«La scottatura del primo sole al mare che graffia la schiena, l’afa odorosa dell’asfalto imperlato di pioggia, il temporale che sventola la tenda nella sera sempre chiara. Adesso è giugno». Queste le mie parole il quattro di un mese ormai alle spalle, in sottofondo Teardrop, dei Massive Attack. Giugno è sempre e da sempre un’idea, orizzonte labile di estate, giornate lunghe a dismisura, ritmi che si rilassano, fiato che si allenta, profumo di mare e un gelato. Giugno 2019 non fa eccezione, incastonato nella malinconia che lo connatura perché fulgido, bellissimo e breve, sfuggente tra la morsa del mese più impegnativo dell’anno, maggio, e l’implacabile, piena, chiassosa estate di luglio. Ecco perché tardo a scriverne, ecco perché ho bisogno di quella colonna sonora che mi riporti alla leggerezza agognata dei primi di giugno, già così nostalgica, così fragile.

Ci eravamo lasciati con un folle, intensissimo e stressante maggio, e poi è arrivato giugno, il mese corto, quello che arriva l’estate, quello che “dai, siamo a metà anno”. Non male, come promessa, eppure giugno è stato di una densità che sembra perdersi in un limbo di ricordi del passato remoto, tra guizzi di novità che ancora non si è capito come gestire, strappi e lacerazioni, una matassa di fili di piombo da districare anche se fa male tutto, mentre intorno si ripete la ritualità del mese, e va bene così, serve a fissare dei punti mentre tutto si muove, mentre gira la testa, metaforicamente e non solo. Giugno è fragile, lo sono anche io. L’ho scoperto una mattina di tiepido sole, nell’abbagliante bellezza di un salone di biblioteca affrescato, una zona sconosciuta, un parco e il pavimento che non era più stabile e orizzontale come lo avevo immaginato.

Se il cuore pulsa dall’agitazione, il cuore a giugno ha pulsato per un vortice di emozioni che stemperano la commozione in ansia, la paura in piacevolezza, la rabbia in dispiacere, l’invidia in senso di colpa, la nostalgia in lacrime dietro un finestrino, il cinismo in un mare oscuro in cui farsi naufraghi quando non si intravede nessuna novità, e anche le ancore più solide spariscono, finiscono lontano e forse un po’ è anche colpa tua. Forti, intensi, i problemi in questo giugno travestito da mese di leggerezze e sapori di estate. Qualche strappo: per fortuna i muscoli caldi hanno attenuato l’agonia, ma intanto ci si è fatti male, e sarebbe necessario ripararsi, qualora il dio tempo ce ne desse la possibilità, e qualora il gomitolo di vita concesso dall’epoca disgraziata in cui viviamo – lavorativamente parlando – ce ne desse la capacità, e forse anche la voglia.

A raffica, intanto, tutto intorno, le cose accadute, gli impegni, gli appuntamenti. E momenti bellissimi e preziosi: perché giugno è da sempre il mese dell’estate, un po’ sembra scontato riaffermarlo ora, mentre usciamo esausti da una bolla di caldo africano anomalo che ci ha fiaccato l’anima e che rappresenta un nuovo grande e terroristico avviso dei cambiamenti del pianeta in corso. Eppure, il primo giugno la brezza era fresca a promettente, il mare azzurro Sardegna, e così dalla mia Liguria ho inaugurato la stagione e, rabbrividendo e scottandomi, ho fatto il primo bagno e letto il primo libro al sole. La meraviglia, assoluto godimento e relax.

E poi è iniziato il mio giugno bello, quello degli affetti di casa, dei visi amici, della sensazione di tornare in un luogo che ti appartiene. Giugno è anche questo, perché giugno è l’estate, e l’estate è il mare: insomma casa, luoghi dell’anima e ricorrenze, idee e tempi nuovi e belli, attesi tutto l’anno. Sono stata felicissima che il mio giugno sia partito il primo del mese a casa dell’Armadilla, una libreria che è un posto del cuore, dove si aggira gente bella, bella per davvero. Abbiamo presentato Torino di carta davanti a una libreria piena, palchi e palchetti colmi di affetti e sorrisi tutti per me. Un inizio migliore, come dicevo, non potevo davvero sperarlo.

Molto aveva ancora da accadere in quella sera in cui ancora il caldo non era esploso e indossavo i jeans, gli stessi che avevo in un’altra circostanza molto densa, molto bella e ricca: la cena di pensionamento del mio professore di semiotica, Ugo Volli, che è arrivata subito prima della sua ultima lezione. Un momento intenso e commuovente da seguire in una delle solite aule di Palazzo Nuovo dove centinaia di lezioni mi avevano vista studentessa a prendere appunti. Questa volta il posto era riservato, tra colleghi di dottorato e visi noti di un mondo al quale è stato bello riaffacciarsi, ritrovando radici ben salde di un modo di guardare e studiare le cose che è, anche in questa circostanza, un po’ come tornare a casa.

