È la Vigilia di Natale, giorno magico, giorno speciale, soprattutto giorno di attesa. Ecco allora che un librino appena ripubblicato da Bompiani dopo tanti anni fa breccia nel mio cuore e decido di parlarvene proprio oggi. Perché? Perché Nel paese della Gattafata di Orsola Nemi è una favola, e se vogliamo una favola di Natale, dove a personaggi bizzarri, bambole e animali parlanti, si uniscono le leggendarie figure dei Magi, in cammino per portare omaggi a Gesù che è nato. Mi sembrava quindi perfettamente a tema parlarne oggi, quando il viaggio per Betlemme sta per iniziare, verso quell’Epifania che in un soffio porterà via il calore, lo sfavillio e la rilassatezza coccolante delle feste.

Innanzitutto, l’autrice. Orsola Nemi, pseudonimo di Flora Vezzani, classe 1903, è stata un’intellettuale riservata del Novecento. Compagna, e poi moglie, dello scrittore americano Henry Furst, per tutta la vita scrisse storie, articoli e tradusse. Ho avuto il piacere di conoscerne le vicende perché casa mia è vicina a Cervo, un borgo ligure dove Orsola visse col marito, ed è in omaggio a questa frequentazione che da qualche anno a Cervo si svolge Cervo ti Strega, rassegna letteraria estiva dedicata ai finalisti del Premio Strega. Questo perché la coppia visse frequentando, anche se in modo mai eccessivo e mondano, i grandi intellettuali del secolo, inclusa la famiglia Bellonci, che del premio Strega è promotrice. Per dire: a volte negli angoli più impensati del mondo si nascondono storie grandi. E a volte da questi angolini tranquilli e fuori dai grandi circuiti mediatici, prendono vita le cose belle.

Tra le cose belle c’è per esempio questa favola Nel paese della Gattafata, uscita nel 1944 con le prestigiose illustrazioni di De Chirico (un’edizione che, mi conferma Google, è rarissima e dunque assai costosa). Orsola Nemi infatti, a corollario di una biografia molto particolare – la poliomelite a tre anni, la consacrazione di scrittrice ricevuta da Montale e l’amore per la natura, i gatti, i libri – fu autrice di molte favole, che pubblicava su diverse riviste. Favole per bambini, ma anche favole più complesse e articolate. Come quella che narra questa sorta di racconto lungo, che porta il lettore alla scoperta dell’incantato mondo di Marfisa, l’elegante gatta nera dotata di poteri magici, come quello di decorare i soffitti con brillanti stelle scese dal firmamento. Una gatta-fata, appunto. Una gatta che, come tutte le gattefate che rispettino, è dotata di parola e protagonista, insieme a tanti altri personaggi strani e sognanti, di una storia che si allarga a cerchi, nel pieno rispetto della formula narrativa che rende tali le favole: obiettivo, ostacolo, modi per aggirarlo, risoluzione finale.

“Santo Re,” dissi a Melchiorre che mi aveva parlato, “vorrei una bella favola”.
“Bene,” rispose Melchiorre, “il tuo è un giusto desiderio. Che cosa si può desiderare di meglio, e specialmente nel giorno dell’Epifania? Una bella favola rallegra per tutto l’anno. Vieni con noi, andremo in una casa dove sentirai narrare una bella favola”

Di personaggi, ostacoli, risoluzioni e dunque nuove storie, questo libricino è densissimo: in un attimo, sfogliandolo magari proprio in questi giorni dedicati al Natale e alle calde atmosfere dei sogni, ve ne renderete conto, e vi farete rapire con sorrisi e un filo di commozione. Perché in fondo si tratta sempre di una favola, capace di riportarci a un mondo fatto di magiche possibilità. Ed è una favola del 1944, che ha nella sua scrittura una gentilezza, un garbo e una dolcezza di altri tempi. Una carezza, insomma, e una favola che riesce allo stesso tempo ad agganciare l’attenzione dei piccini, con la sua costante tensione alla risoluzione e i suoi personaggi inanimati che diventano pienamente umani, ma anche quella dei grandi, che ritornano piccoli e leggono un secondo livello fatto di immaginari, magie e piccole cose semplici. Perché l’impressione che ho avuto non è stata quella della classica favola con una morale, no, affatto. Al centro del viaggio nel paese della Gattafata c’è tanta, tantissima scrittura e libertà di esplorazione: ci sono avventure, personaggi, immaginari e tasselli di culture rimescolati in una specie di torta millefoglie dove ogni pagina conserva un pezzettino, lo rielabora, lo mette in relazione con gli altri.

