempio di casa mia, il cui litorale conosco meglio. È la prima tappa anche qui, perché Ventimiglia-Genova costituisce la prima puntata dell’iniziativa del “Corriere”. A raccontare questo tratto di costa ligure è il direttore, Luciano Fontana.

 Lasciare Ventimiglia e percorrere l’Aurelia in direzione di Genova è la prova di quanto la vita quotidiana sia complicata in questo pezzo d’Italia  – scrive Fontana, e già dice tantissimo con una riga, dice praticamente tutto, sentite qui – Si passa continuamente da un borgo a una cittadina: Sanremo con i suoi hotel famosi e un casinò che fatica come tutti gli altri nel resto d’Italia. Albenga, con i suoi fiori recisi insidiati pesantemente dalle produzioni dei Paesi in via di sviluppo, che ha trovato nelle piante in vaso la sua nuova vocazione. Alassio con i vecchi ricordi di cinquanta anni fa quando Mario Berrino, proprietario del Caffè Roma, inventò il Muretto sui vicini giardini di piazza della Libertà con le piastrelle in ceramica, con i nomi di personaggi famosi della cultura e dello spettacolo.

C’è la stessa strada affollata di Michele Serra, la stessa decadenza di un turismo ormai trascorso, come notava lui, e c’è il Casinò di Pasolini, e poi il buco enorme di tutta la Riviera dei fiori per scavallare là dove pulsa il turismo da copertina, e sbucare ad Alassio. Tutti, in buona sostanza, tralasciano le spiagge di casa mia, attirati come mosche dai lampeggianti lettini e stabilimenti dei luoghi che già nel 1959, all’epoca del viaggio di Pasolini, erano punti significativi. I motivi, probabilmente, sono cambiati molto, così come ciò che è possibile osservare.

Un altro cambiamento avviene in questo lavoro giornalistico del 2018, perché Ventimiglia è pur sempre, nei decenni, la frontiera. Una frontiera in cui, da un po’, il tema caldo sono i migranti, evidente la loro presenza, pesante la gestione di una frizione che avviene proprio lì, a Ponte san Luigi, il luogo menzionato da tutti i protagonisti di questa mia escursione tra i reportage estivi dedicati alle spiagge italiane. Nel reportage di Luigi Fontana del 2018 compare il problema dei migranti: li vediamo nel video che accompagna il pezzo (qui c’è la rima puntata del viaggio del Corriere a Ventimiglia, e vediamo il giornalista dialogare con l’allora sindaco Enrico Ioculano, di cui trovate su questo blog un’intervista che gli avevo fatto più o meno nello stesso periodo. Quello fu infatti il periodo più intenso, delicato e complesso della gestione migranti al confine. Un confine, però, che ha una storia lunga e sfaccettata, un micromondo di cui Pasolini, Serra, Fontana colgono tante schegge, ma mai – non c’è spazio, ed esula dal loro lavoro – l’integrità. È sufficiente mettere insieme però questi tre racconti snocciolati in 50 anni esatti per costruirsi una qualche idea di Ventimiglia come confine sensibile. Sul tema, non può che tornarmi in mente ”Confini”, di Mauro Suttora, un saggio meraviglioso che è un po’ un viaggio sui confini d’Italia, e parte guarda caso anche lui da Ventimiglia per poi prendere la strada delle Alpi e viaggiare in montagna lungo tutto l’arco alpino, fino a Trieste, pensa un po’ la coincidenza!

L’avventura di Giovanni Truppi

E poi arriva il 2020 con la sua strana, stranissima estate, Giovanni Truppi decide di testare un’avventura che diventerà un libro. Un romanzo, o meglio un reportage di viaggio, ma un reportage narrativo, perché Truppi di mestiere non fa lo scrittore propriamente detto anche se scrive canzoni, non fa il giornalista, fa il musicista. Infatti lungo il tragitto suona anche. Possiamo immaginare il suo come il racconto di un lungo tour che mette insieme date preziose in un anno in cui concerti e appuntamenti classici sono completamente stati stravolti. “L’avventura”, pubblicato da La nave di Teseo, è appunto la narrazione di un’avventura in viaggio.

