1949, esce un trittico intitolato La bella estate, l’autore è Cesare Pavese, l’opera include tre romanzi ciascuno a suo modo folgorante, decisivo. Sono l’omonimo La bella estate, Il diavolo sulla collina e Tra donne sole. Ed è proprio di quest’opera che mi piacerebbe parlarvi per la terza tappa di EinaudiTo, la challenge proposta da Radical Ging, che in questo strano marzo 2020 è dedicata a Cesare Pavese.

Per iniziare a raccontarvi qualcosa su questo romanzo, dal quale nel 1955 Michelangelo Antonioni ha tratto spunto per il film Le amiche, vi sottopongo l’incipit che io trovo tra i più belli della letteratura italiana, una descrizione che è in realtà un quadro malinconico di grande effetto dedicato a Torino

Arrivai a Torino sotto l’ultima neve di gennaio, come succede ai saltimbanchi e ai venditori di torrone. Mi ricordai ch’era carnevale vedendo sotto i portici le bancarelle e i becchi incandescenti dell’acetilene, ma non era ancor buio e camminai dalla stazione all’albergo sbirciando fuori dei portici sopra le teste della gente. L’aria cruda mi mordeva alle gambe e, stanca com’ero, indugiavo davanti alle vetrine, lasciavo che la gente mi urtasse, e mi guardavo intorno stringendomi nella pelliccia. Pensavo che ormai le giornate s’allungavano, e che presto un po’ di sole avrebbe sciolto quella fanghiglia e aperto la primavera. Rividi così Torino, nella penombra dei portici. Quando entrai nell’albergo non sognavo che il bagno scottante e distendermi e una notte lunga. Tanto, a Torino ci dovevo stare un pezzo.

Chi parla è Clelia, la protagonista di questo romanzo che, dopo la guerra, è fuggita da Torino, dalle macerie e dalla povertà e si è costruita una nuova vita a Roma, dove è commessa di boutique. Originaria del quartiere popolare, quello che oggi è noto come quadrilatero, e che si estende nei dintorni della Consolata, dove un tempo c’erano botteghe e prostitute, Clelia torna in città da donna adulta, affermata, autonoma e sicura. È un personaggio che si costruisce e agisce per lavoro – è infatti in città per monitorare i lavori di apertura di un nuovo negozio, sulla centrale via Po ancora demolita dalle bombe della guerra -, non ha un uomo e sa badare a sé durante le serate mondane in cui incontra accompagnatori più o meno galanti e future amiche.

Pur senza dimenticare il passato umile, oggi Clelia si ritrova infatti in mezzo alla dinamica vita sociale della borghesia torinese agiata. Ed ecco un tratto inconfondibile delle giovinezze narrate da Pavese: le serate danzanti, le corse in auto, le scampagnate al mare. Un mondo tuttavia vuoto e ipocrita, scriteriato e privo di valori, che restano anche per Clelia, così come per gli altri personaggi pavesiani in altri romanzi, quelli delle radici. Clelia torna allora nei suoi luoghi, in via della Basilica. Parte dal suo elegante hotel e attraversando il centro si infila nell’umido passaggio a volta che porta su piazza San Giovanni e imbocca le viuzze della sua infanzia:

C’ero andata; avevo prima girato i paraggi. Conoscevo le case, conoscevo i negozi. Fingevo di fermarmi a guardare le vetrine, ma in realtà esitavo, mi pareva impossibile d’essere stata bambina si quegli angoli e insieme provavo come paura di non essere più io. Il quartiere era molto più sporco di come lo ricordavo. Sotto il portico della piazzetta vidi la bottega della vecchia erborista; c’era adesso un ometto magro, ma i sacchetti di seme e i mazzi d’erbe eran gli stessi. Di lì, nei pomeriggi d’estate veniva un profumo intenso, di campagna e di droghe. Più in là, le bombe avevano diroccato un vicolo. Chi sa Carlotta, le ragazze, il Lungo? Chi sa i figli di Pia? Se le bombe avessero fatto un solo spiazzo di quel rione, sarebbe stato meno difficile passeggiarci coi ricordi. Mi infilai nella viuzza proibita, passai gli usci a mattonelle. Quante volte eravamo fuggite di corsa davanti a quegli usci.

La Torino di Clelia è povera, racconta privazioni e miseria, le ricorda la guerra e un passato dal quale è voluta fuggire per ricostruirsi, riscattarsi e per cercare di inventare un’altra se stessa, in un altro mondo e in un altro ambiente. Ma si rende conto di non essere come le persone che frequenta: lei ha vissuto entrambi i mondi, lei sa. Ed è per questo che è un personaggio che io trovo grandissimo, molto forte. Nonostante il passato di privazioni, Clelia a Torino recita la parte della donna fiera e indipendente: gira sola, frequenta salotti fastosi, passeggia in pelliccia in via Po, beve cocktail in serate mondane, si fa offrire un vermut al caffè di fronte al suo negozio, e si siede nel salotto buono della città tra stucchi e macerie dei  bombardamenti, piazza San Carlo. Clelia è adulta, sa cosa deve dire e fare in certi ambienti, di cui tuttavia sa leggere la pochezza, e pur essendone scappata, resta fortemente ancorata alle sue origini, «io ci son nata a Torino. So che cosa vuol dire vedere un’altra con le calze di seta e non averle» dirà mentre uno degli spasimanti che le ruotano intorno la porterà a cena.

Insomma, un personaggio da scoprire, e da amare, sullo sfondo di una Torino post bellica che tanto ho raccontato in Torino di carta e di cui emergono cartoline di grande intensità. Come il Carnevale – Clelia arriva, come narra l’incipit, proprio in quel periodo -, come la salita sulla Topolino fino alla collina di Superga per ammirare il panorama, come la via Po in ricostruzione, da cui nonostante muri crollati si intuisce già l’infilata di portici che conducono al maestoso affaccio su piazza Vittorio.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!