Ci doveva essere qualcosa di straniante nell’aria, qualche segnale di ciò che sarebbe stato, qualche indizio. L’ho trovato nelle foto del telefono, andando indietro come sempre questi ripensamenti sul mese appena trascorso. Le immagini della catastrofe che ha chiuso ottobre a casa mia, un mare come ma si era visto prima e danni enormi alla città hanno trovato un naturale collegamento in una foto sfuocata scattata il 1 ottobre dal treno: Alassio imbiancata di grandine che sembrava neve. No, non è normale. Sono perle di una collana di segni sempre più grandi che continuiamo a sottovalutare ma no, non è affatto normale.

È così che è partito il mese: la spiaggia ancora nei ricordi e l’autunno che si annunciava nuovo, tropicalizzato, violento. Ma chi ci avrebbe più pensato, dopo quello straniante pomeriggio? A posteriori, è stato negativo. Poi la vita a ottobre ha continuato a procedere, seppure con un clima insolitamente caldo: giri, corse, conferenze stampa, libri (è stato il mese di Giovanni Arpino, direi, nel bene e nel male) da inseguire e da accumulare, prima che da leggere e di cui scrivere. Un mese affollato di carta, come pochi altri. Il mese in cui ho anche visto un gran bel film al cinema, in una parentesi recuperata da una delle giornate frenetiche.

L’estate sembrava ancora nell’aria, e così i ritorni a casa a godersi i tramonti lilla, l’aria di sale, l’atmosfera ancora di vacanza. Era appena iniziato ottobre quando ho incontrato Mattia Maio, in una di quelle assurde coincidenze della mia vita personale e lavorativa che mi portano a partecipare a incastri straordinari di vite e persone. Mattia è di Imperia, è un artista e lavora a Torino con la sua macchina da scrivere con cui disegna. Questo mese ho dedicato a lui una bella intervista, e il caso ha voluto che sempre in ottobre Mr Fijodor, altro arista di Imperia, sia uscito con un bellissimo lavoro dedicato al mare e alla plastica che lo intossica, una balena su un muro di Torino, anche in questo caso è stato un piacere parlarne.

Andando indietro con le pagine del mese, va detto che oltre la cortina costante di ansia e stress, qualche bella soddisfazione lavorativa c’è stata, come l’intervista a Diego Bianchi, alla Cavallerizza di Torino per il primo incontro di una serie in preparazione di Biennale Democrazia. È stata una mini chiacchierata prima che persone e doveri portassero via Zoro dal divanetto in stile Dandini dove ci avevano piazzato, tuttavia il succo che ne è uscito è stato piacevole, come lui, umile e affatto spocchioso. Essendo uno dei narratori di realtà che più seguo ultimamente, avevo molta ansia, è stato decisamente un bel colpo.

Come bello, bellissimo è stato quello telefonico con Gian Luigi Beccaria. No, dico, Gian Luigi Beccaria, il linguistica, disponibilissimo e gentile, con la stessa identica voce che ricordavo dai programmi in tv. Anche qui, molta ansia, per uno dei  professori che più stimo. L’occasione, poi, era bellissima: il Festival del classico a Torino, prima edizione, un’occasione per lucidare i ricordi del liceo e di tutte la basi della mia – nostra – cultura.

A ottobre ho firmato dopo rocamboleschi eventi una cosa importante, che sta condizionando la mia vita, e questo non dovrei scordarlo, sempre mentre nuoto in mezzo al caos di cui sopra, e gli eventi arrivano come nuove ondate a spostare il lumicino, confondere e stancare. Perché mi sono stancata: di difficoltà che non ho cercato e mi impongono gli altri, di errori non miei che mi si catapultano addosso, del dovere senza mai diritti. Mi sono davvero stancata: sono arrabbiata, amareggiata, impotente. Mia nonna ha ascoltato interessata una delle mie lamentele su questo punto, e mi suggerito di resistete, combattere. Metaforicamente: tirare fuori le palle. Mia nonna è di un’altra tempra, quella convinta che tirando fuori le palle le cose accadano. Io invece in certi frangenti del mondo contemporaneo intravedo solo orizzonti di cinismo.

Poi c’è stata la pioggia, e c’è stato il raffreddore. Se la memoria non mi inganna, ci sono pioggia e raffreddore da almeno metà mese (anche se oggi che scrivo è già novembre). Malanni trascinati, pioggia che non lascia tregua. È l’autunno, lo so, ma è scocciante lo stesso. Se poi mentre piove ti devi spostare, con i mezzi e a piedi, come infatti è successo per andare in luoghi di Torino anche distanti da casa, lì è davvero lo sconforto massimo.

In una di queste giornate umide è anche successa una cosa stranissima che come tante delle altre è stata in parte inghiottita dal resto in turbinio costante sull’agenda. Forse perché in effetti non ha dato e non meritava tanto. Ho incontrato Bianca Pitzorno, che è tipo il mio mito dell’infanzia. Mi sono fatta autografare Ascolta il mio cuore, che è tipo uno dei miei libri preferiti di sempre. Era una rivalsa, una piccola vittoria dopo che, circa 20 anni fa (se ci penso è da capogiro)  al Salone del libro non riuscii a raggiungerla e persi l’occasione. Mi sono agitata, manco a dirlo, avrei voluto spiegarle miliardi di cose, ma lei come sempre è stata asciutta, distante, l’ago che buca il palloncino del mio entusiasmo bambino che ancora una volta è costretto a diventare razionale e cinico. Insomma: viva Prisca Puntoni, che di Ascolta il mio cuore è l’eroina che ho amato, ma fuori dal testo è meglio non metterci il naso, per evitare delusioni.

