Sostengo da sempre che i libri attivano circuiti invisibili: di senso, di temi che si incontrano, di ragionamenti che nascono. Non ne ho le prove tecniche ma deve essere proprio così: non si spiegherebbe, altrimenti, come nel giro di una settimana sia incappata in un ragionamento sull’imperfezione letto da un post di un’amica sui social e, subito dopo, abbia letto Noi imperfetti, il nuovo libro dello psicanalista Roberto Goisis. Dell’autore, e dei suoi lavori, avevo già avuto modo di parlare su questo blog, a proposito della Stanza dei sogni, e poi su Lucialibri a proposito di Covid. Oggi Goisis dedica un volume (anche questo pubblicato da Enrico Damiani Editore, come i precedenti) dedicato a un tema che normalmente sta a cuore a tutti – il nostro essere imperfetti, quindi fragili, incompleti, “sbagliati” – e di fronte al quale, nella vita concreta, dobbiamo fare i conti pressoché sempre, in continuazione e per mille ragioni.

Parlavo di un post. L’ha scritto un’amica che di mestiere comunica e scrive, e dunque è molto bello, molto vero, e vibra di una ricchezza tutta sua: la ricchezza delle cose lette per caso, ma che sanno leggere te stesso raggiungendoti esattamente nel momento in cui ce n’è bisogno.  Partendo da un dialogo di una serie tv, il post sviluppava l’idea che ciascuno di noi è costantemente impegnato a dare il proprio meglio, ma si deve confrontare con dei limiti. Mi ha agganciata perché mi riportava a un passaggio di un libro bellissimo, L’istante largo, di Sara Fruner, che dice: “Il mondo è fatto di persone che fanno quello che possono. E loro, in qualche modo, sono arte”.

Noi – inguaribili – imperfetti

La mia amica scriveva questa cosa: “È la presa di coscienza dei nostri limiti, limiti che hanno a che fare con [le nostre] caratteristiche, con i sistemi di cui facciamo parte, con ciò che ci viene chiesto di condividere e che invece, magari, sentiamo che può andare in contrasto con quel che crediamo giusto, o anche solo sensato. È la consapevolezza che quel che possiamo fare deve, a volte, arrendersi ai limiti della nostra sopravvivenza, e questo non è sbagliato, è solo la nostra natura di mammiferi prima ancora che di umani”.

Il post mi ha colpito perché c’è un riconoscersi – e mi sono riconosciuta – e poi c’è un assolversi: è vero, ciascuno è imperfetto, e questa è arte forse. “A volte – proseguiva il post – è nel riconoscere e accettare i nostri limiti che troviamo pezzi della nostra identità. Finché crediamo di poter fare tutto, rispondere a tutte le domande nel modo giusto, finché pensiamo di potercela fare solo perché vogliamo, ci mancherà un pezzo di noi. Quello più profondamente umano, mi viene da dire”. Accettare i limiti, accettare se stessi nelle proprie imperfezioni connaturate alla nostra natura umana non è tuttavia cosa semplice: lo sa bene la mia amica, e lo sa Roberto Goisis, perché è proprio su questo snodo che ha costruito i capitoli di Noi imperfetti.

Si possono leggere uno dietro l’altro, oppure in modo disordinato: non affrontano la “materia” dell’imperfezione in senso prettamente accademico, io li ho visti più come delle passeggiate, arricchite dall’esperienza di uno psicanalista con profonda conoscenza dell’animo umano, e una altrettanto limpida umanità (le due cose si accompagnano per forza? Non ne sono sicura, e forse è per questo che mi sento “accolta” ogni volta) e da qualche riferimento sì teorico, ma sempre calato nella realtà di casi, di esempi, nella quotidianità vera e pulsante del nostro mondo di oggi. Immersi nell’imperfezione che è davvero ovunque.

Quando pensiamo di non farcela

Noi imperfetti ha un sottotitolo emblematico: “quando pensiamo di non farcela”. Arrivo da una settimana passata al Festival di Sanremo tra dichiarazioni di cantanti sui propri brani in mille conferenze stampa, e se c’è una cosa che ho notato quest’anno sui contenuti e sulle parole ascoltate, è proprio la ricorrenza del pensiero rivolto al proprio mondo interiore e alle proprie fragilità. Ho ascoltato di camerette dove comporre, ho sentito Marco Mengoni parlare di gestione della propria emotività grazie al dialogo con un terapeuta e all’accettazione del proprio sentire, ho visto Mr Rain commuoversi ricordando episodi di fragilità raccontati dai suoi fan, e ho ascoltato canzoni che molto spesso parlano di mondi interiori e fragilità (“La noia”, per esempio, ma anche “Autodistruttivo” dei La Sad, per non dire di “Fragili” di Il tre).

