Sabrina Mugnos l’ho scoperta con una delle letture più appassionanti degli ultimi anni: Draghi Sepolti, uscito per Il Saggiatore, è un testo di saggistica che raccontando i più grandi e affascinanti vulcani d’Italia, e i viaggi attraverso cui l’autrice li ha esplorati, disegna la mappa di un viaggio umano intrecciato con emozioni e persone. Mi ero innamorata di quel libro e del suo stile, del modo con cui, di “pancia” ma senza dimenticare il rigore scientifico, Sabrina Mugnos raccontava una delle sue grandi passioni, contagiando il lettore.

Ora Sabrina è in libreria con un nuovo volume sempre pubblicato da Il Saggiatore, Atlante del Grande Nord, che apparentemente parla di tutt’altro rispetto ai vulcani ma che, ne sono convinta, è uscito fuori dalla stessa caldera di entusiasmo per la conoscenza, passione per l’avventura e sguardo abituato, come una spugna, ad assorbire quel che di meraviglioso incontra. Si tratti di fatti di natura o legami con le persone. Atlante del Grande Nord è una raccolta di viaggi dedicati alle terre del nord estremo del mondo: dal fuoco vulcanico ai ghiacci antichi, al freddo polare, alle lande bianche nel cui cielo si accendono magie come le aurore boreali. Sarebbe bastata già questa promessa a farmi ri-innamorare del libro di Sabrina Mugnos, ma poi ho scoperto che anche queste pagine erano piene di racconti da divorare andando alla scoperta di terre e paesaggi remoti, e di fenomeni naturali tra i più arditi del nostro pianeta. Insomma: stregata nuovamente dal modo di raccontare dell’autrice, ho finito Atlante del grande nord in pochissimo tempo e mi sono detta che questa volta dovevo proprio fare il tentativo e intervistare Sabrina Mugnos, geologa e divulgatrice.

Neanche a dirlo, Sabrina è stata disponibilissima e super simpatica, ci siamo fatte una chiacchierata via Skype di oltre 40 minuti e io non avrei più smesso di ascoltarne aneddoti ed entusiasmi, perché è proprio come le avventure che racconta: appassionante! Questa è la nostra conversazione fiume, intrecciata a domande e curiosità che attraversano con punti di vista inediti e attenti le terre remote e fascinose del Grande Nord.

È stato emozionante averti letta, sia con Draghi sepolti che con Atlante del Grande Nord: mi hai accompagnata in giro per il mondo ed è stato davvero un po’ come viaggiare con te. E poi, diciamolo subito: sia i vulcani che le terre polari sono tra le mie grandi passioni di infanzia, sarebbe stato impossibile non conquistarmi!

«Ne sono molto felice! Ho scritto altri libri più tecnici, ma in questi usciti con Il Saggiatore ho potuto essere più “umanistica”, diciamo così, che è poi il mio modo di scrivere. Non è detto che non ne escano progetti per il futuro…»

Nuovi viaggi?

«Ah, guarda, ne ho talmente tanti allineati!»

Sia i vulcani che il grande nord sono bolle di interesse che tu hai sviluppato professionalmente, mentre per me sono rimasti amori di bambina. E così mi hai acchiappata all’amo. Da cosa deriva la tua attrazione fatale per i luoghi del nord estremo?

