All’improvviso è arrivata una notizia terribile, inaspettata. È arrivata via mail, dal Teatro Stabile di Torino: “si è spento ieri sera, all’età di 66 anni, Eugenio Allegri”. Incredula corro con la memoria a quando Eugenio Allegri mi ha parlato al telefono. L’avevo intervistato in occasione del Mistero Buffo di Fo ripreso da Matthias Martelli. Ecco, ecco che infatti la mail dello Stabile ne parla: “Nato a Collegno e diplomato nel 1979 alla Scuola Galante Garrone di Bologna, Eugenio Allegri è stato attore e regista di riconosciuto talento, lavorando, fra gli altri, con Leo De Berardinis, Dario Fo, Gabriele Vacis, Vittorio Franceschi e Leo Muscato. Il suo volto e la sua voce sono indissolubilmente legati a Novecento di Alessandro Baricco, che ha portato in scena per oltre vent’anni sui palcoscenici italiani ed europei. Nel 2009 aveva riaperto il Teatro Carignano appena restaurato come protagonista dello Zio Vanja di Anton Cechov, diretto da Gabriele Vacis, che nel 2012 lo scelse anche per Rusteghi di Goldoni.  Nel 2016 aveva accettato la sfida di Dario Fo di dirigere il giovane Matthias Martelli in una nuova e apprezzata versione di Mistero Buffo, prodotta dal Teatro Stabile di Torino, e nel 2017 era tra gli interpreti principali dell’adattamento teatrale de Il nome della rosa di Umberto Eco, diretto da Leo Muscato».

Esterrefatta, cerco quell’intervista nel mio archivio e la trovo. Era uscita il 1 febbraio del 2018. Un sacco di tempo fa, ormai. Leggo la dichiarazione del Presidente dello Stabile Lamberto Vallarino Gancia e del Direttore Filippo Fonsatti: «Con Eugenio Allegri scompare uno degli artisti più rappresentativi della nostra Città e della scena teatrale italiana: un talento straordinario, professionista appassionato e acclamato, uomo mite e garbato. Nella sua lunga e fortunatissima carriera ha esportato in tutta Italia e all’estero il nome del Teatro Stabile di Torino, conquistando anche il pubblico di Londra, Pechino e Shanghai. Alla moglie Susanna ci stringiamo nel dolore impegnandoci a celebrarne il ricordo e custodirne la memoria».

Non posso proprio crederci, ma forse custodire e ricordare è quel che posso fare anche io, dal mio osservatorio attonito. Mi interrogo sul senso di questo mestiere che, un po’ come fa il cinema su pellicola, fissa nel tempo, rendendole immortali, le voci e i virgolettati delle persone con cui hai parlato, stringendo una relazione più o meno profonda ma lasciando che qualcosa ti fosse trasmesso, arrivasse dall’intervistato, dal suo mondo, al tuo. Che fortuna, la mia. Sfacciata fortuna inconsapevole di parlare al telefono con un attore e registra tra quelli che più ho ammirato e seguito, con entusiasmo, nei miei anni torinesi. Gabriele Vacis dice di lui: «Eugenio è stato un grande attore  ma soprattutto un grande amico. Dal padre Capuleti di Romeo e Giulietta al Fulgenzio di Goldoni, da Novecento a Cyrano ha segnato profondamente l’esperienza del Teatro Settimo. Gli vogliamo bene e gliene vorremo per sempre. Ciao amico». Anche Vacis l’ho intervistato al telefono nei miei anni di lavoro per la cultura a Torino. E mi sembra assurdo. Mi ricordo le conferenze stampa, gli spettacoli, le centinaia di volte a teatro.

«Eugenio Allegri è stato un attore poeta – dice il Direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, Valerio Binasco –  Emanava un fascino speciale, unico, perché era capace di esercitare la forza di seduzione della recitazione senza adoperare mai la forza. Adoperava solo la dolcezza, perfino quando gli capitava di interpretare ‘i cattivi’. Quando lo vedevi in scena ti ritrovavi dinnanzi a un artista che immediatamente percepivi come un potenziale ‘protagonista’, ma insieme lo percepivi anche come se si fosse smarrito, come se la sua timidezza lo avesse portato al centro della scena per caso. Un po’ come succedeva in tanti film di Chaplin, quando Charlot si ritrovava al centro dell’attenzione per un qualche accidente. Era chapliniano, Eugenio, ma c’era qualcosa in lui anche di Gogol. E questo gli donava una qualità molto rara in un attore: la grazia. Dire che era dotato di grazia, per me è il più grande complimento che si possa fare ad un attore. Amava far ridere, amava i clown e la commedia dell’arte, della quale era un vero esperto e maestro. Era un attore straordinario che sapeva tenere insieme il carisma dei grandi personaggi, con la tenerezza del ‘suo’ personaggio. Ho appena saputo della sua morte, e sono molto scosso. Grazie Eugenio per tutto quel che ci hai insegnato e che hai fatto, attore poeta dai guizzi comici e malinconici, istrione dagli occhi smarriti, amico di passeggiate per Torino a passi svelti nel freddo del dopo teatro d’inverno, nei nostri cappotti gogoliani».

