Una caccia al tesoro, ma digitale, pixel dopo pixel, inseguendo tracce lasciate da utenti della rete. È l’idea alla base di #Datastories, il nuovo saggio di Alice Avallone uscito nella collana Tracce di Hoepli, diretta da Paolo Iabichino.

Sull’ispirazione delle “tracce” che danno il nome alla collana, Alice Avallone costruisce un testo che mescola etnografia digitale, osservazione dei “fatti” della rete, immersione nel mondo dei trend e di ciò che sempre più spesso rimbalza sui canali mediatici. Si potrebbero sintetizzare così le linee che tengono insieme l’architettura di questo lavoro, un’indagine che ha lo scopo fondamentale di capire chi si muove dietro lo schermo, dall’altra parte di quella superficie luminosa davanti a cui sempre più spesso siamo tutti inchiodati. Noi, gruppi e associazioni, enti, ma anche aziende. E io credo sia questo uno dei pregi di questa analisi dedicata agli small data: aiutarci a capire trend, utili se anche noi lavoriamo in rete, ma anche aprirci gli occhi su alcune dinamiche dentro cui spesso siamo immersi con lo sguardo foderato di inconsapevolezza.

Conoscere gli utenti

Nel percorso di avvicinamento alla conoscenza degli utenti – delle persone – proposto da Alice Avallone non sono presi in considerazione dati numerici, ovvero i classici insights relativi ai click e alle quantità. No, l’approccio in #Datastories è differente perché guarda a fattori culturali e comportamentali, una serie di dati che sono difficilmente sommabili, ma che è ugualmente possibile raccogliere in rete. Sono dati, come dice l’autrice, minuscoli, che vengono generati in rete e costituiscono indizi su chi sono gli utenti, cosa pensano, amano o detestano.

Small data, ovvero tracce, come dicevo prima. Piccoli elementi in grado però di raccontare storie. Ed ecco un secondo elemento decisivo per la lettura di questo libro: capire che da elementi apparentemente minori, e probabilmente anonimi se rilevati da soli, è possibile ricostruire intere narrazioni che hanno a che fare con utenti, prospettive, interazioni. Ecco dunque che attraverso una piccola leva – quella degli small data – potremmo trovarci in grado di interpretare set di dati molto più grandi, forniti  così di bussola e rotta.

Esploratori con la netnologia

In un mondo totalmente digitale, che spesso ci appare lontano, asettico, freddo, Alice Avallone ricorda nel suo #Datastories che in realtà al centro ci siamo sempre noi, così come siamo nel mondo “reale”. E così nelle conversazioni in rete, nell’esplorazione delle chiavi di ricerca, tra le fotografie e gli hashtag, emergono tendenze, regolarità, richiami. Sono elementi capaci di raccontare, e per questo molto utili a capire meglio la persona che si muove al di là dello schermo.

L’autrice ritrova nel mondo digitale le stesse caratteristiche dei territori geograficamente intesi, come tali quindi abitati, popolati di storie da raccogliere. Il metodo utilizzato per fare questa operazione ha a che fare con l’etnologia digitale, disciplina che Alice Avallone ha eletto come lente per leggere il mondo. Anche in #Datastories l’etnologia – anzi, la netnologia, così come si definisce l’etnografia sul digitale – ha un ruolo centrale, e viene affiancata dalle sorelle antropologia e sociologia per affinare lo sguardo sui comportamenti umani in rete.

Ma cosa indagare traccia dopo traccia? Tendenze, pubblici, percezione di brand e movimenti sociali. “Seguire le impronte umane sul digitale” è il sottotitolo del libro, e dà un suggerimento che va inquadrato meglio focalizzando l’attenzione sui gruppi, o meglio sulle community, quegli “insiemi di persone che hanno una comune identità e analoghe caratteristiche”. Queste definizioni tracciano il campo dentro cui affinare la vista attraverso gli small data. Come medici con lo stetoscopio, “auscultiamo” le voci, le ricorrenze, cerchiamo le corrispondenze, e le possiamo intrecciare con una divisione generazionale.

Nei discorsi sociali

Da queste metriche “sociali” Alice Avallone parte per un viaggio tra generazioni che ho trovato utile: i silent, i boomer, la generazione x, y, z, fino alla alpha. Di ciascuna viene fatto un profilo, e dentro ciascuna si scende tra gesti, abitudini, credenze ed emozioni, ma anche assai gustose gite tra le tensioni culturali, che sono poi gli assi portanti dei discorsi mediatici, quelli che risvegliano i miei campanelli quando si parla, invece, di semiotica della cultura. Banalmente tradotto: discorsi sociali. È lì che si annida il senso, e andare a metterci la lente di ingrandimento potrebbe regalare sorprese.

Tant’è che anche col suo metodo, #Datastories tira fuori alcune interessanti linee di evoluzione e cambiamenti della sensibilità collettiva. Lo fa con reazioni degli utenti, con le emozioni, intrecciando tutti questi dati a temi, contesti, geografie. Lo scrivevo già prima: quello che emerge è una mappa, una sorta di disegnino stile Settimana Enigmistica, generato dall’unione dei puntini. Unendoli con la matita, escono fuori le storie, puntino – dato – dopo puntino. L’etnografo digitale ha pazienza nell’inseguire, lente alla mano, le tracce lasciate dagli utenti online. Passo dopo passo ricostruisce i loro percorsi, e così la rete di collegamenti che restituisce il senso di tendenze, atteggiamenti, temi sociali.

E dentro il marketing

Lecito domandarsi, a questo punto, come il marketing sia a sua volta influenzato dalle tracce – gli small data – lasciate dagli utenti. Come si diffondono mode e abitudini, per restare sul piano più leggero, ma anche come si innescano cambiamenti culturali più importanti attraverso pratiche online, anzi veri e propri movimenti che grazie a un hashtag, magari, danno vita a campagne e inseriscono in discorsi sociali solidi nuovi punti di vista? Forse la teoria ci sembra distante dalla quotidianità, ma pensiamo alle campagne come #metoo, o a tutti quei segnali adottati dai brand contro l’enorme problema delle plastiche. Certo, non sono queste inversioni di tendenza il cambiamento in sé, ma forse possono accompagnarlo, agevolarlo, permettergli di circolare sotto forma di idea, di traccia, appunto.

Un’ultima parola per la linea grafica del libro che è molto semplice, ma che lavora tantissimo con il colore, in questo caso l’arancione, e offre alcune tavole disegnate riassuntive molto chiare, infografiche insieme esteticamente belle e colorate e facili da capire, come quella valida per afferrare a prima vista la correlazione tra l’universo enorme dei big data, banche dati anonime se non interrogate – esplorate – attraverso le traiettorie che si aprono proprio a partire dai nodi, gli small data

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!