Poi c’è stata Trieste. Una manciata di giorni per la traversata di Italia incontro alla Barcolana, la regata più grande d’Europa con migliaia di vele a punteggiare un golfo e una città che sono sempre meravigliosi. Tre giorni brevi, ventosi, raffreddati ma bellissimi, di sorrisi e capelli arruffati, di caffè storici e fritture giganti, di alberi, cime, fuochi artificiali e Frecce Tricolore sul mare azzurro che sembrava estate. L’Amerigo Vespucci è un gioiello, e per la prima volta ci sono salita a bordo. Ho visto Donatella Bianchi, conduttrice di Linea Blu e presidente Wwf, e sono stata tre giorni con la mia amica, che è la cura migliore per tutto.

Certo, uno dovrebbe curarsi anche bene da un raffreddore che diventa febbre e tracheite, e ostacola le trasferte. Perché di treni a ottobre ce ne sono stati parecchi. E così Genova, novità lavorative, focaccia e caffè. Poi Sanremo, perché al Premio Tenco c’era Zucchero, e gli amici di sempre che non so bene perché ma oltre chilometri e aerei, finisce che ci vediamo e sembra passato un giorno solo. Una serata bellissima e lunga al Teatro Ariston, davvero da gustare, tutta live e con il teatro al nudo, ma pienissimo.

E poi ottobre di libri, quelli sempre, ad accompagnare inaspettate giornate di mare. Il 20 ottobre a Imperia era estate, era sabato: restare a casa? Certo che no. Una zainata di libri, asciugamano e focaccia e al mare ci sono stata davvero una giornata intera, abbronzandomi e facendo ben due bagni. Nonostante ottobre, nonostante il raffreddore (ma poi c’è un ma, lo scopriremo insieme quando arriverò alla fine del mese, non invidiatemi troppo).

È stato un episodio straniante, l’atmosfera estiva, nessuna bava di vento e il benessere, straniante nel galleggiare sul pelo di un’acqua cristallo che non era nemmeno così fredda. E in casa uguale, sembrava estate, tanto che ci siamo festeggiati una domenica qualunque con le orate come avremmo fatto verso maggio. No, non era in effetti normale.

Ho ripreso a viaggiare, tra Enrico Brizzi e il suo cammino tra le regge del Piemonte e serate assurde di Lonely Planet mentre il Piemonte veniva proclamato regione più interessante del mondo da vedere nel 2019, ho visto la presentazione de nuovo libro di Margherita Oggero, e fatto le foto al mitico Pippo alla bellissima mostra su Armando Testa, e i Macchiaioli. E mentre a Torino pioveva e ogni tanto dai comignoli saliva su uno quei tramonti autunnali che mi fanno amare questa città, per strada spuntavano parole e figure retoriche con cui Zanichelli ricordava la bellezza della lingua italiana.

È stato lì, davanti alla Gran Madre sotto l’ombrellino colorato il 31 ottobre che ho visto l’iperbole di Giacomo Leopardi. E allora mi sono detta che il senso del mese era questo, era un’iperbole. L’esagerazione nella grandine del 1 ottobre, l’apocalisse di quello che è successo in tutta Italia a fine mese, da me è successo nella notte tra il 29 e il 30, con venti mai sentiti prima, il mare indemoniato come mai. Danni, danni enormi: alberi staccati, volati, sradicati. Tetti, dehors, chioschi divelti. E le spiagge, con tutte le loro infrastrutture, che praticamente non esistono più. Il muretto che apre questo post, fotografato in una dolce serata del 4 ottobre, non esiste più, è stato staccato e trascinato via con violenza. Il molo lungo di Oneglia sta affondando, ceduto sotto la spinta bestiale delle onde. La mia città va giù, e questo evento devastante mi ha sconvolta, perché è inaudito, perché è colpa nostra, perché non c’è più un punto fermo per la mia generazione, che sta vivendo in pieno i danni che conseguono alle azioni di chi è venuto prima. E allora nonna, io te lo domando anche alla luce di questo: ma dove la trovo la grinta quando mi guardo intorno e vedo questo sterminio che sembra l’apocalisse e contro cui io, singolo, non posso fare niente? Interminati spazi, e sovrumani silenzi: è tutto troppo oltre la mia singola vita, e se ci penso con raziocinio, mi dico che a ottobre ho imparato questa cosa fondamentale, che bisogna farsi un mazzo così, e non è detto che basti.

Così dopo la sciagura delle immagini in tv e sui giornali, non m’è rimasto che scoprire che i treni erano cancellati, e nemmeno arrabbiarmi, perché il danno era enorme, enorme che non si poteva immaginare. Il 30 ottobre è arrivato l’autunno, un giro in centro e una farinata calda, tempo di ripartire, e trovare, a paletto di stagione, Paratissima, e incappare in un altro snodo spazio temporale di quelli che consolano in casi di sconforto grande, come questo. Torino, jazz club, due cantautori inglesi e un’amica, tutti presentati da un’amica comune che vive a Londra. Relazioni stiracchiate oltre lo spazio tempo – e se dico così è perché l’ultima lettura del mese è stato un affascinante libro sui buchi neri della mia astrofisica preferita, Elisa Nichelli, di cui vi parlerò presto – incroci, scoperte, corse a casa all’una di notte con cd e magliette. E musica nuova da ascoltare, perché mentre le onde si mangiano le città e gli alberi del bosco sono sterminati, c’è bisogno di nuova musica per ricominciare a coltivare grinta e credere in qualcosa, io credo.

 

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!