Ripropongo quella mia intervista del 1 febbraio 2018 uscita su Mentelocale, che intrecciava speranze e pensieri di Matthias Martelli e di Eugenio Allegri, suo regista, in vista del debutto di Mistero Buffo. Era vibrante di vita e progetti, e io conservo e condivido con chi mi legge la mia sfacciata fortuna di quella telefonata, di quell’incontro.

Eugenio Allegri dirige il talento di Matthias Martelli nel Mistero Buffo di Dario Fo

Il testo è il capolavoro assoluto di Dario Fo, il protagonista è un giovane e talentuoso artista, il regista è uno dei più noti attori teatrali italiani. Il Mistero Buffo di Matthias Martelli, per la regia di Eugenio Allegri, è in arrivo alle Fonderie Teatrali Limone di Torino per dodici repliche, dal 6 al 18 febbraio, in una coproduzione di Teatro Stabile di Torino e Teatro della Caduta.

Ed è proprio al Teatro della Caduta, piccolo ma magico spazio di creazione artistica e sperimentazione, che Matthias Martelli deve parte del trascinante successo che lo ha coinvolto nell’ultimo anno grazie al suo primo spettacolo itinerante Il Mercante di monologhi, in cui, con l’aiuto di un carretto e di pochi altri oggetti scenici, dà vita a una serie di esilaranti sketch tra risate irrefrenabili e sbeffeggiamento della contemporaneità. Sembra quasi naturale che dalla collaborazione con Allegri, che fu suo insegnante di Commedia dell’arte alla scuola per attori, Matthias sia approdato al testo di Fo, che della giullarata e della comicità irrefrenabile fa la sua bandiera.

Eugenio Allegri è uno dei pochi in Italia che ha lavorato con Fo e conosce benissimo la Commedia dell’Arte e il metodo Lecoq, il grande maestro di Fo

«Mistero buffo è uno spettacolo che conosco fin da quando ero piccolo, me lo facevano vedere i miei genitori – racconta Matthias, che con Fo ha avuto la preziosa occasione di lavorare – mi ha appassionano subito questo attore che, da solo e senza scenografie, faceva immaginare mondi e personaggi incredibili. La passione per il teatro è partita da lì. Eugenio Allegri è uno dei pochi in Italia che ha lavorato con Fo e conosce benissimo la Commedia dell’Arte e il metodo Lecoq, il grande maestro di Fo». Un bagaglio che, in modo naturale, ha portato alla scelta di Mistero Buffo, e alla convinzione di poterlo riportare a teatro ina una veste aggiornata: «Ci mettiamo un po’ nei guai con questa scelta – scherza Allegri – ma lavoravamo entrambi su Fo, entrambi avevamo in mente Mistero Buffo e ci siamo detti “perché non farlo?”».

Poco più di due anni fa, dunque, i due hanno contattato il Maestro per avere un parere sulla possibilità di portare in scena lo spettacolo, affidandogli un provino registrato in teatro da Matthias, la famosa giullarata di Bonifacio VIII. «Ma sei sicuro? Mi disse al telefono Dario Fo – racconta Allegri – ci eravamo conosciuti e avevamo un rapporto di confidenza, mi chiese di fargli vedere come lavoravamo e io gli risposi che volevo provare, l’attore mi sembrava molto in gamba e avevamo chiara l’idea che con Mistero buffo bisognava lavorare, non essere bravi prima di farlo. Ci siamo messi di buona lena quindi, abbiamo registrato la giullarata e l’abbiamo inviata a Fo che purtroppo aveva già iniziato a non stare bene, ma ha fatto in tempo a darci il suo ok prima di andarsene. Non sapevamo che fossero gli ultimi giorni, ma avevamo la sua mail con l’autorizzazione e speravamo di incontrarlo. Ormai, però, bisognava lavorare, e adesso eccoci».

