Il 25 aprile 2020 sarà una Festa della Liberazione indubbiamente diversa dal solito: tutti a casa, è ancora tempo di quarantena, di emergenza e di distanziamento sociale genarato dalla pandemia che ha causato decine di migliaia di morti in tutta italia per coronavirus. Tanto ha circolato – e ancora parzialmente si coglie, nelle narrazioni scritte, via tv e web – la metafora della guerra come scenario associabile a questa condizione inedita, drammatica e per molti versi angosciante. Tuttavia, mi schiero dalla parte di chi non sposa l’utilità di questo paragone, anzi, ne prende le distanze. Sì, ci sono anche qui esplosioni – quelle di contagi -, ci sono i soldati in prima linea – i medici -, ci sono, concretamente, i militari, c’è la conta straziante dei morti. C’è la paura, si percepisce il pericolo, e ci sono le regole straordinarie, come i decreti – i famosi DPCM, da utilizzare proprio in situazioni di crisi, come le guerre, e ci sarà un anno scolastico snaturato, che io associo alla scuola ai tempi dei bombardamenti e del post 8 settembre 1943 (una scena significativa di scuola svuotata e inservibile è in La casa in collina, di Cesare Pavese)

Nonostante tutto questo, la guerra è un’altra cosa e il 25 aprile è qui per ricordarcelo. La memoria è infatti uno dei perni di questa ricorrenza che celebra la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Una memoria viva, vibrante. Mi dispiacerà un sacco non essere a Torino e non partecipare in questa data così centrale alle tante iniziative che il 25 aprile aprono in città un ideale canale di condivisione con il passato, per raccontare, per non perdere. In tanti anni ho avuto occasione di scoprire i rifugi sotterranei con volontari che simulavano gli operatori dell’Unpa, ho visto bus sbandierare tricolori agli specchietti, ho visitato mostre, archivi storici, potendo farmi un’idea di bombardamenti, situazioni, di com’era la vita prima di quel 25 aprile, e poco dopo. A questo serve il 25 aprile: a ricordare. Ecco allora qualche spunto, esperienze, letture, frammenti, perché sia un 25 aprile 2020 speciale, sì, ma pur sempre un buon 25 aprile.

La maratona web del Polo del ‘900 di Torino per la Liberazione

«Quest’anno i festeggiamenti per il 25 aprile saranno online», ha annunciato il Polo del ‘900 di Torino, ente culturale che riunisce tante realtà archivistiche e di ricerca della città e non solo. Niente fiaccolata, niente eventi, niente mostre, visite, incontri. Sarà una Liberazione ideale, via web, con una maratona realizzata dalla Città di Torino, dal Polo del ‘900 e dai suoi enti, dalle Biblioteche Civiche Torinesi, dal Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio Regionale e in collaborazione tecnica con il Centro di Produzione della RAI di Torino e il Consorzio TOP-IX; media partner La Stampa. A partire dalle ore 10.00, su la Stampa, Comune di Torino e CR Piemonte via alla staffetta digitale, una grande piazza virtuale da seguire sui social con l’hashtag #Torino25aprile.

Al centro ci saranno i valori della Festa della Liberazione, le persone che li hanno rappresentati. «Attraverso diversi linguaggi dal cinema al teatro, dalla musica alla letteratura, il sito del Polo diventerà un luogo dove trovare contenuti accessibili online gratuitamente e ascoltare testimonianze e riflessioni» annuncia il comunicato stampa, e io penso che è una cosa importante, e bella, e che dobbiamo tutti approfittarne per ricordare anche se non potremo vivere la Festa a Torino, insieme. Ci sono tanti documenti, esperienze e testimonianze che portano dentro la città bombardata, fanno respirare la paura, i valori. Ci sono le storie dell’avvocato Bruno Segre, resistente da ben 101 anni, e di tanti partigiani, gli stessi che si incontrano spesso nei libri, perché il Piemonte è terra di resistenza, e nella città distrutta, la Torino di quel giugno 1943, la risposta per la Resistenza è stata grande, basta leggere Primo Levi, Cesare Pavese, e tra i giovani autori che cito anche in Torino di carta, Alessandro Musto.

Il treno dei bambini, di Viola Ardone

Una lettura che non ha come focus il 25 aprile, ma che a quella data guarda, e guarda anche, naturalmente, alla guerra appena trascorsa, ai bombardamenti, alle azioni partigiane e al fascismo, è Il treno dei bambini, di Viola Ardone (Einaudi). Si tratta di un romanzo che racconta la storia di un bambino e di come, nell’immediato dopoguerra, da Napoli è stato mandato a Modena sul cosiddetto treno dei bambini organizzato dal Partito Comunista, un’iniziativa di solidarietà per togliere dalla miseria nera tanti bambini usciti dalla guerra senza niente, nemmeno le scarpe. La guerra, appunto, è alle spalle: tra le righe risuonano episodi, si trovano storie di partigiani, di coraggi, di resistenza, ed è emozionante rileggere la storia a conflitto finito, ritrovare quelle esperienze e quei valori in tempo di pace, e di miseria, e di macerie.