Il tema, quindi, esiste ed è socialmente diffuso, sempre meno un tabù, eppure ancora spinoso. Lo è, da un lato, perché complesso. Goisis nel suo Noi imperfetti fa una divisione di indice utile, perché parla da un lato di dipendenze, e dall’altro di imperfezioni. Due volti di uno stesso disagio, ma sicuramente con diverse sfumature. L’idea da cui parte l’autore è quella dei legami, ben rappresentata dall’immagine che accompagna il retrocopertina, un abbraccio e un filo rosso. A ricordare che siamo legati, che lo vogliamo o no, e che spesso questo legame, che chiamiamo dipendenza, non assume necessariamente la sfumatura negativa che siamo soliti attribuire al termine.

I primi capitoli approfondiscono quindi i legami di dipendenza entrando dentro la loro duplicità: ne abbiamo bisogno eppure ci spaventano, ed è così fin dalla nascita, come  spiega Goisis in un percorso coinvolgente che fa capire quel che scriveva la mia amica, cioè i nostri limiti che si manifestano perché siamo prima di tutto mammiferi, esseri umani. Limiti connaturati, coi i quali cresciamo, e attraversando i quali arriviamo alla scoperta di noi, dalla culla fin dentro la stanza dello psicanalista. Perché anche la terapia, in quanto rapporto, sviluppa delle dipendenze (per saperne di più rimando sia a Nella stanza dei sogni, già citato, sia a Freud e il mondo che cambia)

Far stare insieme la complessità

Impresa difficile, quella di scrivere un libro sull’imperfezione che ci connatura. Di mezzo c’è infatti la complessità di una serie di fenomeni vastissimi, soggettivi, e che tuttavia sono la vita stessa: non possiamo pensare di uscirne, perché non possiamo pensare che esista una perfezione. Ciò che mi ha colpita molto in questo libro di Goisis è il riferimento a un termine giapponese che ci fa notare come anche culturalmente il mondo si racconti in modi diversi, dandoci delle soluzioni per cambiare prospettiva e rivalutare la nostra posizione nei confronti dell’imperfezione, della dipendenza, delle vulnerabilità. Amae è un termine giapponese che riesce a tenere insieme le due facce della medaglia, e che abbraccia il significato di buona dipendenza. Perché ne abbiamo bisogno, non c’è niente da fare. E allo stesso modo dovremmo capire che anche la nostra imperfezione, tutto sommato, è accettabile, perché siamo noi, siamo così. Ancora una volta l’oriente ci sa dire qualcosa di utile: avete presente la storia del riparare i piatti rotti con l’oro? (Non a caso, l’immagine che correda questo articolo contiene il libro e i pezzi del barattolo del sale dei miei nonni che non ci sono più, che si è rotto un mese fa spezzandomi anche qualcosa dentro).

Certo, poi c’è una serie di dipendenze negative, sulle quali, e sui cui motivi scatenanti, il libro di Goisis si sofferma con dovizia di particolari anche tecnici. Ma siccome di complessità stiamo parlando, ecco un altro termine che anima il quadro: le imperfezioni. Sono tantissime: vulnerabilità, fragilità, età, solitudine, corpo, fallimento, denaro, adolescenza, senilità... È un po’ come se Goisis scoperchiasse un vaso di Pandora: ognuna delle storie che accompagnano questi capitoli, e ognuna delle riflessioni, ci ha toccato almeno una volta. Lo ha fatto o personalmente, andando a pizzicare corde intime, oppure attraverso i media, tramite storie riportate.

Noi imperfetti è un libro dove si parla di adolescenti che si tagliano, di denaro come fonte di regolazione della propria autostima, di corpi percepiti come sbagliati, corpi che invecchiano e pensano alla fine. Sono capitoli di grande forza, colpiscono, possono spaventare, ci mettono di fronte a quello che siamo, alla società, e alla nostra faccia nello specchio. Sembrerà una frase fatta, ma toccando ciascuna di queste storie, agganciando le riflessioni dell’autore con il nostro vissuto e la nostra elaborazione, veniamo un po’ a capo con quell’assunto di cui dicevo sopra, quello per cui la perfezione non esiste davvero. Questo libro è uno strumento prezioso per renderci conto della nostra fragilità, visualizzare i nostri limiti, che poi sono i limiti di chiunque. Farlo è l’unica via per diventare forti. Leggerne può essere un primo importante passo per elaborare e crescere nella “buona dipendenza”.