Ma sei sicuro? Mi disse al telefono Dario Fo

Di fronte a un’eredità così imponente, in linea con lo spirito del testo non c’è però peso per Matthias, ma solo impegno e divertimento: «non sento alcun peso, anzi mi sembra una grande occasione, sto vivendo le repliche con grande leggerezza perché questo spettacolo funziona solo se viene interpretato, oltre che con un bagaglio di tecnica molto vasto, anche con leggerezza. Più che un peso, quindi, è una voglia di riportarlo in scena, anche perché non sono affatto in competizione con Fo, ho trent’anni, un’altra fisicità e un altro viso».

Mistero buffo è un’opera da sempre varia, dinamica: «Fo lo cambiava sempre – spiega il regista – lo adattava e aggiornava sia nelle introduzioni che nelle modalità di porsi, e sarà un lavoro così anche per noi. Abbiamo fatto un’anteprima a Follonica e ora consolideremo nelle repliche torinesi, speriamo vada bene, noi continueremo a lavorarci sperando che trovi gradimenti, e continuando ad aggiornarlo».

L’idea alla base dello spettacolo è di dare nuova vita a un’opera pietra miliare della storia del teatro italiano: «ricordiamoci quanto fosse prorompente l’effetto di Mistero Buffo, con cui Fo aveva iniziato a girare nel 1969, durante gli anni Settanta – Eugenio Allegri ci tiene a ricordarlo, perché proprio a Torino, a Palazzo Nuovo, partecipò a una delle prime messe in scena dello spettacolo tra il 1973 e il 1974– tirava fuori un potenziale grande di forza ed energia. Ricordo che quando uscii dall’esperienza che avevo vissuto a Torino, e non ero ancora studente, avevo all’incirca diciassette anni, ero alle soglie della scelta di fare teatro, e mi dissi che se questo era il teatro, allora dovevo farlo. Penso che molti tra coloro che hanno visto Fo abbiano pensato che se quello era ciò che trasmetteva il teatro, se quello era l’effetto, il teatro era importante per la cultura e per la società. Insieme a Dario Fo scoprivi il teatro e la sua forza. Certo, ho avuto poi altre occasioni per confermare la grandezza e le possibilità di comunicazione ed educazione del teatro, ma quella fu proprio una delle prime esperienze, e di grande altezza».

mi dissi che se questo era il teatro, allora dovevo farlo

Dire Mistero Buffo è parlare di grammelot, la lingua macedonia fatta di alti e bassi, popolare ed erudito che caratterizzava il grande Dario Fo. «Faremo il grammelot di Fo, uguale – assicura Matthias –questa lingua è una serie di dialetti e grazie al fatto che sono nato a Urbino, nelle Marche capiscono tutto, ma è un linguaggio universale in tutta Italia. Abbiamo deciso di lasciare la lingua inventata da Fo, la mia fortuna è un bagaglio che mi porto dietro da quando ero ragazzino, quando imitavo qualsiasi persona entrasse in casa».

La lingua, e il testo, sono del resto stati il punto di partenza per questo adattamento, come conferma Allegri: «dissi subito a Matthias che per me Mistero Buffo era quello che avevo visto da ragazzo, volevo fare quella cosa lì: due ore di spettacolo con un lavoro molto faticoso. Quando abbiamo iniziato, ci siamo resi conto di un secondo aspetto, oltre all’impegno, e cioè che Mistero Buffo non è solo lo spettacolo dove Fo rivela la sua enorme grandezza di attore, ma è un’opera scritta a cui era arrivato con varie riscritture e adattamenti. È un’opera di bellezza e grandezza straordinaria che ha dentro molti livelli di lettura, dal teatro popolare e colto dell’Italia del dopoguerra alla società contadina, con riferimenti culturali e storici di grande levatura, personaggi dei vangeli apocrifi, uno studio sulla letteratura alta e quella non riconosciuta ufficialmente. Questo era ciò che ci interessava, restituire l’opera è diventato così il punto di riferimento fondamentale».

Ricordiamoci che non ci sono elementi in scena, bisogna tirare fuori le doti di attore per restituire il testo, la gestualità, la vocalità. Altrimenti l’opera non si capirebbe

Chiunque abbia visto anche solo pochi minuti dell’opera di Fo, non può non ripensare alla grande gestualità che, solo in scena, sprigionava dalla sua figura. «Non potevamo né volevamo imitare Fo – prosegue Allegri – nessuno ci può riuscire, ma la modalità dello stare in scena dell’attore qui è determinata dall’ingresso in ciò che il testo suggerisce, nella dimensione di narrazione e rappresentazione. Ricordiamoci che non ci sono elementi in scena, bisogna tirare fuori le doti di attore per restituire il testo, la gestualità, la vocalità. Altrimenti l’opera non si capirebbe».

