Librerie chiuse, librerie aperte, librerie di quartiere, librerie online. Insomma, sempre librerie. Ultimamente, dentro la mia bolla informativa, non leggo che articoli dedicati ai libri e alla lettura, le prime minacciate dall’incombere di nuove misure restrittive conseguenti al DPCM, la seconda – la lettura – panacea per superare il difficile periodo che ci accompagna in questo autunno, con l’emergenza che pulsa e che non sembra voler lasciare libero il 2020.

Va da sé che il tema mi colpisce e mi coinvolge da vicino, dunque dopo aver letto le dichiarazioni del presidente dei librai (ALI Confcommercio) Paolo Ambrosini e del presidente  dell’Associazione Italiana Editori (AIE) Ricardo Franco Levi uscite il 4 novembre, mi sembra doveroso cercare di fare una ricostruzione di quanto avvenuto finora, delle crisi, delle novità, e degli scenari futuri.

«I libri sono beni essenziali e, soprattutto in un momento come questo, aiutano gli italiani a superare la solitudine e le difficoltà legate alle limitazioni della libera circolazione e della socialità – hanno dichiarato infatti congiuntamente i due presidenti delle categorie coinvolte – ringraziamo il Governo per aver tenuto conto dei nostri appelli, consentendo l’apertura delle librerie anche nelle zone rosse, e in particolare il ministro Dario Franceschini sempre attento alle esigenze del mondo del libro. Ogni libreria si impegnerà per garantire la massima sicurezza all’interno degli esercizi,  così come è avvenuto nei mesi scorsi, perché la salute rimane la prima cosa da tutelare: controllo degli accessi, igienizzazione degli scaffali, uso dei mezzi di protezione personale rimangono essenziali».

La crisi, lo sappiamo tutti, morde da mesi e si è abbattuta con forza inaudita sul piccolo commercio al dettaglio, librerie incluse, che fin dal primo lockdown non si sono mai fermate, proponendo un ventaglio enorme di eventi online e offline come consegna a domicilio, prenotazione e via dicendo, fin quando è stato possibile. «Con la decisione di oggi – continuano non a caso Ambrosini e Levi, aggiungendo un altro attore importante sul palco – si sostengono le librerie che stanno subendo una continua erosione di quote di mercato da parte degli store online, un disequilibrio che mette a rischio non semplici negozi, ma presidi sociali e culturali essenziali per le nostre città e, più in generale, per la vita democratica del Paese e si rinnova la scelta dello scorso 14 aprile, confermando che quella fu una precisa scelta di politica culturale: l’Italia è cultura e la cultura e il libro possono essere il volano per la ripartenza del Paese».

Le librerie sono essenziali, oppure no?

Parole bellissime, parole importanti, non fosse che di mezzo c’è una massa di dati emblematici e allarmanti che riguarda le abitudini di lettura e acquisto degli italiani, una tessera del grande puzzle già analizzata in passato. Perché la crisi delle librerie, diciamocelo, non è iniziata con la pandemia, è solo peggiorata.  E perché, forse, è pur vero che, come tutto il mondo della cultura, le librerie in Italia non hanno ancora goduto di una curatela speciale che le considerasse luoghi essenziali, passibili dunque di deroga durante le fasi più crude dell’emergenza sanitaria. Proprio come i supermercati e le farmacie, che vendono generi di prima necessità.

Avrete visto in tanti l’immagine diventata virale a fine ottobre 2020 che mostra le code silenziose e ordinate fuori da una libreria. Siamo all’estero, ovviamente, verrebbe da dire, in particolare siamo in Francia. Il Libraio ricostruisce il giro del web della foto con diverse dichiarazioni interessanti: si tratta di uno scatto di Astrid Dujardin condiviso dall’editore Stephen Carrière poiché mostra una lunga e ordinata coda di lettori sotto la pioggia fuori da una libreria della catena Furet du Nord. Un’immagine impattante, persino commuovente se vogliamo: queste persone, prima di ripiombare nei rigori del confinamento che tutti abbiamo già vissuto in primavera, fanno scorta di “scappatoie per la mente” e mattoncini di cultura, si mettono al sicuro la mente e i pensieri con una scorpacciata di parole che li accompagneranno durante un altro, nuovo, periodo molto duro sia economicamente che socialmente e anche psicologicamente.

