Quest’estate La Lettura del Corriere ha ripreso la pubblicazione di una serie di approfondimenti a tema Calvino. Si tratta, più nello specifico, di articoli che accompagnano la presentazione di una serie di visualizzazioni grafiche parte del più ampio progetto Atlante Calvino, portato avanti dall’Università di Ginevra e dal Politecnico di Milano.

Due titoli che affiancavano alcune di queste visualizzazioni mi hanno colpito perché cercavano, forse volutamente o forse no, chi lo sa, di mettere in relazione il concetto di isola e di arcipelago con la produzione letteraria di Calvino e forse in qualche modo anche con qualche sua idea di poetica. Il primo  risale al 28 dicembre 2018, data in cui la prima visualizzazione fu pubblicata (me lo ricordo bene, ero raggiante sotto l’albero di Natale col giornale aperto!) ed era Italo Calvino, l’arcipelago dei nomi, il secondo torna a ripescare in quel campo semantico insulare, ed era infatti Arcipelago Italo Calvino. L’Atlante per esplorarlo, uscito il 13 giugno 2021 a firma Alessia Rastelli.

Le isole di Italo Calvino

Ora, chi bazzica il mare di pixel di questo blog sa che il concetto di isola è uno dei miei grandi interessi e curiosità, tant’è che abbondano i consigli di lettura a tema isola/isole (o, più in generale, mare: qui i consigli per le letture a tema del 2021) e che sul discorso semiotico dell’isola mi ero soffermata rapita da un interessante volume incentrato proprio sull’esplorazione del tema e dei suoi significati. Da isola come rifugio sicuro al suo contrario, cioè prigione (e vedremo che non è un termine casuale quando e se riferito a Calvino), dalla dinamica isola-arcipelago, che apre ad altre esplorazioni. Mi sono quindi ingenuamente chiesta: ma Calvino ha mai scritto di isole? E se sì, dove e perché, e per discutere di quali temi?

In effetti a guardare le visualizzazioni pubblicate dal Corriere, quello che appare è proprio una sorta di mappa, di quelle che sarebbero piaciute tanto allo stesso Calvino: un mondo di carta, o meglio sulla carta, con le sue isolette più o meno grandi e i loro reciproci collegamenti, i traghetti da un isolotto all’altro del vasto mare calviniano. È un esito della resa grafica e visiva di una raccolta dati molto precisa che potete esplorare sulla piattaforma web del progetto Atlante Calvino. Come un congegno dello stesso scrittore, troviamo tre percorsi e diversi sottolivelli che ci aiutano, sorta di sentieri, a entrare in questa geografia di carta ma soprattutto di temi e a visualizzarne in forma concreta la quantità e le connessioni. Non è un approccio che, da semiologa acerba o da lettrice, apprezzo molto, ma indubbiamente ne evidenzio anche io la suggestione e la praticità nel rispondere a determinate interrogazioni.

La vastità del mondo scritto di Calvino è infatti tale che, se opportunamente costruito, come questo Atlante, avere un orientamento aiuta a cogliere dinamiche, relazioni, mutamenti nella molteplicità di un universo cangiante e densissimo. Da quel che dice il Corriere, il corpus di testi esaminati ne include 125, tra racconti, romanzi e opere ibride pubblicati dal 1943 al 1985. Un arcipelago assai frastagliato, dove a isole maggiori – i romanzi – si affiancano territori più piccini – i racconti -, e persino isole mutevoli come le vulcaniche Islanda o meglio ancora l’isola Ferdinandea, che crescono o sprofondano confondendo mare e terra.

L’isola della scrittura

Mi sono resa conto che, vuoi la suggestione vuoi la casualità, oppure l’universalità di temi che riguardano il mare e l’insularità, avevo già lambito il tema delle isole raccontando di Pavese, maestro di Calvino, per il centro Gobetti. Lo spunto era offerto dal libro di Pierluigi Vaccaneo che, forse ancora una volta non a caso, identificata alcune tematiche forti e centrali in Pavese con isole di senso intorno alle quali navigare, come fece Pavese stesso, perdendosi e inabissandosi, e come possiamo fare noi oggi, ritrovando delle rotte che ancora ci possono parlare e permettere di viaggiare.