La mimica, la gestualità, sono elementi con cui Matthias Martelli ha a che fare quotidianamente, e che a giudicare dal successo di pubblico gli sono particolarmente affini: «ho scoperto la mia predisposizione durante le repliche del Mercante di monologhi, il mio primo spettacolo – dice – piano piano mi sono accorto come, usando la mimica, in qualche modo le persone rispondevano tantissimo, ridevano. Gradualmente ho capito cosa poteva funzionare: è uno studio sul campo che viene dalle repliche, così sto via via inserendo cose anche in Mistero Buffo, è un aspetto istintivo, più che registico».

Classe 1986, Matthias propone un Mistero Buffo contemporaneo, che parla sì al pubblico che già conosceva Fo, ma anche e forse soprattutto ai giovani, dagli adolescenti ai trentenni, che non lo hanno mai visto. Le prime repliche hanno confermato l’autonomia dell’opera, che non rimanda con rimpianto a Fo, ma guarda avanti: «Definito il fatto che l’opera è la cosa principale da restituire – ha chiarito Allegri – l’altra ragione, e il valore di questa operazione, sta nel fatto che l’attore e giovane e può rivolgersi ala sua generazione, restituire ai coetanei il Mistero Buffo».

«È stupendo vedere quest’opera, un classico universale, che continua a vivere – conferma infatti Matthias – a San Costanzo abbiamo visto molti ragazzi delle scuole e hanno riso tanto, il che mi dà grande entusiasmo. Sia il pubblico che ha già visto Fo, sia quello nuovo è attento a quello che succede, ci sono tante esplosioni di risate e qualche ragazzo si è anche stupito che fosse comico, forse per un sedicenne un Premio Nobel è noioso…».

non è possibile per nessuno avvicinarsi a quella grandezza, e allora tanto vale vedere che succede, con simpatia

«Inizialmente l’approccio generale per quelli della mia generazione che hanno visto il Mistero Buffo di Fo e lo hanno conosciuto nella sua grandezza e sfaccettature, è un po’ diffidente – sorride Allegri – ma non è possibile per nessuno avvicinarsi a quella grandezza, e allora tanto vale vedere che succede, con simpatia. Molti tra i testimoni di quella esperienza storica, teatrale e culturale si sentono un po’ proprietari di quell’opera: era stata un’esperienza unica, che restituiva la proprietà intellettuale al suo pubblico, ed è l’aspetto che può creare della riserva, della diffidenza. In realtà non sta accadendo: finora il novanta per cento del pubblico che ha visto il nostro Mistero Buffo ha fatto i complimenti a Matthias per aver fatto rivivere lo spettacolo».

Al rapporto con il suo pubblico, Matthias è grato e affezionato, non solo per ragioni tecniche. «Se potessi proverei tutto il tempo con il pubblico – racconta – qualche sera fa leggevo delle parole di Fo sull’ultimo Mistero che ha fatto nell’agosto 2016. Diceva che la cosa fondamentale che ha imparato nella sua carriera di attore è il ritmo da costruire ogni volta con un pubblico diverso. L’attenzione del comico deve essere raddoppiata rispetto a un testo drammatico, bisogna cogliere chi è interessato alla mimica, chi ride prima e chi dopo la battuta, è un rapporto continuo che cerco di instaurare replica per replica».

L’attenzione del pubblico per Matthias è tanta ed entusiasta, dall’edizione 2017 del Fringe Festival torinese, con una serie di serate sold out e il piccolo teatro della Caduta stracolmo di spettacoli, ai recenti successi nelle Marche. Ecco perché, dopo una piccola pausa nel mese di febbraio, per lasciare spazio al Mistero Buffo, il Mercante di monologhi tornerà a girare l’Italia: «Non si ferma più! – ci scherza su il suo creatore – io sono ottimista, ma una crescita così è complicata anche per un ottimista! Sono partito con un carretto che mi montavo da solo, senza niente, senza nemmeno un tecnico, e adesso mi trovo le sale piene in giro per l’Italia…». Ma, umiltà a parte, un motivo dietro a tutto questo, c’è, e si nasconde sulle assi del palco. Provare per credere.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!