«Diciamo subito che la vita mi è accaduta tra le mani: non l’ho pianificata ed è stato un percorso via via aperto. Non avevo quindi pianificato di diventare vulcanologa ed esploratrice del grande nord, ma forse il leitmotiv  sono stati il fuoco sacro e la passione per la conoscenza e per le emozioni forti. Non sono un tipo da Irlanda o da… Casale Monferrato, ecco, sono più da Gran Canyon e da deserti! Nel cercare questi luoghi e queste emozioni forti mi sono trovata innanzitutto a fare vari percorsi in giro per il mondo. Nella fattispecie, per il grande nord mi ha attirata in quel contesto l’astronomia, di cui da sempre sono cultrice. L’aurora boreale è un fenomeno astronomico ma anche atmosferico, come l’eclisse totale, ma l’aurora avviene ad alte attitudini, ecco cosa mi ha portata nel nord. Da qui a cascata c’è la geologia, perché il nord è anche terra di glaciologi ed esploratori, e credo mio malgrado di esserla diventata nel corso degli anni, e da cosa è nata cosa. Il fuoco, poi, mi ha coinvolta come materia geologica perché sono sempre stata appassionata di montagna, e il vulcano è una montagna viva che stimola tutti i sensi: è calda, puoi annusarla, assaporarla… tutti i sensi sono sviluppati in una montagna vulcanica, per cui in ambito geologico non potevo che andare verso il fuoco: è quello che più si confà alla mia natura passionale. L’opposto, cioè i ghiacci, sembra confezionato ad hoc ma è in realtà un percorso che si è dispiegato strada facendo»

Una strada che tu hai seguito perché, evidentemente, aveva qualcosa da raccontarti! Nel grande nord hai trovato atmosfere, fascino, magia, ed è qualcosa che nel libro comunichi molto bene. Io però mi sono fatta molte domande su come sia possibile, perché sono luoghi davvero inospitali!

«Dipende molto da dove vai: considera che la Lapponia è europea, sta a qualche ora di volo da noi e in un contesto civilizzato. Accade anche se vai alle Isole Svalbard, che tutto sommato sono un agglomerato bruttarello, esito di un insediamento per l’estrazione del carbone e la caccia alle balene, e così è rimasto, con palafitte, prefabbricati e motoslitte buttate lì. Ma sei in Europa, come anche a Reykjavík e tutto sommato anche nella west coast della Groenlandia, che è ancora selvaggia ma durerà poco: è talmente bella che la deprederanno in fretta. Ma dicevo: la Lapponia è il grande nord europeo a portata di mano, la cosa bella è che se ti allontani un po’ incontri spazi di remoto. C’è lo sciamano, ci sono i sami [N.d.R. popolazione indigena della Lapponia], e in alcune circostanze, come quando il cielo è estremamente pulito o al contrario nuvoloso, fischia il vento e tutto intorno c’è il bianco, hai la percezione di essere perduta nell’Artico. Con poco sforzo riesci a rimanere lì, consapevole che sei in un’Europa che ti dà facile accesso»

In questo libro non racconti solo un’esperienza di viaggio ma ci metti te stessa, con incidenti di percorso, emozioni… Credo sia il tuo modo di raccontare, vero?

«Lo faccio anche quando sono in giro per conferenze! Quelle che racconto nel libro sono tutte avventure che ho vissuto con persone reali, e ce ne sarebbero da dire e raccontare, sia episodi di vita che intrecci con archeo-misteri e civiltà antiche. Penso potrebbe essere uno dei prossimi argomenti di cui scrivere! Ho visto con i miei occhi e studiato cose che impongono una rivisitazione totale della nostra storia»

Leggendoti si capisce che sei una persona che ha viaggiato molto e visto quindi molto del mondo. Però spiegami: nel grande nord occorrono sia un equipaggiamento adeguato che una preparazione mentale. Sono situazioni non consuete e non banali…

«Vero, non è banale, e lo scrivo: il grande nord è davvero uno stato mentale. Accade quando superi certe latitudini perché cambiano i ritmi circadiani. Purtroppo il ghiaccio se ne andrà, è quello che sta accadendo, ma il grande nord rimarrà, anche senza ghiaccio e animali ci saranno ancora la notte artica, le stelle allo zenit e il nostro cervello che non capisce più la differenza tra giorno e notte. Il grande nord è inside, nella nostra mente che cambia oltre quella latitudine, e il sole che non sorge mai oppure al contrario non tramonta mai è davvero un’esperienza»

Cosa mi racconti sulle popolazioni locali che hai incontrato e di cui parli nel libro? Per esempio i sami o gli inuit: com’è confrontarsi con persone che magari cacciano ancora le foche o vanno in giro con il fucile per difendersi dagli orsi polari?

