«Conoscitore profondo di una qualche disciplina, che egli possiede integralmente e che può insegnare agli altri nella maniera più proficua». È la definizione di maestro, la leggo su Treccani online mentre sono quasi le quattro di pomeriggio di un assolato sei luglio 2020, annus horribilis, il sole che morde questo asfalto di città che non vedevo da tempo. L’ho saputo che ero in treno, una notifica in un messaggio whatsapp: se n’è andato, Ennio Morricone non c’è più.

Una fitta di magone inaudita si è irradiata dallo stomaco agli occhi. Piangere dietro la mascherina è difficile, così ho trattenuto tutto, gli occhi che si appannavano mentre davo la notizia a uno dei miei più cari amici, con cui da anni condivido l’amore per le colonne sonore. Sgomenti, ci siamo trovati così, le nove di mattina passate da una manciata di minuti.

E adesso – adesso, sì -, adesso che si fa? Un Maestro, un altro, ci ha lasciati qui a vivere una terra complessa, contradditoria, bella ed effimera che da soli, di fronte a questa mancanza che si fa lancinante via via che dalle cuffie del telefono arrivano le note che lo ricordano, e coccolano, e rasserenano, stentiamo a gestire e a capire. Il peso di piombo sulle spalle mentre la testa elabora l’abbandono definitivo di quell’omino così piccolo e così grande, così umile e così geniale. Mi viene in mente l’auditorium Rai di Torino, il 2012, l’anno in cui non abitavo a Torino, ma ci tornai per quel concerto: Ennio Morricone dirigeva l’orchestra. Uscì sul palco timido, andò al podio tenendo stretta, sotto il braccio, la cartella gigante con i suoi spartiti. La aprì, e iniziò la magia. Il treno scorre nella periferia brutta e indifferente, io trattengo lacrime di gratitudine, di grazia, di bellezza.

Maestri lo sono in pochi, ma chi lo è ha il pregio speciale di restare nei suoi allievi, in chi ha stima di lui e in chi gli ha dato ascolto. Maestro è una parola di cui ho approfondito il significato frequentando il mondo accademico, dove tutti hanno almeno un maestro, una guida che, come un saggio Virgilio, accompagna stando al fianco, e poi osserva proseguire i suoi allievi, conscio di aver lasciato loro un’impronta, un paio di lenti attraverso cui continuare a esplorare il mondo. Avere un maestro significa partire da una visione, che non ha la pretesa di essere l’unica, ma che funziona da base, spalla su cui alzarsi a guardare un po’ più in là, piano di appoggio, nel caso di cadute.

Ennio Morricone era un Maestro perché era prima di tutto un musicista, e quello è il titolo che consegue al diploma in conservatorio.  Ma era anche un maestro in quell’altro senso, quello più ampio. Lui, come Andrea Camilleri, maestri perché fari per le vite altrui, luci nell’oscurità, lampi di bellezza: il grande messaggio che hanno contribuito a portare in tutto il mondo.

Non sono riuscita a trattenere le lacrime per Andrea Camilleri, il mio Camilleri, la voce che ho letto e riletto in decine di libri e altrettanti scritti, e il Camilleri di tutti, della tv, delle interviste, della voce roca e delle sigarette. Quello dei pensieri illuminanti per me, come per tutti. Il luglio 2019 ha portato con sé il magone profondo per la perdita di un intellettuale che io però sentivo accanto a me, un mio amico, una persona a cui volevo bene, pur senza averlo (quasi) mai visto, tanto meno conosciuto.  Con i maestri succede così: sembrano guide solo per te, che nei loro pensieri, nelle parole e nella musica ti specchi, trovi angoli ancora ignoti di te, coltivi empatia per l’universo. Ma loro sono maestri per tanti, per fortuna. E quando se ne vanno, se ne va un pezzo di umanità grandissima.

Manca la voce, manca sapere che quella cosa – che a conti fatti non è una cosa, ma un insieme di persona e genialità, forse arte, la possiamo chiamare così – c’è, è lì con noi, sul pianeta terra, si guarda intorno e legge la realtà restituendone interpretazioni in frammenti di bellezza che ti aiutano a capire, a destreggiarti tra le onde, a non impazzire, a immagazzinare considerazioni sulle emozioni. Ti trovano, quei frammenti, se sei disposto a farli entrare, e ti illuminano, fanno di te un uomo ricco, del tuo sguardo una lente potente, della tua immaginazione e fantasia una galassia pulsante di stimoli e batticuori.

