Il Saggiatore ha pubblicato a giugno 2020 l’esordio in narrativa di Caterina Mazzucato. È un romanzo dalla copertina semplice eppure in gradi di affascinare: parla la lingua del mare. Perché Io sono il mare è proprio questo, un grande racconto di mare, un’allegoria che intreccia come i fili del bisso una storia personale e le mille meravigliose storie degli abissi e della vita sviluppata sotto l’acqua. Siamo dentro la grande geografia mediterranea, in una storia di mille luoghi e mille riflessi acquatici, tutta ambientata nel tempo sospeso e magico di un’immersione, metafora di un percorso di vita tra discesa, fondale spaventoso, e risalita.

Stregata dal fascino di questo libro, di cui ho raccontato su Lucialibri, ho avuto la bellissima possibilità di parlarne con l’autrice. Ecco la mia intervista a Caterina Mazzucato su Io sono il mare!

Io sono il mare è un romanzo di grande potenza metaforica e dai tanti livelli di lettura, ha l’aria di essere molto lavorato: come nasce questa storia?

È una storia che è in gestazione da quando sono nata! Più in concreto, è un progetto che mi lavora dentro da dieci anni, quando è nata la voglia di scriverlo ed è emersa in me la possibilità di metterlo su carta. In realtà è la summa di tutta una vita, dall’adolescenza alle fantasticherie sul mare che è casa, ma nello stesso tempo è un luogo misterioso e lontano, e altro ancora. Ora lavoro nel cinema, ma c’è stato un momento in cui mi occupavo di editoria, facevo editing, ghostwriting, costruivo storie: lì c’è stata la scintilla, ho capito, da dentro si è affacciata questa storia.

Il tuo romanzo prende il via da un episodio di cronaca: una ragazzina cade, o viene gettata, in mare, il corpo non si trova e il sub protagonista decide di immergersi per andare a cercarlo, un gesto che ha il sapore del riscatto per la comunità e per lui stesso.

Sì, l’episodio di cronaca è arrivato prima di tutto: la ragazza inizialmente era caduta dentro un pozzo che arrivava fino al mare, da questa storia che mi girava in testa è poi nato tutto il resto. La ragazzina che scompare e che muore – il femminile è sempre una vittima – è fondamentalmente tutta una parte di noi che deve morire per avere la possibilità di crescere, di rinascere. Ogni volta, in ogni aspetto del romanzo, c’è sia un aspetto molto concreto, di narrazione, sia uno molto legato alla realtà, che però si fa simbolo, metafora. Questo succedeva spontaneamente, mentre scrivevo, e accade dopo, nelle riflessioni dei lettori da cui mi arrivano sempre nuove interpretazioni.

I livelli di questo romanzo infatti sono tanti, per restare in metafora possiamo dire che si tratta di una lettura molto profonda. Titoli il primo capitolo “Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua”: Io sono il mare è anche un viaggio in un mondo per certi versi alieno, che deve tanto alla biologia marina. In cosa sei debitrice alla scienza?

Ogni titolo è un rimando, una citazione: quello che apre il libro è il titolo di un trattato di Galileo, ed è una dichiarazione di intenti. C’è stato infatti uno snodo della storia della scienza e di quella umana in cui dalla fantasia degli uomini si è passati allo studio scientifico. Ma c’è un momento magico in cui qualcuno ha immaginato, fantasticato su quello che vedeva, e prima che diventasse scienza c’è stata la grande immaginazione umana, la fantasia e il suo potere. Alla fine del romanzo faccio un omaggio, più che una dedica, ad alcuni dei capisaldi dell’avvio del pensiero scientifico. Sono grandissimi artisti e persone che hanno usato la fantasia all’estrema potenza per creare e mettere in pratica il pensiero scientifico.

