Il 2021 è un anno pavesiano: tante, tantissime sono le pubblicazioni e novità legate al nome di Cesare Pavese nell’anno in cui scadono i diritti d’autore. Sono trascorsi settant’anni da quel giorno d’agosto all’hotel Roma di Torino, la data del suicidio. Una data particolarmente saliente se associata a un libro: Dialoghi con Leucò. Era quello il libro scelto da Pavese per il suo addio, quello con il quale suggerire di non fare troppi pettegolezzi. Un libro dal portato simbolico importante, forse il libro preferito dall’autore, certamente una sorta di unicum che, grazie alla riedizione 2021 di Adelphi con il suo apparato critico meraviglioso (introduzione di Giulio Guidorizzi, in chiusura una conversazione tra Carlo Ginzburg e Giulia Boringhieri), sono riuscita a riscoprire.

I Dialoghi escono nel 1947, lo stesso anno di Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino. Se il secondo lo si legge spesso a scuola, il primo probabilmente è meno noto. Il mio incontro con i Dialoghi con Leucò è avvenuto alle superiori, grazie alla mia professoressa di lettere e latino. Dopo cinque anni di mitologia e immersione nel mondo greco come da liceo classico, avrei forse potuto o dovuto apprezzare il lavoro di Pavese. Invece, sono sincera, a diciassette anni i Dialoghi con Leucò non mi andarono giù, abbandonai la nave appena partita. Non capivo quella scrittura, non avevo probabilmente capito niente di Pavese.

Bisogna avere una certa competenza in materia per riuscire a districare i fili di questi scritti che, leggibili come si vuole – casualmente, uno al giorno, sfogliando il libro – sono insieme uno studio del mondo antico e uno specchio in cui trovare e ritrovare tanti dei motivi pavesiani che costelleranno la sua letteratura e la sua vita. Che quella di Pavese sia una poetica radicata nell’esperienza biografica dell’autore l’ho capito nel profondo lavoro di lettura, riscoperta e rilettura dei grandi classici dell’autore che ho condotto per Torino di carta. Un viaggio iniziato per dovere e concluso in un piacere che in realtà non è ancora concluso. Sarà una banalità evidente, ma leggere Pavese da adolescenti e leggerlo a trent’anni è molto diverso. A trent’anni è possibile attraversarlo e capirlo molto meglio, ed è quello che è successo a me.

Riscoprire Pavese attraverso il mondo greco

Con grande curiosità ho quindi aperto l’edizione Adelphi e ho iniziato dall’introduzione di Giulio Guidorizzi, grecista, nonché autore dei miei libri di letteratura greca del liceo. Sono convinta che, anche grazie all’interpretazione di Guidorizzi, la mia riscoperta pavesiana si sia spostata su un altro livello, non solo quello dell’età adulta ma quello attivato dallo strato di competenze che ho iniziato a formare proprio là, sui libri di letteratura greca. Dialoghi con Leucò è improvvisamente diventato affrontabile, comprensibile nella sua complessità e nella sua densità: un pozzo in cui scavare, e scavare probabilmente ancora, ogni volta che tornerò a sfogliarne le pagine.

Questo libro è un lavoro a sé, non è un romanzo, non sono racconti: è un percorso dentro al mito in cui Pavese dissemina tracce di sé. Un segno dei tempi: si intravede, come ben segnala l’apparato critico, tutto l’interesse pavesiano per l’antropologia nascente, testi che confluiranno nel progetto editoriale targato Einaudi della “Collana viola”, che Pavese curava insieme a Ernesto De Martino. Una coppia che non viaggerà sullo stesso binario: Pavese, forse, aveva una profondità tale da risultare ostico, forse persino sprezzante. Dialoghi con Leucò era troppo, per l’epoca: non fu capito. Come ben evidenzia Guidorizzi, però, “il mito resta”, ed è infatti questo il libro in cui immergersi per aprire brecce nel pavese-pensiero, per cadere in nuovi gorghi, per porsi interrogativi universali che il mito, infatti, poteva alimentare e sostenere, e fa tutt’ora, immortale.

Il mito per Pavese era “una parte inevitabile del suo modo di essere, oltre che della sua poetica”. Si torna sempre lì: Pavese tratta pochi temi, ma li esplora per trovare il rovello dietro alla propria scrittura, dietro a sé. In questo scavo costante continua a trovare stimoli e ad attingere da quel calderone dell’anima che tanto lo ha tormentato. Le radici delle domande di Pavese non sono superficiali, al contrario risalgono a quel mondo antico che la letteratura greca già raccontava, a quei miti che con difficoltà ed enigmi linguistici affrontavo nelle versioni al liceo, quando della profondissima visione di Pavese nemmeno intravedevo la direzione.