«Per loro il grande nord è una cosa abbastanza normale, che si sta perdendo. Per esempio: la Groenlandia è indipendente, ma i danesi stanno cercando di collocare in modo non troppo invasivo i groenlandesi nelle loro terre. Sono angoli di mondo che si sono un po’ persi, lo stesso vale per i popoli dell’Amazzonia o per i maori in Nuova Zelanda: la tela elettromagnetica è arrivata ovunque e ha un influsso per cui queste persone sono attaccate sì alle loro tradizioni, ma non più come un tempo. Nel Grand Canyon vedi gli indiani con fuoristrada giganteschi e cellulari che vivono in baracche con la parabola: la globalizzazione è arrivata anche lì. Non è più come una volta, ma è capitato di incrociare queste popolazioni ed è curioso confrontarsi con loro e con la loro visione del mondo. Qual è la differenza con la nostra? Queste persone hanno scelto di rimanere nel luogo in cui stanno anche se hanno avuto uno stimolo esterno e sono state ingolosite dalla grande ragnatela, però continuano a restare nei loro ambienti e credo ci rimarranno, magari aiutandosi con la tecnologia. Anche noi, che siamo al top della tecnologia, oggi andiamo a ricercare questi luoghi. Se hai visto Star Trek ti ricorderai un episodio nelle centomila serie in cui i protagonisti arrivano su un pianeta e trovano la gente che zappa la terra che li guarda senza stupore e dice di essere una civiltà post curvatura. Sono già passati di lì, come questa gente sempre più ingolosita a lasciare la propria terra per poi tornarci. Questa è la fase di transizione la tecnologia aiuta, ma poi ci sarà un ritorno. Sono i Maya del resto a insegnarci la ciclicità»

Nel libro inserisci la constatazione, veritiera, che i ghiacciai si stanno ritirando, e ne parli soprattutto a proposito dell’Islanda, terra dello scontro titanico tra fuoco e ghiacci. I fenomeni globali ci parlano chiaramente: tu stessa dici che è meglio partire ora se si ha un’idea per un viaggio in Islanda. Eppure il grande nord resta…

«È una questione da considerare in prospettiva più ampia: noi non siamo inquilini e osservatori del pianeta, ne siamo parte integrante. Quello che succede e che fa l’uomo è il pianeta, che lo fa proprio perché noi ne siamo parte. Non possiamo dire di stare rovinando il pianeta perché noi siamo il pianeta. E qui torniamo all’astrobiologia, una delle tante materie di cui mi sono occupata e che mi fornisce spunti. Sai, una volta una tizia mi ha detto “non cercare il centro ma costruisci i raggi, vedrai che il centro arriverà da solo”. Ed è vero: costruisci raggio dopo raggio e trovi il centro. Occupandomi di astronomia, astrobiologia e avendo scritto tutti libri su temi diversi, alla fine è lungi da me l’avere trovato un centro, ma comincio a intravedere qualcosa…»

Leggendoti si capisce che l’esplorazione è ciò che ti diverte e il succo della tua ricerca, e il messaggio che arriva è proprio quello. Io te lo confesso: adesso ho voglia di vedere la Lapponia e l’Islanda!

«Un paio di volte l’anno organizzo e porto le persone a vedere le aurore boreali. Sono viaggi particolari, in gruppi, e concedimi un nome blasfemo ma sono una sorta di grande fratello ma serio, dove per cinque giorni le persone stanno in un bell’albergo in stile lappone, senza tv, immersi nella natura sulla riva di un lago sperduto. Ti garantisco che la gente ha voglia di comunicare, conoscersi e conoscere la natura, sapessi le amicizie che si creano o si rompono al ritorno: è un reset mentale incredibile! Ci sono persone che vengono per passaparola, e in ogni viaggio siamo sempre in tanti. In quel contesto lì la natura si chiude intorno a te: i groenlandesi che andavano a cacciare nell’altopiano dicevano che lì l’universo è l’essere umano chiuso dentro il suo sacco a pelo. Ecco, allo stesso modo in Lapponia succede una cosa di questo tipo: le persone cominciano a conoscersi, parlarsi…»

Passando all’interesse scientifico che ti porta in modo ricorrente al nord, ci sono fenomeni particolari, uno su tutti l’aurora boreale che tu hai inseguito in tanti luoghi, ma anche fenomeni ottici e altri eventi inconsueti. Quale ti colpisce di più? Ci sono episodi particolari su questi fenomeni?