Certo, laddove mancava la strumentazione si doveva lavorare con fantasia e immaginario…

Esatto, ai suoi esordi il pensiero scientifico si è sviluppato dall’immaginazione. Uno dei personaggi che ti citavo è per esempio Ulisse Aldrovandi: io vivo a Bologna, la sua città, dove ha portato una delle più belle collezioni di oggetti naturali esotici. Oppure Ernst Haeckel, a cui si devono illustrazioni meravigliose oggi tornate molto di moda di animali marini, ma anche delle prime visioni al microscopio, delle primissime alghe diatomee, di piccoli crostacei di grande bellezza. Era riuscito a coniugare il potere dell’immaginazione e quello dell’osservazione. Io non ho nessuna base di biologia, ho solo studiato molto tutto quello che mi interessava, e l’ho fatto con l’occhio di questi personaggi, con l’occhio dell’adolescenza.

C’è una goccia di meraviglia infatti in questo sguardo

È questo, è proprio l’approccio della meraviglia, del meraviglioso come modalità di osservazione e studio. Un’altra delle cose da cui parte la mia fascinazione per il mondo marino sono i testi che avevo in casa: tra questi ci sono illustrazioni meravigliose degli anni ‘70, oppure una collezione della rivista Airone che mi ha aperto le porte della fantasia, con un approccio scientifico tuttavia forte.

Tanta meraviglia, ma per contro c’è poi la struttura di questa storia che è canonica. Ci sono infatti tre fasi precise che seguono quelle teorizzate da Aristotele e che tu titoli discesa, fondo e risalita. Hai scelto questa struttura perché si conformava alla storia, oppure sapevi con precisione che forma darle?

Sapevo dove far andare il mio sub, o meglio il mio io-sub, e inizialmente pensavo di voler provare a dare una struttura di discesa e risalita in contemporanea, fare cioè un capitolo in discesa e uno in risalita. Questo perché sono le due facce della stessa medaglia, nella vita si hanno tutte e due e nel mare ci sono sempre una discesa e una risalita, è un mondo fluido. Alla fine la struttura classica mi è sembrata molto più adatta ai possibili incontri che si svolgono e l’ho scelta anche per dare spazio al ragionamento fondamentale che è alla base della narrazione, cioè che bisogna toccare il fondo, bisogna avere il coraggio di andare giù. Risalire, se si vuole, significa rinascere e cambiare completamente prospettiva su se stessi e sul mondo. C’è un po’ l’idea che il sub percorra due vite, ed è lui a scegliere. Le prime volte in cui raccontavo questa storia dicevo che lui scende ragazzo e sale uomo.

A suo modo Io sono il mare è una storia formativa, eppure è un po’ strana perché questo viaggio si svolge interamente dentro l’acqua

Questa era una delle condizioni sine qua non del mio romanzo. Alcuni amici mi hanno proposto di allargare, ma non era possibile: fin dalla prima esposizione di questa storia per me era importantissimo rimanere dentro di me, cioè dentro l’acqua.

È una dimensione che si sente: siamo anche noi nell’acqua, respiriamo attraverso l’erogatore, ed è affascinante. Credo che tutti da bambini siamo stati affascinati dalla possibilità di immergerci, abbiamo sentito quel richiamo. Poi magari qualcuno da grande lo ha lasciato andare, altri lo hanno coltivato

Verissimo, una delle chiavi è proprio la meraviglia dei bambini.

Come anticipavi, quando si arriva sul fondo bisogna fronteggiare qualcosa che così affascinante però non è: sul fondo ci sono mostri, c’è la morte, ci sono le cose peggiori del mondo sommerso. Uno non se lo aspetta, invece raggiunge il fondo e deve fare i conti con tutto questo. Cosa trova sul fondo il tuo sub, sia concretamente sia metaforicamente?