In Francia, dove il lockdown autunnale è partito prima che in Italia, le librerie sono infatti state chiuse. Se da una parte la decisione ha portato a code il giorno prima della serrata per far scorta, dall’altra un simile attaccamento al valore della lettura ha prodotto numerose proteste sfociate in appelli di librai, autori e personaggi del mondo culturale per la riapertura. Il messaggio era quello che già conosciamo se siamo lettori: considerare essenziali le librerie, e dunque tenerle aperte.

Una scelta simile implicherebbe indubbiamente un ruolo notevole attribuito alla cultura, e sarebbe altresì una scelta politica di sicuro impatto e valore. In Belgio per esempio, durante il lockdown, il governo ha deciso di mantenere aperte le librerie, considerate essenziali anche per la salute mentale della popolazione. Non per niente la scelta di chiudere i teatri in Italia pochi giorni fa ha scosso tanto i lavoratori del settore, le maestranze e una certa parte di opinione pubblica: la cultura non dovrebbe essere considerata un modo per passare il tempo libero, ma un bene primario, e come tale andrebbe trattata nel quadro di una società. Sul valore simbolico della vendita di libri, o meglio politico, vi consiglio di leggere le dichiarazioni rilasciate dalle associazioni di categoria in questo pezzo di Ansa.

Librerie aperte o chiuse: tra appelli e un po’ di dati

Rispolverando l’antico adagio (sono ovviamente ironica) secondo il quale con la cultura non si mangia, va poi considerato un altro fattore, che lega la lettura, nobile attività culturale che solleva e aiuta mente e spirito, al portafoglio. Perché dietro le librerie, come dietro ogni attività commerciale, ci sono persone che devono portare la pagnotta a casa. Dietro le serrate e le difficoltà causate dal lockdown ci sono gli operatori del settore. Non a caso in Francia, dove le proteste sono state intense, si è espresso per la riapertura anche il primo ministro. In particolare a Parigi sono accaduti due fatti che ritengono significativi: da un lato la sindaca Anne Hidalgo ha spronato i parigini a non acquistare su amazon, colosso che potrebbe affossare le librerie locali – facendo sprofondare la vita sociale dei quartieri, aggiungo io – invitando poi il governo a rimodulare le regole sull’apertura delle librerie. Dall’altra parte accade che, dati alla mano, una delle librerie più celebri del mondo, la Shakespeare & co, rischi seriamente di chiudere. Della storia antica e stupenda di questo luogo di cultura avevo raccontato in una puntata radio di Atlante di carta, la potete riascoltare qui. Come scrive La Stampa, la libreria «a causa della nuova crisi planetaria ha visto calare gli incassi dell’80% e da mesi non riesce a pagare l’affitto, nonostante gli aiuti governativi».

Se ci spostiamo a guardare un po’ di numeri con l’aiuto di qualche recente statistica, la notizia non ci apparirà poi così strana e insolita: il settore è in forte sofferenza, lo era già prima, ma ora la crisi è davvero esacerbata dalla pandemia. Istat, nel suo report dello scorso luglio su editoria e mondo del libro, informa che «le librerie indipendenti rappresentavano – prima del Coronavirus – il canale maggiormente utilizzato dagli editori per la commercializzazione dei titoli pubblicati (con lievi differenze tra grandi, medi e piccoli editori), seguite da e-store italiani e librerie di catena.  Accanto alla chiusura delle librerie, stabilita per tutto il territorio nazionale dal 12 marzo al 13 aprile, seguita dalla riapertura parziale a seconda delle indicazioni regionali, il divieto ancora in corso di organizzare manifestazioni pubbliche e quindi fiere, eventi e presentazioni letterarie, contestualmente alla chiusura di biblioteche, scuole e università, ha privato il settore di una importante opportunità di promozione dei prodotti editoriali. […] Complessivamente – tra i canali di commercializzazione rimasti aperti durante l’emergenza Covid-19 – gli e-store italiani risultano tra i più utilizzati mentre la grande distribuzione organizzata e i punti vendita generici (edicole, cartolerie, autogrill, uffici postali, ecc.) sono in proporzione meno frequentati».