Perché essere quello che siamo è molto più importante di tutto quello che possiamo sapere e possedere, e questo spiega il valore di ogni percorso che ci porta a capire di quale identità siamo costituiti, individuare i nostri punti di forza, ma soprattutto quelli di debolezza

Fragilità anagrafiche

Come sempre, trovo i libri di Goisis davvero ricchi di spunti: ho sottolineato e segnato tante pagine, ad alcune ho fatto anche le orecchie, in genere sono punti che mi interessano personalmente in quel momento. È sempre interessante navigare in libri come Noi imperfetti, perché tra le pagine si incontrano innanzitutto consigli spassionati ed esperienza narrati in prima persona, con accoglienza aperta. E poi anche perché ci sono spiegazioni comprensibili per chi non sia esperto di psicanalisi. C’è, soprattutto, tanta umanità. Perché l’autore ci capisce, è uno di noi e sta in mezzo a noi, e perché non giudica, anzi, approfondisce, ascolta, a volte sorride e fa forza. Uno psicanalista con molto cuore, insomma.

Ma anche una persona, e poi un professionista, calato nella società e nella sua età. Sono molto emozionanti le pagine sulla senilità: Goisis ammette di non poter dire ai pazienti “ci sarò sempre per lei”, ed è una vulnerabilità enorme, uno sgomento grande, ma dobbiamo farci i conti tutti. Del resto in questo libro ci si occupa anche di imperfezioni legate a età anagrafiche. Mi ha colpito in maniera speciale il capitolo dedicato ai millennial. Primo, perché dà dignità alla generazione cui appartengo, permettendo di considerarla come una generazione a sé, con caratteristiche e problemi specifici. Secondo, perché deve essere autenticamente complicato ragionare da millennial, e portare a galla le “nostre” istanze, senza essere millennial. E in effetti forse l’obiettivo non è raggiunto totalmente, anche se la strada è tracciata con la consueta saggezza di Goisis.

Lo dico da millennial, e sono aperta e disposta al dialogo: è vero, abbiamo stipendi insulsi, ci hanno svalutato il lavoro e probabilmente i sogni, abbiamo paura per il pianeta, siamo meno sicuri dei nostri genitori, e per questo siamo arrabbiati, una rabbia che si è fatta cinismo nero, a volte gelido. Però è anche vero, e Goisis lo rileva facendomi ben sperare per noi e per chi non è della nostra generazione, che abbiamo spostato un asse, e che forse se il lavoro non è più centrale è perché abbiamo deciso di dare priorità ad altro, o meglio ci hanno portato a decidere che. Essendo io, ora, proprio adesso, in questi giorni, mesi e anni, immersa in questa situazione di precarietà costante, di delusione accompagnata dal sospetto che sia colpa mia e non della società, di raffreddamento di ogni slancio a favore di una più consolidata esperienza a confronto con le mie priorità, e solo quelle, mi domando: ma sarà poi così vero che questa pur salatissima e faticosissima imperfezione è giudicabile negativamente? La percepisco, malgrado il sudore, il dubbio quotidiano e il peso della salita, più come la sfida a districare un filo che, cammina cammina, si è fatto blu. Un blu che include il cinismo, la freddezza, la visione di sconfitte insanabili se non con l’oro dei giapponesi. Un blu adulto: è forse questo il fine del percorso di un millennial? E mettiamoci dentro anche le istante del tutto personali e soggettive, che interferiscono, rafforzano o meno le fragilità generazionali. Alla fine di Noi imperfetti c’è stessa immagine del retro copertina, ma il filo da rosso è diventato blu. Il colore più triste? Forse, ma anche quello del mare e del cielo, della razionalità raffreddata, che ci fa vedere meglio la complessità. Il colore della consapevolezza, vogliamo definirlo così?

Più la situazione che viviamo ci fa sentire vulnerabili, tanto più autentici dobbiamo cercare di essere. E questo, in sinergia con le nostre imperfezioni, diventa un vero e proprio punto di forza

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!