«Le aurore sono in assoluto il fenomeno più spettacolare, fanno impazzire la gente: cominciano a urlare e saltellare… forse è anche l’alcol bevuto per il freddo! Accade anche per l’eclissi totale. Ma quando vedi questi drappi che iniziano a materializzarsi e danzare… Ti potrei raccontare mille aneddoti, e qualcosa di simpatico ho scritto anche nel libro: c’è una chat dedicata alle aurore dove anche in piena notte si scrive se ci sono avvistamenti, e c’è chi esce e si dimentica le mutande, chi incastra la lampo… Tutti aneddoti legati a un entusiasmo contagioso che arriva con l’aurora, anche se siamo a meno trenta gradi! Altre cose curiose sono i pilastri di luce che formano dei colonnati: si generano dal ghiaccio che polarizza la luce di varie sorgenti. In posti come la Groenlandia si possono vedere due o tre soli, oppure lo Spettro di Brocken, un’ombra gigante che arriva dal nulla. Noi oggi con le leggi della fisica sappiamo interpretarli, ma tu immaginati le popolazioni indigene! Infine, la perdita di orientamento nell’Artico. Avviene nell’Inlandsis groenlandese, l’altopiano che sta sopra la calotta, una terra di inferno e morte, noi non l’abbiamo sperimentato. In alcune occasioni però sulla superficie del lago calava una nebbiolina e tu avevi intorno il bianco e il vento che urlava: lì sperimenti la perdita di orientamento, è tutto bianco ed è come se fosse tutto nero. Il cervello perde i riferimenti, fa freddo, inizi a non vedere bene e non senti più il naso, ascolti il vento ululare oppure la calma piatta, ed è come se fossi in una bolla senza più i sensi, è la sensazione di essere nel remoto, come su una terra desolata quando l’uomo non c’era e forse nemmeno era previsto»

Riflettere su questi temi inquieta ma affascina al contempo

«Tanto, soprattutto quando poi arrivi ai riferimenti sulla vita nello spazio. Una grossa fetta dei viaggi che organizzo deve il suo maggiore successo proprio a queste riflessioni. In attesa delle aurore ci mettiamo lì e io racconto queste cose: la vita, l’universo, l’astrobiologia, le costellazioni. È una full immersion di qualche giorno mentre sperimenti queste cose e hai spunti su cui riflettere. Ho scoperto l’umanità delle persone che hanno voglia di chiacchierare e conoscere e se ne sbattono del cellulare, se non per condividere le foto delle cose che vedono con le persone, e questa è cosa buona e giusta»

Un’altra cosa pazzesca del tuo libro, e che ignoravo, è il buco più profondo della terra, a Murmansk, in Russia, vicino al confine con la Norvegia. Che effetto fa a un geologo questa cosa?

«È meraviglioso, anche se tu vai lì e vedi un tombino, ma è tuttora il foro verticale più profondo del mondo. Ricordo negli anni ’80 le riviste che avevo comprato e che ne parlavano, per non dire poi delle leggende sulle voci dagli inferi e il buco dell’inferno. Se da giù escono sacche di gas che si infiammano, immagina tu… è una cosa interessante tuttavia dal punto di vista scientifico, perché lì è stata trovata vita a grandi profondità. Nel libro non potevo permettermi una digressione così lunga, ma alla luce di questi fatti il concetto di vita e origine della vita andrebbe riscritto: Einstein del resto diceva che non si può risolvere un problema rimanendo nell’ambito di quel problema»