Forse io non ho la dote di stabilire dei rapporti personali con i luoghi, resto sempre un po’ a mezz’aria, sto nelle città con un piede solo. La mia scrivania è un po’ come un’isola: potrebbe essere qui come in un altro paese. E d’altronde le città si stanno trasformando in un’unica città, in una città ininterrotta in cui si perdono le differenze che un tempo caratterizzavano ognuna

Scriveva Calvino in Eremita a Parigi, identificando la propria scrivania come un’isola. Il piano d’appoggio delle letture e scritture di Calvino è fortemente mutato nel tempo: dalla “scrivaniuccia” di Villa Meridiana a Sanremo, quella di quando era ragazzo e che con tanta delicatezza descrive Elsa De’ Giorgi citando il carteggio tra lei e lo scrittore, suo amante, ai tavoli di Einaudi, a quelli che, con mobilio scarso, Italo deve aver avuto nelle diverse abitazioni torinesi. Per non parlare appunto di Parigi e di Roma: questo studio, l’ultimo, è peraltro ricostruito oggi alla Biblioteca nazionale.

“C’è un punto invisibile, anonimo che è quello da cui si scrive, ed è per questo che definire il rapporto tra il luogo in cui scrivo e la città che lo circonda mi riesce difficile” aggiungeva Calvino in Eremita a Parigi. Forse la scrittura per lui aveva bisogno di una dimensione insulare: staccata dal resto, non troppo, tanto da rendere ancora visibile la costa del continente, ma alla giusta distanza, un’isola della scrittura. Calvino ambiva forse a scrivere da una terra circondata da un vasto mare, il tanto ambito mare dell’oggettività? Elsa De’ Giorgi in Ho visto partire il tuo treno conferma che negli anni Cinquanta, dopo lo strappo con il PCI, Calvino era “in fuga da ste stesso, da Einaudi, dall’Italia, da quanto l’aveva determinato fino allora”. Cercava un’isola, forse, per cercare sé e continuare a interrogarsi su quel rovello che sarà il cardine della sua poetica, cioè il rapporto tra il soggetto e il mondo, tra la percezione forzatamente soggettiva e le possibilità della pagina bianca con le sue ramificazioni di inchiostro. Il rapporto, insomma, tra mondo scritto e mondo scritto, che a quanto pare passa anche dall’universo semantico dell’isola.

Isola come punto di vista per lo scrittore, che sia Parigi, vissuta come casa di campagna e punto di osservazione “altro”, distante (“il pathos della distanza”, diceva Cesare Cases), che sia la repubblica di Arborea sognata da Cosimo, il Barone rampante isolato dal resto del mondo perché elevato sulle chiome degli alberi. Che sia la città-isola, invisibile e unica nella sua cristallina caratteristica che la rende diversa da tutte le altre, oppure invece il territorio confinato da cui fuggire, condizione mentale che, chiudendo, apre al molteplice. Ho rintracciato due testi di Calvino che propongono letture e interpretazioni dell’isola (un altro tema che sarebbe interessantissimo approfondire in relazione a Calvino), ve li propongo in due puntate. Partiamo da Gli amori difficili, con L’avventura di un poeta.

L’avventura di un poeta

L’isolotto aveva rive alte, di roccia. Sopra cresceva la macchia fitta e bassa della vegetazione che resiste vicino al mare. Nel cielo volavano i gabbiani. Era una piccola isola vicino alla costa, deserta, incolta: in mezz’ora si poteva farne il giro in barca, o anche in canotto di gomma, come quelli di quei due che venivano avanti, l’uomo pagaiando tranquillo, la donna coricata a prendere il sole. Avvicinandosi l’uomo tese l’orecchio. – Cos’hai sentito? – chiese lei. – Silenzio, – lui disse. – Le isole hanno un silenzio che si sente. Di fatto, ogni silenzio consiste della rete di rumori minuti che l’avvolge: il silenzio dell’isola si staccava da quello dei calmo mare circostante perché era percorso da fruscii vegetali, da versi d’uccelli o da un improvviso frullo d’ali. Giù sotto le rocce l’acqua, in quelle giornate senza un’onda, era d’un azzurro acuto, limpida, attraversata fino in fondo dai raggi del sole. Nella scogliera s’aprivano delle bocche di caverne, e i due in canotto appunto andavano pigramente a esplorarle.