La musica di Morricone è così – lo è, al presente, perché risuona nella mia testa da stamane, lo faceva prima e continuerà a farlo, eternandosi nel suo presente, appunto -: come la grande, buona musica da film accende le emozioni, cavalca l’immaginazione. Si infila impetuosa negli occhi, scalda, ravviva, tira fuori lacrime che raramente sapranno trattenersi. La musica è così, è un pungolo sottile, ma decisivo.

Ennio Morricone suonava la tromba. In queste ore in cui mi sento sospesa nell’elaborazione di un lutto nazionale che ha aperto i tg dell’ora di pranzo, sta annaffiando internet e ricomponendo i palinsesti Rai, ecco, in questo tempo stranissimo che non avrei voluto rivivere per l’ennesima volta dopo mesi in cui già annaspavo nel dolore generalizzato e nello scontro con la morte per virus, rimbalzano foto di lui ragazzo. Eccola, ce n’è anche una con la tromba. Anche Umberto Eco suonava, lui per gioco e passione, la tromba. Anche Umberto Eco era, è stato e sarà, un mio maestro.

Li ho visti, chi più, chi meno, magari solo sfiorandoli, tutti e tre dal vivo: Eco, Camilleri, Morricone. I grandi di un Novecento che va sgretolandosi in questo nuovo millennio senza fibra, senza ossa, senza direzione. È una retorica trita e ritrita ma è la verità nei miei occhi da stamane, da quel treno e dai suoi finestrini tristi mentre cercavo ancora una volta la sua voce, il suono di Morricone, per cercare di non perderlo, di ascoltarlo come prima, sentirlo parlarmi come ha sempre fatto. Adesso è un suono eterno, è stato consacrato dalla perdita, era un classico già prima, ora però lo è con la c maiuscola.

Li stiamo perdendo tutti: i grandi maestri vanno via, ci lasciano qui, forti dei loro insegnamenti, spaesati nel doverli applicare a un mondo che ci soverchia, e che non riusciamo a leggere con la poesia, la profondità, la leggerezza e l’acume che ci hanno messo loro. Io mi sento un po’ così, orfana. Sola in mezzo a libri e parole che mi hanno formato il pensiero e fatta commuovere, con cui ho riso, tra le cui pagine sento r mosce e raucedine da nicotina, sola mentre pulsa nelle orecchie un universo di melodie e suoni che hanno fatto da colonna sonora a centinaia di momenti facendomi salire la pelle d’oca, il magone, sorrisi spontanei.

Metti una sera a cena: è la prima cosa che mi è venuta in mente. Spirali di tonalità che salgono, una fascinosa melodia che avvolge, un titolo ironico che è ormai una frase entrata nel nostro dizionario quotidiano. Citiamo cose e nemmeno ce ne rendiamo conto. Sapessimo quanto Morricone c’è in giro nei prodotti mediali che frequentiamo. E quindi, quanta bellezza ci ruota intorno. La riascolto da stamane, sono decine di volte, e ancora non mi basta, e ancora non riesco a sopportare il tema di Deborah da C’era una volta in America, perché piango. L’ho fatto davanti al telegiornale, mi sono ricordata delle mie lacrime sulla pila di quotidiani acquistati il giorno dopo che se n’era andato Andrea Camilleri. Uguale, lo stesso sgomento senza soluzione, lo stesso bisogno di ri-immegersi in un mondo che ora, senza il suo inventore geniale, sembra poter non esistere più.

Visioni, emozioni, possibilità: c’è tutto questo nelle note e nelle pagine che ci resteranno. È che l’arte e la bellezza hanno questa cosa magica: restano. Loro sì, resteranno ad accompagnarci, sempre, a lenire, addolcire e accarezzare tutte le mancanze, a spronare e incoraggiare, a togliere quella lacrima che mi sta rigando una guancia in questo istante. Ancora. Ci vorrà un po’ di tempo, è sempre così quando se ne va un maestro.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!