Ci sono infatti i gatti parlanti, animali amati da Orsola Nemi, c’è la natura che si esprime in loro, negli animali, e nel susseguirsi dei paesi dedicati alle stagioni, ci sono incantesimi e maledizioni, querce parlanti, una bambola di nome Vanetta, e un bizzarro personaggio dalle scarpe con la punta lunga, Gianni Feltro. C’è la ricerca, l’ingresso magico in un quadro, che mi ha ricordato il film Disney di Mary Poppins. E poi c’è la tradizione cristiana, perché ci sono i Re Magi in cammino verso Betlemme, e il Santo che elabora il calendario, San Silvestro. Ecco perché questa di Orsola Nemi è una favola perfetta per questo periodo, una favola di cui vi parlo la Vigilia, e vi scalderà il cuore da qui al 6 gennaio, e poi oltre, perché, come dice Melchiorre, una bella favola aggiusta un anno intero.

Ora andiamo a darci una pulita, perché sta sera aspetto tre persone di riguardo: Borea, Libeccio e Tramontano. Sono qui di passaggio; hanno lavorato tutto l’inverno, portano verso il Nord il freddo, la neve la pioggia, e io devo ospitarli. Ti presenterò

Dal bosco creato tra le gambe scolpite a foglie del tavolo, Vanetta e Giani Feltro, che quando fuma la pipa crea dei sogni di fumo, partono per il viaggio dentro al quadro alla ricerca di Silvestro, il gattino che vi è entrato per raggiungere il santo che gli dà il nome. È qui che incontrano la Gattafata, e che stagione dopo stagione affrontano pericoli e incappano in nemici, aiutati da tanti personaggi conosciuti lungo la strada, tra cui Baldassarre, Melchiorre e Gaspare, tra cammelli, magiche ricette di torte che tra gli ingredienti conservano la fiducia, bisacce che contengono venti freddi, pesci di nome Adamo, vermi luminosi e addirittura un cavaliere di nome Bradamante. Basta un nome, e per me è subito atmosfera cavalleresca à la Orlando Furioso, clima ariostesco tra una marea di personaggi, ciascuno al galoppo lungo una linea narrativa che si intreccia a quella di altri, dando vita a sipari e altre avventure, in un gomitolo che ha l’essenza stessa della favola, la carica narrativa che tende a un finale che tutti aspettiamo.

Un finale che coincide, nel paese della Gattafata, con l’incontro di San Silvestro, il santo che compila il calendario, aiutato da un merlo con un grande termometro, e da inchiostro nero per i giorni feriali e rosso per quelli festivi. Come in ogni favola magica che rispetti, il finale di questa picaresca storia vede tutti i personaggi riuniti, le ricerche concluse, le linee narrative ricondotte al gomitolo che ci ha appassionati nelle precedenti pagine. La direzione è una: Betlemme. Una nave attende al porto la carovana di cammelli, Vanetta, Gianni Feltro e Marfisa la Gattafata, una combriccola bizzarra e di tutto rispetto alla quale, sono sicura, vi affezionerete anche voi, come ci si affeziona a una favola di Natale che attraverso la fantasia e la delicatezza è capace di farci volare altrove con l’immaginazione, e far battere il cuore, rinascere il sorriso. Questi sono i mesi dell’anno descritti da Orsola Nemi nel paese della Gattafata, vi lascio con questo augurio per l’anno che si chiude e quello nuovo che si apre: sognate, non smettete mai!

Uscimmo tutti insieme dalla stanza di san Silvestro. Il santo aveva indossato una bella zimarra nuova, rossa e portava in mano la sua lucerna. Lo seguimmo attraverso una galleria oscura. Sulle pareti della galleria erano dipinti i mesi dell’anno. Il lume della lucerna si posò su Gennaio; era un orso bianco con un mazzo di agrifoglio fra le zampe. Gennaio si animò, lasciò la parete, e seguì san Silvestro; così fecero tutti gli altri mesi a mano a mano che il lume della lucerna li toccava. Febbraio era una ragazza dai capelli rossi, con le scarpine d’argento, e portava un mazzo di mimose; Marzo, era invece un puledro, e aveva sulla fronte uno smeraldo grosso come una noce, nitriva e camminava con brio. Febbraio gli salì in groppa e fece posto anche ad Aprile, che era una colomba con una collana di perle. Maggio era un pavone, aveva sulla testa un pennacchio di zaffiri e si guardava intorno con aria meravigliata. Giugno era un albero di melograno; si muoveva a stento sui piedi storti, ma il suo viso abbronzato era molto bello tra i fiori rossi come creste di gallo. Luglio era un’aquila e doveva camminare tenendo le ali strette e ripiegate per non urtarle al muro. Dal collo le pendeva un radioso brillante, e Luglio guardava tutti con orgoglio e anche un po’ irosamente, come un gran signore con la pelliccia fra la calca. Su di lui si muoveva una nuvola gonfia di polvere d’oro; era Agosto. Vennero poi Settembre, un angelo vestito di lino azzurro con un flauto tra le dita; Ottobre, una vecchietta con un canestro di castagne; Novembre, un cane nero, grosso e peloso, e Dicembre. Dicembre era una volpe azzurra, con gli occhi gialli e una magnifica coda.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!