Finisce marzo, conto la pagina di diario dalla quarantena numero 23. Come sembrava distante all’inizio l’obiettivo dei 25, eh? Ma non sono nemmeno più 25 i giorni di clausura imposti dall’emergenza Coronavirus: diventeranno molti, molti di più, una quarantena autentica, che supererà di poco i quaranta giorni. Si va, per ora, al 18 aprile, poi si vedrà. Ho riflettuto se cambiare o meno il titolo a questo diario virtuale, ma poi mi sono detta che potevo anche lasciare l’impronta originale, così da ricordare contesti, presupposti e mire che mi avevano spinta, quel lunedì 9 marzo, ad affrettarmi con le dita sulla tastiera per lasciare una traccia viva di quanto ci stava colando sopra come una nuvola di ceneri e lapilli improvvisa.

Imprimere nella memoria, come le statue di Pompei, come i fossili da interpretare nel futuro. In forma meno drammatica, seppure là fuori la tragedia sia sfilata e continui ad andare in scena negli ospedali, potrei dire che l’intenzione era usare la scrittura per fotografare il mio stato, il cambiamento che sarebbe occorso dall’inizio alla fine, una fine cangiante, e un percorso che ha già rilevato numerose e inattese curve.

Sembra un rettilineo sconfinato, ingabbiati in casa nel tempo vuoto da riempire, ma il mio, come spesso ho detto, non è mai stato, invece, un percorso più in salita, accidentato, un vuoto che ha bisogno del massimo impegno per essere arredato, o che forse fa l’effetto contrario: togliere, sottrarre peso. La leggerezza calviniana.

Oggi vorrei che la parola chiave fosse scrittura, perché oggi ho scritto da mattino a sera. Ho scritto per me. Ed è stato bellissimo. Ho scritto poco, è vero, ma ho segnato appunti che costituiranno ossature decisive, ho concluso un raccontino, ho portato avanti il diario, pensato quello odierno, abbozzato snodi, risposto a mail che avevano a che fare con il singolo e puro piacere della scrittura, ottenuto un incarico di scrittura. Scrivere tutto il giorno: la felicità. Scrivere per me, con i miei tempi, i miei argomenti, le mie scelte. Lo so che è un privilegio, che è anche e al contempo una specie di condanna: so già tutto, soppeso sfumature e prospettive da anni. Ma continua a suonarmi come la colonna sonora perfetta per la mia vita, mi scende addosso come il mio vestito preferito, è confortevole. La scrittura la gestisco – o quasi – la scrittura mi riempie, mi dà soddisfazione come poco altro al mondo.

Creazione pura, dita, tasti, dita, schermo, leggi, riscrivi. Non è un processo del tutto cosciente: le dita lo sentono, improvvisano a volte con la stessa solida certezza con cui un jazzista gorgheggia nel suo spazio di improvvisazione. Sanno quando accelerare, alzarsi, quando è tempo di chiudere. Hanno un solo nemico grande: la pigrizia. La scrittura è anche tempo perso. Tempo vacuo, buttato ai rovi, eppure a volte tempo così prezioso per disegnare e scolpire idee tra i pensieri, averle già nitide quando le butti giù sul foglio, quando si gonfiano, prendendo vita e presentandosi in tutta la loro complessa pienezza lì, sullo schermo, così vive che le vedi. A volte spaventano, a volte stupiscono: ma l’ho creato io? Davvero?

Ho perso le parole, provato rabbia, pensato agli amici, ho represso preghiere e portato al massimo grado di esasperazione i pensieri, mi sono arrabbiata, ho provato paura, vissuto l’ansia, la speranza, cullato pensieri dolci e scacciato giudizi e cattiverie, ma l’ho sempre fatto per via scritta. Pochissime videochat, non ho mai aperto Skype, nemmeno Zoom, nessun aperitivo online nè caffè. Io e lo schermo: una battaglia quotidiana, come del resto è sempre stato, prima della quarantena, con buona probabilità anche dopo.

Chiusa in casa durante l’emergenza Coronavirus a scrivere: che privilegio. Desideravo farlo da anni: alzarmi al mattino e avere in testa solo la possibilità di scrivere, ragionare sui personaggi, costruire le trame, provare se funziona tutto, osservare la pagina e sforzarsi di trovare idee. Che meraviglia assoluta: il mio mondo, quello che vorrei fare nella vita, questo e basta. Sognare è possibile, no? Almeno qualche minuto ogni giorno, lasciatemi pensare che potrei vivere di scrittura. Sì, sì, so tutto: non ci si campa, devi produrre qualcosa di davvero forte, di originale e unico, devi conquistare i lettori, devi trovarti un agente, sperare che la casa editrice ti consideri. Un sacco di passaggi, lo so. Ma quanto, quanto è bello potersi mettere a scrivere e non pensare a niente altro che a scrivere per sè?

Oggi è stata la giornata della scrittura, tutta per me: qualche necessità burocratica da portare avanti, il lievito madre vispo da rinfrescare, una notizia bellissima dall’ospedale e i sorrisi per una collega, qualche scemenza, i soliti tanti messaggi, un paio di proposte, musica in quantità, spunti, futuri possibili, storie. Apprezzo, accolgo, metto qui, spero di costruire proprio partendo da questi mattoni.

Perfetta per il momento, una ballade da gustare in un’atmosfera calda e accogliente, In My Solitude, Kandance Springs.

Leggi tutte le giornate del mio diario di quarantena: 25 giorni a casa.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!