La descrizione con cui si apre L’avventura di un poeta, racconto contenuto nella serie degli Amori difficili, racconta di una vacanza estiva al mare tra il protagonista, il poeta Usnelli, e l’incantevole Delia. Come ho scoperto approfondendo la storia d’amore tra il trentenne Calvino ed Elsa De’ Giorgi, questo racconto non è che un trasfigurato ricordo delle vacanze in sud Italia trascorse insieme dai due, luoghi e attimi incantati che, oltre a coltivare un amore appassionante, sono stati ispiratori per questa storia che, come suggerisce il titolo, ha qualcosa di complicato, opaco, difficile, appunto.

Nella bellezza abbacinante dell’isola e del suo mare, Usnelli vive un intenso stato di felicità e contemplazione, quasi, del suo amore per Delia. È uno stato che, come l’isola, sembra non far parte del continente, delle “cose comuni”: è isolato, rarefatto, sospeso. E lui, il poeta, ne è consapevole, tant’è che non lo vive in modo completamente rilassato e non vi si abbandona totalmente. Eppure l’alterità di questo stato è tangibile, tanto che Calvino ne fa una commistione molto forte con lo stesso paesaggio e con la descrizione degli elementi dell’isola: mare, scogli, vento. Come l’isola, questo stato estetico (estesico, direbbe Greimas in Dell’imperfezione) rappresenta un altrove, una dimensione alternativa.

L’isola e il suo rovescio

Usnelli percepisce tutto questo con i sensi e, in quanto poeta, artigiano delle parole, vorrebbe cercare di dare un senso con la scrittura, di definire. Ma c’è un problema, una difficoltà di comunicazione tra ciò che percepisce dentro e intorno a sé e ciò che intuisce, che immagina. La bellezza è così intensa, così pura, lo abbaglia così tanto che si trova paralizzato nell’impossibilità di tradurre ciò che prova. “per lui, essere innamorato di Delia era stato sempre così, come nello specchio di questa grotta: essere entrato in un mondo al di là della parola” leggiamo.

Amore è moltiplicazione di tutto, e davanti a questa molteplicità brulicante del mondo, ben rappresentata dall’abbacinante silenzio del mare insulare, il nostro poeta è spiazzato, non trova corrispondenza per riportare tutto ciò nel mondo scritto. La pace assoluta, l’isolamento che caratterizza questa condizione è destinata a non durare, e a schiaffeggiarlo riportandolo presto “in continente”, ancorato alla costa. Lo spostamento, e l’allontanamento dalla condizione privilegiata e senza parole dell’isola avviene affiancando belle barche da pesca.

È osservandole, concentrando la vista sul pescato, che le immagini così truculente nella loro verità di morte – o forse solo di quotidiana umanità: la pesca – lo assalgono rovesciandogli addosso il peso dell’inchiostro di parole e parole che, al contrario di prima, lo stordiscono tanto si aggrovigliano senza riuscire a fermarsi: “parole e parole, fitte, intrecciate le une sulle altre, senza spazio tra le righe, finché a poco a poco non si distinguevano più, era un groviglio da cui andavano sparendo anche i minimi occhielli bianchi e restava solo il nero, il nero più totale, impenetrabile, disperato come un urlo”. Un’antinomia – ne è pieno tutto il discorso calviniano – contrappone l’isolamento al ritorno a terra, il bianco assoluto, muto, contro il nero fitto e greve delle parole, il silenzio e la pace al caos del mondo. L’aprico, il soleggiato, all’opaco, il mondo umido e oscuro: una delle divisioni binarie cardine nell’immaginario geografico di Calvino, e di conseguenza nella modalità cognitiva che applicherà al mondo e di cui racconterà attraverso la sua poetica.

Al di là di una scusante descrittiva che deriva da un’esperienza vera e piacevole – le vacanze nelle isole del sud – qui la condizione di insularità rimanda a un isolamento metaforico, alla contrapposizione tra un universo che sembra totalmente slegato da quello consueto: forse il mondo della poesia assoluta, quello dell’esperienza così intensa di percezione e bellezza da diventare incomunicabile, troppo perfetto, oggettivo e assoluto per rientrare nella piccola penna di un poeta-soggetto che abbia ancora addomesticato la sua navigazione tra mondo scritto e mondo non scritto.

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Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!