Lui trova quello che cerca: la sua aspettativa si smaterializza, perché in fondo non c’è mai un obiettivo nella vita che ti può salvare, è effimero pensare che un’ aspirazione possa appagarti veramente. Questa è anche la storia di un grande fallimento, di un fallito che rimane tale e nello stesso tempo capisce che la vita è un’altra cosa, non accontentarsi ma sapere che respirare è già una delle cose più importanti che ci sono. Ridà valore, e lo fa fallendo. Mi sono chiesta: cosa c’è dopo il fallimento, oltre il fondo? Ed è una cosa che, chi prima chi dopo, dobbiamo esperire tutti più o meno dolorosamente. Succede tutti di toccare il fondo e scegliere di risalire, e in che modo farlo. Lui vede le sue aspettative completamente andare, perdersi, dissolversi come è giusto che sia. Sarebbe più giusto che il cadavere sul fondo fosse ancora intatto per poi essere martoriato cercando delle motivazioni che forse non sono così importanti, visto che già la vita si è dissolta? O è meglio che di dissolva nel mare e ritrovi una sua dimensione naturale, che l’energia si ri-immetta in circolo per dare vita ad altro?

Forse è un segreto di pulcinella, ma nel tuo romanzo arrivi anche a toccare la dimensione segreta della vita, quella che ha a che fare con la sua nascita, milioni di anni fa, proprio in mare. La biologia marina, in questo senso, racconta anche di una ciclicità che ha a che fare con la vita e la morte

Questo è proprio il tema che in quasi tutti i capitoli affronto da svariati punti di vista: quello più naturale, quello chimico, evoluzionistico, umano, anche sentimentale, e poi animale: parlo dei mammiferi, ma faccio anche altri esempi…

Confesso che la parte sulla nostalgia di terra dei cetacei e delle lacrime delle tartarughe sono storie che mi sono rimaste impresse

Sono immagini a cui sono davvero molto legata!

Nel tuo romanzo in qualche modo ci si specchia sempre nel mare, in un continuo movimento di ricerca e allontanamento: si esplora il segreto della vita, che tocca tutti nell’intimo, si parla di evoluzione. Sono temi che risuonano pagina dopo pagina

Per me è molto importante mantenere romanzesco, è fondamentale. Siamo così abituati ad avere ampio accesso al nozionismo scientifico, e io stessa per scrivere il libro non ho fatto altro che partire e fare ricerche anche semplicemente aprendo Internet. Tutta questa facilità spesso è ottima, ma non lascia spazio all’interpretazione, che è fondamentale. Punto di vista e interpretazione per me sono fondamentali, riuscire a romanzare tutto questo bagaglio saggistico è la chiave per poterlo metabolizzare, per capirlo, per comprenderlo.

È un po’ quello che avviene al sub e alla ragazza, i protagonisti che non hanno mai un nome. Loro usano la lingua del mare come una sorta di codice attraverso cui raccontarsi e conoscersi, il mare diventa un idioma comune

Il linguaggio amoroso è sempre un linguaggio privato, con codici personalissimi: dentro Io sono il mare tutto si fa metafora e diventa anche linguaggio personale e amoroso tra i due protagonisti. In una delle tre parti ho inserito una citazione in cui si parla del mare come un idioma, un antichissimo idioma su cui i popoli di tutto il mondo e in particolare del Mediterraneo hanno costruito il proprio.

Hai citato il Mediterraneo: non posso fare a meno di chiederti da dove arrivano tutte le storie che intarsiano romanzo, che sono tutte immagini comuni del nostro Mediterraneo, spesso legate a luoghi e tradizioni precise: il filo di bisso, la mattanza, i fari…

Questo romanzo non è ambientato in nessuno luogo, ma in tanti luoghi del Mediterraneo che conosco, soprattutto italiani: ci sono molta Sicilia, Sardegna, Calabria, Puglia, Veneto, la costa adriatica, la Liguria… C’è tutto. Ogni volta che ero a confronto con una parte della narrazione e della storia dei protagonisti, la ricerca mi portava a trovare la metafora perfetta: la mattanza come la fine della coppia e il dolore della separazione, il rancore; il bisso come nascita. A tal proposito, sono andata nel 2011, grazie alle ricerche per il romanzo, a incontrario Chiara Vigo, l’unico maestro di bisso vivente, essenza stessa del popolo mediterraneo. Consiglio a chiunque di andare nella sua stanza a Sant’Antioco, a me è accaduto tutto quello che descrivo nel romanzo, lei è diventata la madrina, in un certo senso, del mio primo figlio, che mi ha annunciato legandomi al polso il filo di bisso.