Con Pavese nel mare profondo

La lettura dei Dialoghi procede senza un ordine preciso: si tratta di testi che per lo più si sviluppano in forma di dialogo, preceduti da una breve spiegazione utile a contestualizzare. Come suggerisce Guidorizzi, l’operazione di Pavese è quella di una mitopoiesi: la riscrittura del mito.

Sarà forse per questo che ho trovato questi dialoghi estremamente moderni, scorporati da quell’atmosfera senza tempo tipica del mito – o tipica di testi opachi perché assai complicati e letti al liceo? Li ho riletti con un filtro che va sì a radicarsi indietro, nel profondo delle terre mitiche tra una versione  e una narrazione senza tempo persa da qualche parte nel mio dna di lettrice, ma anche con una sensibilità tutta contemporanea nata là dove il pensiero di Pavese incontra la mia attenzione adulta. Eppure sono trascorsi 70 anni dalla morte di Pavese, come è possibile? Scrive Guidorizzi:

Se il mito porta con sé un’ondata narrativa, a Pavese non interessava la cresta spumeggiante delle antiche storie che si avventano su chi le ascolta, ma il suono cupo della risacca che porta con sé i sassi smossi dall’onda. Il mito – così pensava – è essenzialmente un dialogo con se stessi.

La profondità – e attualità – di Pavese è forse connessa all’apertura di pensiero che da questi miti arriva, con la sua onda drammatica, al lettore. Mi ha stupito ragionare in termini di onde, profondità, risacca: il mare e Pavese si erano già affacciati nel mio viaggio di riscoperta, citavo questo discorso nella mia recensione al libro di Pierluigi Vaccaneo per il Centro Gobetti. L’autore individuava infatti delle isole (non a caso avevo già parlato anche di arcipelaghi), ovvero dei temi su cui Pavese amava ritornare. Tra questi, il mito, quella dimensione ancestrale pulsante, identificabile per lui con la campagna, con l’infanzia, fil rouge narrativi che tornano costanti da Paesi tuoi a Il diavolo sulle colline, fino ai più noti La casa in collina e la Luna e i falò.

Da Leucotea a Bianca Garufi

Mi piace restare nella metafora marina, forse anche a Guidorizzi, che infatti parla di navigazione e di rotte da seguire, quelle che Pavese solca con il mito. I miti come remi da affondare nelle profondità del mare: è così che l’autore scopre che “il mito poteva amplificare la vita psicologica di un uomo”. Ecco perché, tra universalità e pensieri intimi, la sensibilità di Pavese in questo libro mi è parsa nuova, frutto del doppio dell’età che avevo la prima volta che tentai di affrontare i Dialoghi.

Il richiamo psicologico forse è anche legato a Bianca Garufi, prima amore e poi musa di Pavese (tra i due ci fu uno scambio epistolare che sono curiosa di leggere), che diventerà psicanalista. Da Bianca Pavese prese forse lo spunto per legare i Dialoghi a Leucò, ovvero Leucotea, la “dea bianca”, che non è altro che un’antica divinità mediterranea. Compare nel quinto canto dell’Odissea quando, in mezzo alle onde, salva Ulisse. Leucotea si rispecchia nel mare, o forse è lo stesso Pavese che trova in questo elemento un universo intero in cui esplorare, ed esplorarsi.

C’è, non a caso, un fondo di inquietudine in queste riscritture del mito che sfociano in una dimensione drammatica. Sta qui l’antica Grecia dei miei studi classici, sta qui il valore universale di quelle scritture e l’ambizione del libro di Pavese. Un libro scomodo, per la sua epoca: da pochi fu capito, e forse furono in pochi anche ad associare il gesto tragico e finale di Pavese alla riflessione che ha sempre legato la sua vita e la sua scrittura.  

Grandezza tragica e poetica di Pavese, Guidorizzi ne parla così. Un Pavese che forse era già fin troppo avanti per la sua epoca, non era capito, probabilmente un po’ spaventava con i suoi inabissarsi nella scrittura del mito fatta vita e riportata sulla pagina in forma creativa. Affondava, Pavese, in questa umanità densissima e già pensata nel  mondo antico. E alla fine è affogato lui stesso. Sembra di ascoltarlo riflettere dei dialoghi delle creature mitologie a cui ridà vita. Un accesso al suo mondo che, dopo questa rilettura matura e adulta, mi sento di consigliare a tutti quelli che vogliano conoscere da vicino una vita e le sue infinite vibrazioni che ancora, per fortuna, restano nitidissime sulle pagine da leggere e scoprire.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!