E poi, di casa in casa, c’è anche la città lontana che è un po’ uno strascico di luoghi del cuore e sempre una scoperta, radici e gioie: Palermo. Non era neanche trascorsa un’intera settimana, a giugno, che in uno stesso giorno brindavo al mio professore, presentavo Torino di carta alla Trebisonda di San Salvario con attente domande di Manuela Marascio sugli autori della Torino anni Quaranta e sullo sguardo giornalistico che ho applicato alla città, che la sveglia suonava alle 5 e poche ore dopo atterravo a Punta Raisi. A Palermo c’era Una Marina di libri, e a Palermo in 48 ore ho fatto il giro del mondo, tra gamberi, pagine, teli mare e viaggi, isole, arcipelaghi, ficus monumentali, una girandola di persone e l’estate quella vera, quella un po’ già africana, da scottature e vestiti leggeri.

Poi è successo che ero stanca, avevo bisogno di riassestarmi dopo una settimana dalla densità fortissima, e la soluzione per ripartire senza crollare era il mio mare. “Comunque non si riesce mai a respirare” mi scriveva un amico mentre camminavo tra le ultime ginestre osservando la mia città che cambia, le novità della bandiera blu, riflettendo sull’agenda impellente, le cose che sarebbero accadute, le cose da fare, la gente da vedere. Tra queste, neanche a dirlo, i primi passi di Torino di carta, richiestissimo dalle librerie, tra foto viste sui social, messaggi di librai, post a sorpresa e commenti bellissimi come quello della mia scrittrice preferita di quando ero ragazzina. «Scrittura lucida e robusta, gran lavoro di collage, precisione e incastro. […] Ce ne fossero di più di persone che scrivono così». Mi sono emozionata. E poi sono andata al Percfest di Laigueglia sicura che quest’anno avevo in borsa con me un tassello in più di un percorso iniziato tanto tempo fa. Mi sono affacciata al muretto e ho guardato quel bellissimo golfo pieno di mare: mesturado, una parola che è il simbolo di una serata di musica di mezza estate.

Intanto, la metà di giugno portava con sé la luna piena e il trekking vista mare. Quest’anno giro pianeggiante verso l’entroterra di Torrazza, con un bel gruppo di persone e un bel camminare tra ulivi, torri, ponti e santuari, a suon dei baci narrativi e cinematografici di Alessandro Barbaglia. “Nelle sere di luna piena sul mare capita di fare cose magiche, come trovarsi passo dopo passo a Torrazza, sotto la torre ascoltare storie di libri galeotti, tra sterpi e ulivi visitare una chiesa del Mille, oltrepassare un ponte romano, accolti da un coro di rane camminare tra orti, lavande, albicocchi, affascinati dal fascio d’argento di luna sul mare, fino al posto prediletto per i baci, da cui contemplare tutta la città, o da cui cercare nuovi racconti, seduti su un prato come da bambini”.

Lezioni di felicità a portata di mano, come mi ha insegnato, tra i tanti libri del mese, Lezioni di felicità di Ilaria Gaspari. Tra le altre bellissime letture ricordo anche il Libro dei vulcani d’Islanda, un viaggio affascinante in  una terra che sta ancora terminando la sua nascita. E poi Breviario Mediterraneo, incantevole tra le simbologie del mare che così mi appartengono e il mare vero, quello cristallino di una mattina di giugno, sabato, estathe al limone e focaccia. E poi Michele Serra e il suo Tutti al mare, che ho scoperto avere la mia età, e non aver maturato nessuna ruga.

A giugno ci sono state sveglie alle 5 dopo compleanni importanti e bei momenti, Cervo ti strega con la cinquina in quella meraviglia di posto che è la piazza dei Corallini, e poi l’inizio di Un libro aperto, la serata con Roberto e Michela, rivedersi, ritrovarsi, fare il giro della gente che frequenti in tre giorni in luoghi diversi dove improvvisamente impazza cultura. Giugno a casa è san Giovanni, uno dei rari momenti in cui si ha voglia di tornare e la piazza coi suoi colori pastello diventa autenticamente un luogo dell’anima, in un abbraccio di storie e nonni e pizze e gelati presi prima dei fuochi. I fuochi che un tempo guardavi con tanti amici e oggi con uno solo, che vale per cento e più e con cui senza dire niente dirsi tutto, anche che Nadir se ne è andato ben dieci anni fa. Impossibile non pensare al calendario, e ricordarsi che era giugno anche nel 2009, un giugno molto meno denso di quello attuale, più sereno, forse l’ultimo così limpido della nostra vita di allora 22enni.

