Superficie è uno strano libretto di Diego De Silva uscito la scorsa primavera per Einaudi e che ho ingiustamente letto e perso nei meandri della libreria. Torno a parlarvene ora che l’ho rispolverato, perché mi era piaciuto molto e ci avevo trovato dentro tante idee efficaci sul mondo che ci circonda e, soprattutto, sulla comunicazione.

Che ne sai tu di un campo di grano. Quelli che al supermercato stanno dieci minuti a leggere le etichette delle confezioni, ma quanto tempo libero hanno? Ogni cabina telefonica che sopravvive è la testimonianza di un mondo estinto

Un libretto, dicevo, perché è proprio così, piccino e breve. Non ci sono capitoli, non ci sono divisioni se non quelle per paragrafo, che apparentemente sembrano casuali. Naturalmente non lo sono: vi basterà iniziare a leggere per rendervi conto che segnano invece dei piccoli raggruppamenti tematici, che a loro modo portano avanti piccoli discorsi.

Ma come faccio a fare finta di niente, hai appena detto che vuoi lasciarmi. Quando alle presentazioni non va nessuno, l’autore passa la serata a sorridere. Non ho detto questo.

Errare è umano, volersi fare subito un selfie quando si è venuti di merda nel primo ancora di più. Ma cosa fai, piangi? Va bene che bisogna lasciar scendere prima di salire, ma datti una mossa

Di discorsi è infarcito questo libro che non è propriamente una narrazione, né creativa né saggistica. È una specie di aforismario, che però invece di raccogliere pensieri o proverbi, raduna in una bizzarra struttura un’accozzaglia coloratissima e spumeggiante di frasi fatte. Discorsi che girano tra l’opinione pubblica e i media, che rimbalzano di bocca in bocca, che intessono una rete dove noi, pesci, finiamo per farci intrappolare. Ecco allora i pesci della copertina, che secondo me, persi nelle onde di discorsi, ben si prestano a questa metafora, mantenendo però la cifra ironica che caratterizza questo libro, come del resto tutta la scrittura di De Silva.

La girandola colorata che mi mette in attesa dell’apertura di un’applicazione sarà il motivo per cui un giorno aprirò gli occhi al cospetto dei frammenti del computer e capirò che a scaraventarlo contro il muro sono stato io

Superficie è, per l’appunto, una superficie, un lungo flusso di coscienza spezzettato e interrotto come spesso accade oggi, nei nostri discorsi quotidiani tra la vita reale e i social. Denso di ironia e riferimenti metatestuali che risuonano e strizzano l’occhio a chi è più avvezzo, questo libretto gioca in fondo proprio con la rete del linguaggio dentro cui siamo immersi quotidianamente. È un mare di frammenti, il mare della nostra vita digitale, che tuttavia sotto ha una solida ragione, come una fucina semiotica, mi verrebbe da dire, un laboratorio perenne dove si creano e rimescolano sensi.

James Bond è finito con Sean Connery. Ma la vera innovatrice della televisione è stata Maria De Filippi.

Gloria, manchi tu nell’aria

È questo meccanismo che ci tiene a galla sulla superficie del mare di frammenti, che giustifica i legami tra discorsi e temi con cui l’autore gioca a rimbalzarci, ci spinge a indovinare, a capire. Ci sono la politica, i social, la tv, la loro faccia, quello che ne viene fuori tra le bocche della gente e il risvolto parodistico che ne deriva sempre.

Non provateci nemmeno a dare la colpa all’opposizione, ce la prendiamo da soli. Il vero vincitore di Sanremo è Peppe Vessicchio. Sono d’accordo con quasi tutto quello che è stato detto finora.

I giovani d’oggi si lasciano alla prima difficoltà. Ma poi Bob Dylan è andato a ritirarlo, il Nobel? Secondo me fanno benissimo.

E infatti, perché il prossimo Sanremo non lo fanno presentare a Peppe Vessicchio? Non ci crederai, ma mia figlia è diventata un’influencer. Ormai votiamo Pd con lo stesso spirito con cui andiamo a vedere i film di Woody Allen e viceversa.
Non ci credo, infatti. Il problema è che non decresciamo. Peppe Vessicchio for President.

Ma Gianni Morandi, perché è sempre così contento? Io, quando ho visto che la gente restava seduta a leggere i titolo di coda, ho capito che avremmo perso le elezioni.

È un po’ come una fabbrica di meme, che individua i temi forti del contemporaneo e li lancia nello spazio della pagina, legandoli ad altri discorsi. Un rimescolamento continuo, dove le cose vengono a galla, sono di nuovo inghiottite dal gorgo-frullatore del rumore mediatico, spariscono, lasciano spazio ad altri flussi, e poi eccoli, ricompaiono, proseguono una traiettoria oppure la esauriscono.