Uno scenario in cui emerge il ruolo di primo piano delle librerie indipendenti, la loro sofferenza, e il prevalere sul mercato italiano degli store online “di casa”. Se ora ci spostiamo sui dati dell’Osservatorio sulle librerie di ALI, la situazione appare ancora più nitida: oltre il 90% delle librerie ha visto peggiorare il proprio andamento economico, oltre l’84% delle imprese è in difficoltà, 140 milioni sono il fatturato perso per la pandemia. C’è un problema, o meglio ci sono tanti problemi, e questo sembra ormai evidente.

Librai che si danno da fare

Oggi, 4 novembre, prima che il Decreto fosse firmato e si salvassero le librerie, come vi annunciavo in apertura, mi è arrivato un appello del Salone del libro, altro ente ed evento assai duramente colpito dalla pandemia. «Le librerie – per il ruolo che svolgono all’interno delle nostre comunità – non possono non essere inserite nelle categorie considerate essenziali» annunciava così, nelle sue poche incisive righe. La richiesta era rivolta al Governo, affinché salvaguardando ovviamente la sicurezza, prendesse in esame la centralità del ruolo dei libri. La speranza è andata a buon fine. Ma, lo sappiamo, non basterà questa scelta a salvare il settore, anche se forse aiuterà un pochino, concretamente, e parecchio di più dal punto di vista simbolico e comunicativo. I libri, forse, sono davvero importanti. E forse lo stiamo capendo tutti.

Nel frattempo le cose si muovono. Vista la crisi, e visto l’avanzare feroce di Amazon che, con il puntuale fastidio per quelli come me che cercano di consumare eticamente, ai primi di novembre ci ricorda in tv che possiamo già acquistare online i regali di Natale, anche le librerie si preparano al momento di maggior vendita dell’anno per salvarsi, e per salvare qualcuno dalla ricerca dei regali. Sarà uno strano Natale, è vero, ma intanto pensiamoci ugualmente, se fare un regalo significherà aiutare la nostra libreria, quindi la nostra città. Per evitare la concentrazione di acquisti di libri nell’ultima settimana prima delle feste, l’Associazione Editori Italiani-Aie e i librai Ali-Confcommercio ha così lanciato una campagna  dal nome Pensaci subito, non fare le code, per sgravare il periodo natalizio dagli assembramenti di persone e contrastare i contagi. Se siete in cerca di consigli per gli acquisti… Beh, porto l’acqua al mio mulino e vi rimando a queste pagine di pixel a a Lucialibri!

Non è l’unica iniziativa, perché è anche accaduto che in questa fase strana e in questo anno che tutti ricorderemo nascesse il primo store online che aiuta le librerie indipendenti in Italia. Si chiama Bookdealer e tra i fondatori si pregia di avere il libraio Mattia della Libreria del Golem di Torino, che conosco personalmente. Bookdealer è una piattaforma che riunisce le librerie indipendenti e permette all’utente di cercare il libro e selezionare il negozio preferito o più comodo. Il libro potrà dunque essere recapitato a casa oppure inviato con corriere. Quel che si paga va alla libreria selezionata, con una cifra per le spese di consegna che è sempre dello specifico libraio, mentre la piattaforma non chiede percentuali né costi. È infatti un’idea nata dal basso, come scritto spesso, nata “grazie alle idee e all’impegno di editori, librai e lettori motivati da un unico desiderio: offrire al lettore un’alternativa ai grandi store online e sostenere in maniera concreta le librerie indipendenti.

Se di Bookdealer seguo le vicende fin dalla nascita ufficiale, a fine agosto 2020, ho scoperto solo ieri da un pezzo del Guardian che lo definisce il rivale di Amazon (daje!) dell’esistenza di un analogo servizio nato negli USA a marzo e oggi funzionante anche nel Regno Unito. Si chiama Bookshop (e a me, scusate, ricorda tantissimo il nome e un po’ l’attività di un libraio scozzese di cui vi parlavo qui) è un sito attraverso il quale le librerie indipendenti possono allestire una vetrina virtuale e avere il diritto di vendita sul prezzo di copertina. Un Bookdealer anglofono, insomma. Segno che qualcosa sta realmente cambiando e dovremo usare ancora e ancora l’immaginazione per prevedere un futuro che mai come quest’anno ci è sembrato così strano, impossibile e traballante.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!