L’estate, così, è iniziata per davvero. E come allora, nel 2009, giugno a Torino ha significato esami all’università, e poi lavoro, talvolta bello e appagante, di quello che scopri storie che poi lasciano qualcosa per davvero e arricchiscono e ti fanno dire che ne è valsa la pena e sempre la varrà, di patire l’instabilità di un lavoro di altissime responsabilità e pochissime valorizzazioni. A giugno ho incontrato Pagina37 e il suo progetto bellissimo, e poi ho approfondito la storia di Bianca Guidetti Serra, e queste due storie hanno fatto il mese intero, per quanto riguarda la mia autostima.

L’estate, dicevo. Ebbene, dal 25 giugno in poi è arrivata per davvero, è arrivata fin troppo. Una bolla di caldo torrido indescrivibile, appiccicoso come vischio sudato e intollerabile si è abbattuta su Torino e l’Italia tutta. Sembrava di stare dentro un forno. Statico. Non una bava di vento. L’afa da non respirare, i raggi che bruciavano, stordivano, mal di testa, sonnolenza, debolezza immensa. In questo languore angosciante, coraggiosamente, si è svolta la bella presentazione alla Feltrinelli di Torino con i miei due alfieri di Radical Ging, preparatissimi, carichissimi, parte di una bellissima serata con gli amici che ricorderò con il sorriso nonostante non si muovesse una foglia tra gli alberi e le zanzare mi abbiano divorata.

Un’estate bollente, un’estate che vai all’osservatorio di Pino Torinese e quando torni sembra di aver fatto la traversata del Sahara, la casa è un incubo, bollente incubo in cui perdere riferimenti, entusiasmi, forze, fisiche prima di tutto. E in questa distruzione l’unica è fuggire, disperatamente fuggire, rotolare al mare alle sette di sera, cercando rifugio a un palmo da riva, dove tira aria, dove finalmente si può respirare, rifugiarsi da uno spaventoso cambio di rotta a quella dolcezza che doveva accogliere giugno e l’avvio della stagione. Qualcuno ha ruotato la manopola della temperatura, non ce ne siamo accorti, quando e come è stato? Giugno sgocciola verso la fine e non sembra più nemmeno giugno: è un colloso e appiccicoso procedere con poca lucidità mentale verso un’estate che è già l’autunno denso di impegni che si affastellano. Ed è anomalo, stride, emergenza ripetuta, testa gonfia, idee confuse, una serata che non si è mai vista con la spiaggia piena di gente alle nove, una pizza e una birra e salire la scaletta della Galeazza alle diedi di sera, la passeggiata ingombra di disperati in cerca di refrigerio. Che non arriva.

Densità. Di cose mai viste, accumulate e arrivate senza istruzioni. Di problemi, di caldo e di mancanza di tempo. Di cose sospese che sembrano perse come un mare che si fonde con l’orizzonte nell’afa inaspettata di un inizio di stagione che un po’ spaventa, un po’ confonde. Stanca. E siamo al dieci luglio: dieci giorni sono stati necessari per superare l’imbarazzo di un giugno che dalla grazia del suo esordio è diventato una morsa di panico, frecce avvelenate di invidia a cercare di ammalarlo, di buttarlo giù. Stupefatta e inedita angoscia, nessun salvagente: bisogna nuotare qui.

Bisogno di aria, di libertà, non troppa che spaventa, di consolazioni, da se stessi soprattutto, e di occasioni. Di tempo per leggere, capire, aspettare, scrivere e immaginare un po’ di più, che le cose a volte le immagini e sono così reali che poi non accadono. Ma intanto è ormai luglio, il mese più bello dell’anno è un ricordo di più di una settimana fa, con tutte le sue situazioni nuove e belle, i suoi sorrisi, un gelato, un libro regalato con una dedica che non devo dimenticare. Sì, l’estate è iniziata, è nostalgica come solo nelle parole di Pavese, ed è comunque una grazia, bellissima grazia concessa in un mondo che cade a pezzi, dove la serenità è finita da un pezzo ma ti arrivano messaggi sul telefono che sono cuori battenti in mezzo alla mareggiata travestita da calma piatta, dove incontri gente sconosciuta dall’altro capo di Italia con cui sentirti a casa, e dove fioriscono le ortensie di chi le ha curate sapendo che sono una grazia rara.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!