Hotel? Trivago.

Il videocitofono è stato un fallimento

Ma cosa mi rispondi «Assolutamente sì», che ti ho chiesto un bicchier d’acqua. L’amore è una cosa, l’innamoramento è Alberoni. Io non prendo il dolce, ne mangio un po’ da te.

Discorsi qualunquisti, cose che tutti ci siamo sentiti dire, e che ascoltiamo dagli altri, peraltro annuendo e sentendoci nel giusto. Etichette, stereotipi, modi di dire, stralci di canzoni. Che, beninteso, sono sempre esistiti, ma che con l’epoca dei social, tra post e tweet scritti per fungere come ami per like e commenti, sono implosi, crescendo a dismisura.

Nei lunghi viaggi in treno c’è una fase in cui le persone che ti circondano perdono lo sguardo nei finestrini (e tu lo vedi, che ricordano qualcosa che hanno perso), e si deprimono uno dopo l’altro.

Bagnati le mani e non riuscirai più a lacerare l’involucro di plastica spaventosamente resistente che avvolge la saponetta del bagno dell’albergo.

Cosa ci sarà da ridere, in una mamma che fa gli gnocchi.

Oriana Fallaci l’aveva detto

Superficie è così una specie di delirio citazionistico, che per chi conosce Vincenzo Malinconico, l’avvocato sfigato protagonista di una serie di romanzi di De Silva, è un po’ un ritorno a un certo mood, uno stile parentetico che interrompe l’abituale svolgersi della narrazione, con i suoi fatti e i suoi dialoghi, per lasciare spazio a flussi di coscienza molto ben strutturati del protagonista, tra ricordi e soprattutto canzoni italiane dell’epoca passata, da cui Malinconico trae lo slancio per librarsi in riflessioni semiserie (ma lui ci crede tantissimo) sulla propria esistenza e sul mondo che lo circonda, insieme con le sue trasformazioni sempre non chiare a chi è nato qualche decennio fa (ma in fondo – così sono parentetica anche io e vi do un’idea del procedere della narrazione – non sono chiare nemmeno ai più giovani a volte).

Cos’ho da fare oggi? Ho molto da lavorare su me stesso

Quando sento il peso dell’identità, vado al supermercato. L’analogico è in rimonta sul digitale

Non ho alcuna idea del perché mi addormento di schianto sul divano davanti alla tv e poi rimango sveglio quando vado a stendermi sul letto

C’è così la serie di considerazioni sulla vita in albergo e sui viaggi – a chi non sono mai capitate queste a volte paradossali situazioni, scomode oppure buffe, oppure solo ciclicamente ricorrenti? – ci sono i piccoli casi quotidiani della vita resi in salsa irresistibilmente comica, perché veramente comici o perché l’unico modo per uscirne interi è riderci su.

La difficoltà di scovare l’indicazione del tempo di cottura su un pacco di pasta è pari a quella del reperimento del lembo di sollevazione di un rotolo di scotch

Il giorno in cui decidi che quella è la tua penna preferita, la perdi. Un match politico televisivo può finire in tre modi: si vince, si perde, si appartiene a mondi completamente opposti. La penna che non scrive è quella con cui stai per prendere un appunto importantissimo.

E poi ci sono piccole verità che hanno un nocciolo di reale ma che, sopra, portano ormai stratificazioni di dicerie, di stereotipi, una superficie – appunto – intera di discorsi e discorsi sociali che arrivano, si depositano, creano una nuova faccia alle cose tanto da solidificarne un’essenza che forse non era nata per fossilizzarsi, ma come fenomeno estemporaneo. E invece ora è una realtà non tanto per la sua reale esistenza nel mondo, ma perché sulla bocca (e nei pensieri, nelle idee) di tutti. Eccola, la superficie. La riconoscete tutta intorno a voi? (segue una sequenza di frammenti di Superficie dove ho ritrovato pezzettini di me)

La maturità classica è un’altra cosa

I bambini sanno. Le ragazze sono più mature. Io ascolto molto la radio.

I disoccupati con blog si chiamano giornalisti freelance. Esiste un sito ufficiale di Topo Gigio! Una donna è fatta di tante stanze: gli uomini limitati si fermano all’ingresso.

Se qualcuno mi spiega come ci si perde in un bicchier d’acqua, lo faccio. Va bene, il mondo è cambiato, ma perché dobbiamo andargli dietro?

Sto leggendo un libro

Una famiglia non può spendere trenta euro per un ombrellone e due lettini. Allora che ci sta a fare l’Europa? Sono laureato in Lettere moderne: per favore aiutatemi.

Ma di cosa stiamo parlando?

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!