-Ti canto una ninna nanna? – A me le ninne nanne mi fanno venire la tristezza nella pancia, ma non glielo dico, per non farle prendere collera un’altra volta. –Sì – dico con gli occhi chiusi e un piede attaccato alla sua gamba, ma spero che non è quella del bambino e dell’uomo nero che se lo tiene un anno intero, perché se no è sicuro che mi viene da piangere e domani mi mettono di nuovo sul treno e mi mandano a casa. La signora ci pensa un poco e poi inizia a cantare la canzone che ho sentito quando siamo arrivati alla stazione, dove ogni due minuti dicono bella ciao ciao ciao.

Gianni Rodari e La madre del partigiano

Quest’anno si festeggiano i cento anni dalla nascita del maestro della fantasia, Gianni Rodari. Dalla storia del Novecento e dalla Resistenza, l’autore di Favole al telefono e della Grammatica della fantasia attinge per una filastrocca che ogni volta mi commuove, perché parla di valori grandi, eppure semplici, di neve, di libertà e di monti azzurri. Si intitola La madre del partigiano

Sulla neve bianca bianca
c’è una macchia color vermiglio;
è il sangue, il sangue di mio figlio,
morto per la libertà.

Quando il sole la neve scioglie
un fiore rosso vedi spuntare:
o tu che passi, non lo strappare,
è il fiore della libertà.

Quando scesero i partigiani
a liberare le nostre case,
sui monti azzurri mio figlio rimase
a far la guardia alla libertà.

Fischia il vento: Cascione, Calvino e gli altri

«Scarpe rotte e pur bisogna andar»: recita così Fischia il vento, il «canto dei ribelli». Canzone partigiana nota ovunque, è nata nel ponente ligure, nell’entroterra di casa mia. L’autore è «U Megu», nome di battaglia di Felice Cascione, giovane e coraggioso medico di Imperia che in quell’entroterra ci ha lasciato la vita. Lo ricordava sempre mia nonna, che non l’ha mai chiamato Cascione, ma sempre con nome e cognome, Felice Cascione. Perché la memoria di quel ragazzo era viva, tra le mura di casa: tutti lo ricordavano, anche la mia bisnonna. Mia mamma dice sempre che ogni volta che si ricordava in qualche discorso Felice Cascione, la mia bisnonna piangeva. È un emblema, U Megu, è un simbolo, un riferimento anche per quelli della mia generazione, che non l’hanno certo mai conosciuto.

Di questa figura bellissima non solo racconta il murales che vedete nella foto, che si trova in Largo Ghiglia, a Oneglia, Imperia. Ma parla anche Fischia il vento (Castelvecchi, 2013), il libro che l’amica e collega Donatella Alfonso ha dedicato a Cascione alla nascita del canto Fischia il vento, nel 1944. In questo testo Donatella ricostruisce la vita e la storia di U Megu, con tanti documenti e con preziose testimonianze di chi lo ha conosciuto. Come tante storie della Resistenza, anche questa è una storia legata a un territorio, alle sue specifiche, ai suoi personaggi. Ma è anche una storia universale: una storia di ideali, di valori, di coraggio. La scorsa estate si discuteva con amici di Milano della mia città, del suo presente. Ne usciva un ritratto poco encomiabile, e allora ci siamo fermati, e dopo aver frenato io e gli amici ci siamo ricordati, e abbiamo raccontanto, quest’altro volto del ponente ligure, quello resistente, quello che hanno conosciuto i nostri nonni, che è scritto nel nostro dna, e che per fortuna ci portiamo dietro, ci commuove e ci emoziona. Ci fa sentire parte di un territorio da amare e difendere.

«Non fu vano il tuo sangue Cascione, primo, più generoso e più valoroso di tutti i partigiani. Il tuo nome è leggendario»: lo scriveva Italo Calvino, che nella brigata Garibaldi di Cascione aveva combattuto, partigiano nel ponente ligure col nome emblematico di Santiago. Quell’esperienza è raccontata dagli occhi di Pin in Il sentiero dei nidi di ragno: è così che Calvino ha esordito nel mondo delle lettere, ma anche in qualche racconto della raccolta Ultimo viene il corvo. Sono testimonianze preziose che attraverso la scrittura letteraria parlano di resistenza, di valori e coraggio, raccontano un passato che si allontana sempre di più dall’oggi e che dobbiamo continuare a ricordare e festeggiare. È quel che passato che, oggi, ci fa parlare di libertà.

Proprio con questo scopo Gad Lerner e Laura Gnocchi in collaborazione con Anpi e con tanti colleghi giornalisti sul territorio nazionale hanno costruito un grande affresco con tante voci di chi fu protagonista in quella Resistenza e il 25 aprile. Sono tanti partigiani ancora vivi e lucidi, capaci di raccontare. E sono racconti che andavano raccolti, fissati: oggi sono dentro un libro, Noi partigiani, e finiranno il 27 aprile su Rai3. «Un monumento di parole e volti» lo definisce Donatella Alfonso, che al progetto ha collaborato raccogliendo storie ligure di partigiani. Tutte queste testimonianze finiranno in un sito: una sorta di monumento per non dimenticarci mai chi è stato, ben prima di noi, a lottare per la libertà. E chi ha saputo, poi ricostruire.

Lo avete notato? Libertà, memoria, ricostruzione: sono parole che fanno già parte del nostro lessico attuale, quello del 2020, l’anno della pandemia, l’anno della quarantena, l’anno che ha cambiato tutto e che finirà nelle date da ricordare, insieme al 25 aprile passato in casa, una festa insolita, ma pur sempre una Festa.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!