Sono storie antiche e al contempo molto vive, forse è per questo che sono così affascinanti…

È stata molto bella la naturalità, la facilità con cui trovavo rimandi ai momenti specifici che dovevo descrivere. Quasi mai ho scelto un argomento e l’ho dovuto giustapporre alla storia dei protagonisti, è sempre venuto dopo, si è fatto metafora.  Alcuni li volevo da principio, per esempio la nascita e la chiusura del Mare della Tetide e la nascita del nuovo Mediterraneo, o la vita delle anguille, che è incredibile! Sono cose che erano lì e dovevano trovare un posto, ma quasi sempre è stato il contrario.

Sposto l’attenzione dai luoghi al tempo, che è il tempo di un’immersione con tutta la sua dinamica di attese per la decompressione. A un certo punto manca l’aria persino al lettore! Come hai costruito la discesa del sub?

Ho avuto molte coincidenze positive in questi anni, mentre approcciavo la storia, la immaginavo e la scrivevo, ci sono stati anche incontri molto importanti. Chiara Vigo è una per esempio. Io non ho mai fatto immersioni in vita mia, non ho mai indossato le bombole e non so se lo farò: c’è stata però una persona che ho conosciuto all’inizio della scrittura. Ho scorso l’elenco delle persone che potevano aiutarmi, ho trovato un centro sub cittadino, ho telefonato e mi ha risposto lui. All’inizio pensavo che il mio sub dovesse essere un rappresentante della Protezione Civile, cercavo un espediente. Insomma, mi risponde questa persona dal centro sub che mi racconta di fare l’istruttore, di occuparsi di protezione civile e di essere un poliziotto: perfetto, poteva raccontarmi tre aspetti fondamentali della narrazione! Chiacchierando ci siamo conosciuti, si è dato completamente ed è una delle persone che ringrazio tantissimo. Ci siamo conosciuti solo attraverso il romanzo, e incontrati tre volte per parlare di questo: ci siamo riconosciuti come appassionati di un tema e solo il poterne parlare è bastato. Lui è Antonio Carbone, è citato nei ringraziamenti.

C’è della magia in questa storia!

È uno dei tanti incontri che mi ha lasciato e portato questa storia: come un’onda che lascia conchiglie sulla spiaggia, tante persone sono arrivate sulla mia sponda.

Dopo tutti questi racconti meravigliosi, devo chiederti un’ultima cosa. Tu sei di Bologna, e a Bologna non c’è il mare: cosa rappresenta per te questo elemento, e che rapporto hai con il mare?

Per me è qualcosa che non c’è, che sta fuori: è l’altro, un elemento non consueto, ma allo stesso tempo è casa. Ho sempre frequentato il mare, i miei genitori mi ci hanno sempre portata nelle vacanze estive, ho imparato a conoscerlo mentre imparavo a vivere, e dall’infanzia ha toccato tutte le tappe della mia vita, prima con i miei, poi per un periodo in cui ho vissuto sul mare. Ogni volta è stato un contrappunto della mia crescita personale. In più, da anni faccio soltanto ogni in cui sono immersa nell’acqua: spesso sono molto simili, ma alle volte cambio scenario, cambio acqua. Allora mi dico che ho il mare nelle vene. Per questo forse non voglio mettere le bombole e andare giù: lo lascio fare al mio sub, di immergersi, io il mare ce l’ho già dentro.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!