In effetti nel grande nord ci sono un sacco di miniere, e sotto i ghiacci ci sono cose. Mi hanno colpito le storie di persone che racconti, specialmente delle città russe del grande nord: non è solo ghiaccio…

«La Russia ha la porzione di continente più vecchia del pianeta, con la Scandinavia: sono quelli che chiamiamo cratoni continentali. C’è pieno di idrocarburi, pensa a città che si chiamano Nichel o Apatite. Ma ci sono anche aspetti drammatici: hai mai letto Salamov, I racconti di Kolyma? Sono tre volumi, un debito morale che abbiamo come col nazismo: l’autore racconta dei gulag e di tutta la gente che è stata ingiustamente accusata di nulla e mandata a scavare a meno cinquanta gradi sotto zero, morendo di fame e freddo. È un libro brutto, per quel che racconta, ma terribilmente intenso. Quella è sempre stata una terra difficile ma ricca e il dramma è che i grandi dittatori russi hanno per questo sfruttato la povera gente. Se tu vai in certi luoghi trovi ancora insediamenti russi con persone recluse sotto terra in miniera, in un paradiso di ghiaccio fuori, ed emergono solo per mangiare e dormire, tornando poi a zappare carbone. È una bolla di Russia dentro l’apertura e la bellezza della Norvegia e dell’Europa. Perché la ricchezza di queste terra è cavata – non ricavata, proprio cavata – da sempre a discapito di milioni di persone morte. Sono episodi gravi accaduti 50, 60 anni fa, e il nome delle città sancisce questo legame. Quando giri il mondo alla ricerche delle bellezze e dei paesaggi, incappi anche in queste cose qua»

È il bello del tuo libro: non solo un testo scientifico ma un viaggio con la sua visione allargata che tiene conto di tutto, di tanti fattori nei territori estremi che fai conoscere in modo profondo, tra paesaggi ma anche storia dell’uomo. Se dovessi descriverlo con una parola direi: appassionante. Anche perché è dotato di mappe, che io ho usato per andare a trovare i luoghi con nomi impronunciabili di cui parlavi. Di tutti questi posti del grande nord, alla fine, qual è il tuo preferito e quale quello dove sai che non tornerai?

«Non tornerei alle Svalbard, perché penso di aver visto tutto di quel posto! O meglio, di aver assorbito tutto. Tornerei, cosa che certamente farò, in Groenlandia: difficilmente uno vede uno spettacolo come quello della costa ovest, la capitale mondiale degli iceberg. L’Islanda… Beh, è inside: ci sono andata diverse volte negli anni e l’ho vista cambiare a occhio. Ma ho paura che tornare potrebbe farmi troppo male, l’ultima volta ho visto la lacuna lasciata da un ghiacciaio: era tutto nero, perché il ghiacciaio ritirandosi lascia detriti scuri. Ecco, ho paura di vedere un altro step di questo processo che potrebbe ancora ferirmi. Certo, l’Islanda però è un posto dove tornerei anche per l’attività vulcanica»

Atlante del grande nord è un viaggio di parole corredato da fotografie a colori e in bianco e nero. Perché, diciamolo, sei anche appassionata di fotografia, come racconti nel libro, e nel corso delle tue avventure hai sviluppato l’attrezzatura adeguata

«Certo, faccio foto macro, foto astronomiche, ho tutta l’attrezzatura per farle. Scrissi un libro, mai uscito per il grande pubblico, che parlava di tutte le cose che ho visto e dentro ci sono tutte foto mie di ambienti vulcanici  e ghiaccio. E poi butto tutto in pasto ai social, mi piace condividere con le persone perché ho avuto la fortuna – condizioni economiche e di salute, scelte che fai e ti arrivano -, e anche la tenacia, la caparbietà e la volontà di fare certe cose. Soprattutto in questa parte della mia vita amo condividere con le persone e portarle in giro raccontando la bellezza del mondo».

[Tutte le foto nel testo sono di Pixabay]

 

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!