Le caratteristiche? Il percorso, sempre da Ventimiglia a Trieste. E due dati nuovi: un camper, usato per sportarsi con tutto l’equipaggiamento per il tour e un accompagnatore, Giovanni, anzi una serie di personaggi che lungo tutto il lungo viaggio andranno e verranno per condividere momenti, luoghi e chiacchiere con la voce narrante, che è proprio Truppi stesso. La partenza, a dire il vero, non avviene con l’auto già pronta alla frontiera: il camper scivola da Milano verso le Alpi Marittime per sbucare, stupefatto dalla ruvida bellezza della Val Roja, sul mare di Ventimiglia. E qui c’è la prima tappa: niente di veloce e rapido, puntuale come nei precedenti esempi. Truppi ha, di nuovo, il fatto di soggiornare, vivere, trascorrere del tempo nei luoghi. Cosa che probabilmente è stata fatta anche da tutti gli altri, ma la cui narrazione non è rientrata nei progetti. E dunque “L’avventura”, complice forse anche il nome – un’avventura non è fatta di momenti e situazioni? – colma questa lacuna e, così facendo, porta il lettore a vivere un po’ di più i luoghi seguendo le tracce dei viaggiatori per le coste italiane. C’è quindi il lungomare di Ventimiglia (prendo sempre questo esempio, tra i tanti italiani, perché è la partenza e perché è il “mio” mare), ci sono i migranti, di passaggio e senza troppe riflessioni crude né dita giornalisticamente puntate a fare da faro. Fatti, osservazioni di un musicista in tour che cerca di sbocconcellare pezzetti di città e luoghi dove transita. E così facendo, ne restituisce un pezzo pulsante fatto di storie piccolissime eppure determinanti nel disegno globale dei posti, intrecciato di momenti, sensazioni anche, persone vive in un’Italia spesso provinciale.

Ecco, c’è proprio quell’Italia lì nel libro di Truppi: l’Italia piccola, la vita minima e dimenticata, i luoghi delle spiagge nel paesaggio che cambia come cambiano i chilometri dalla partenza ligure e la strada aumenta, la rosa dei volti incontrati tra interviste, concerti e momenti di svago si fa vasta, accoglie tante sfumature differenti. Ciascuno porta un pezzetto di sé, un pezzetto di un litorale italiano: campeggi, locali chiusi, bar e colazioni, alberghi, posti dove suonare, spiagge affollate e altre desolate. I ricordi dell’infanzia: ognuno ha un mare nella memoria bambina, anche Pasolini parlava del suo, e si stupiva dei cambiamenti che aveva riscontrato già nel 1959.

Ma qui siamo nel 2020, il mondo è appena stato scosso dalla pandemia e il virus riecheggia tra attenzioni, distanziamenti, mascherine. Tutti sono fotografati in una danza della ripresa che sa a volte di stupore e di prime volte, come se le coste italiane si risvegliassero dopo una stagione saltata. Indubbiamente il viaggio di Truppi ha la godibilità di un racconto personalissimo e filtrato da osservazioni che, pur pescando nella quotidianità e narrando gli episodi anche piccoli di un viaggio, riescono a restituire la cifra totale delle famose identità dei litorali italiani di cui parlavo prima. Emblematica è la sensazione che, passando da Lazio a Campania, qualcosa cambi: alla vista, sì, ma anche forse antropologicamente, nelle modalità, nelle sensazioni. Tutti noi, in vacanza al mare in Italia, abbiamo forse vissuto momenti del genere: la sensazione di vivere qualcosa che ci appartiene quasi per DNA, la famosa “estate italiana” fatta di mare, buon vivere, scemenze e ghiaccioli, partire a calcio balilla e passeggiate avanti e indietro sui lungomari. Eppure ogni luogo ha il suo spirito che lo identifica come quello e non un altro, e lo sappiamo cogliere dai dettagli. Sì, ma quali dettagli?

Che cosa abbiano in comune e cosa no, tutti questi lungomari, da Ventimiglia a Trieste, è la calamita che tiene insieme i reportage estivi da Pasolini a Giovanni Truppi. Con piglio letterario, giornalistico, da reporter e da semplice narratore in viaggio, tutte le voci narranti hanno il pregio di aver colto dettagli, contraddizioni, conversazioni, visioni e cartoline di quello che è un mondo in costante ridefinizione con la contemporaneità ma, chissà perché, richiama da sempre l’idea delle vacanze, solida e certa. Vacanze italiane, in qualsiasi punto degli ottomila chilometri di coste, vacanze a casa nostra, dove gli stranieri godranno di tutto il bello e si stupiranno di tutto il brutto, ma dove non coglieranno forse mai quella gamma meravigliosa e magica di sfumature che definisce i territori, le regioni, i paesaggi e le abitudini della lunga strada di sabbia dove tutti vanno al mare sperimentando, tra spiagge e lunghissimi lungomari, l’avventura di un’estate tutta italiana!

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!