Grazie dall’entusiasmo di Davide e Marco del blog Radical Ging, lo scorso agosto ho avuto il grandissimo piacere di partecipare a una lunga, dettagliata e divertente intervista con Carlotta Fruttero, figlia di Carlo Fruttero. La scusa è stata la challenge che Radical Ging ha organizzato in vista  dell’uscita di Opere di Bottega, il doppio Meridiano Mondadori curato da Domenico Scarpa che sarà in libreria da ottobre 2019. Da luglio a ottobre abbiamo letto e riletto insieme alcuni dei più bei romanzi di F&L, da La donna della domenica a L’amante senza fissa dimora, passando per Il palio delle contrade morte ed Enigma in luogo di mare.

Di tutto questo, e di molto altro, abbiamo chiacchierato nell’intervista che vi proponiamo in tre puntate, qui e su Radical Ging. Buona lettura!

Carlo Fruttero e Franco Lucentini
Sergio Del Grande per Epoca

Partiamo dall’ABC. Come racconteresti il rapporto con tuo padre, Carlo Fruttero?

Il rapporto con mio padre era strettissimo. Certo, il rapporto filiale era scontato. Ma lui non era un padre scontato. Quando ero piccola giocava tantissimo con noi: quando non scriveva era sempre pronto a raccontare e leggere storie. Sono cresciuta respirando quest’aria.

Quali sono le storie della vostra infanzia? Che storie vi leggeva?

Credo che da quando ho cominciato a capire e ragionare sulle parole, la prima cosa che mi è stata letta sono le fiabe di Calvino. Andavo a dormire con Giovannin senza pauraPrezzemolinaGràttula Beddàttula. Tutte le fiabe di Calvino che mio padre, a turno con mia madre, mi leggeva. Il patto era “Leggiamo una sola fiaba e poi tu dormi”, ma le fiabe diventavano sempre due. Sono state anche le fiabe di Calvino, centellinate notte dopo notte, a spingermi alla lettura. Con mio padre mettevo insieme le sillabe, a cinque anni avevo imparato a leggere per conto mio.

Si sa, con il trascorrere del tempo le relazioni in famiglia mutano. Crescendo, come si è modificato il rapporto con tuo padre?

Crescendo uno cambia, si diventa adolescenti a volte ribelli. Devo dire che lo scontro diretto con mio padre non c’è mai stato, quello c’era con mia madre. Lui mi faceva il muso, non mi parlava, ed era peggio. Nel tempo ho cominciato a diventare la sua segretaria. Lui scriveva sui taccuini a mano: prima del computer, quando ero già sposata, mi telefonava la mattina e mi diceva “stasera devo dettare un pezzo alla stampa, ma puoi battermelo tu a macchina che non ho voglia?”. Per cui io andavo, mi mettevo sulla sua Valentina rossa e gli battevo il pezzo. Lui lo rileggeva, lo correggeva sempre pochissimo e poi si attaccava al telefono e a turno lo dettavamo al dittafono, prima che arrivassero le mail.

Carlo Fruttero e Franco Lucentini
Sergio Del Grande per Epoca

L’arrivo del pc è stato ben accetto?

È stata la svolta: abbiamo iniziato a utilizzare le mail e tutto è diventato più veloce. Mio padre questa cosa non l’ha mai capita: non capiva come potesse finire l’articolo, cambiarlo e inviarlo, tutto così velocemente. Ogni volta mi chiedeva “e ora quanto ci mette?”. Per lui la questione del web era fantascienza, quella fantascienza che insieme a Lucentini ha sdoganato come letteratura vera e non di serie b. Tutto quello che lui aveva tradotto e scelto si stava verificando nella sua realtà, nel suo mondo. Il telefonino non lo aveva, e i messaggini (nonostante siano in Donne informate sui fatti, con la barista) li scriveva lunghissimi e per esteso. Io lo avvisavo che lunghi così non andavano bene, e infatti i capitoli dove compaiono li abbiamo tradotti io e i miei figli.

L’altra metà di Carlo Fruttero. Chi era per voi Franco Lucentini?

Io ho avuto due padri: avevo anche Lucentini, che non avendo figli si è sbizzarrito con me e poi con mia sorella. Poi il fratello ha avuto i figli, e allora si è divertito anche con i nipoti, ma meno perché stavano a New York e non aveva la consuetudine che aveva con noi due. Noi eravamo a Torino come lui, lo vedevamo sempre.

Cosa è successo dopo la morte di Lucentini?

Il rapporto con mio papà è sempre stato molto stretto. Gli ultimi anni, dopo la morte di Lucentini, l’ho costretto a riprendere in mano carta e penna, a scrivere romanzi. Gli ho rotto l’anima fino all’ultimo giorno, non lo lasciavo in pace! Per esempio gli aveva telefonato la casa editrice Gallucci, che proponeva un progetto per i bambini legato alla creazione. Io li avevo assicurati che l’avrei convinto, così ero andata da lui e gli avevo detto: “senti, c’è una cosa magnifica che potresti fare, sulla creazione”, e lui: “La creazione? Cosa vuoi che ne sappia io della creazione? La Bibbia la leggo, non sono mica capace a scriverne!”. Poi lo avvisavo che aveva cinque giorni di tempo per decidere e mi avrebbe fatto sapere. Il giorno successivo, dopo averci pensato, mi aveva detto: “Sai ho avuto un’idea, potrei scrivere una filastrocca”.

Quasi come lo facesse per te!

È stato tutto così, anche Mutandine di chiffon: lui non lo voleva fare. Poi ho iniziato a incalzare: “C’è un monte di pezzi che hai scritto per La Stampa dove racconti stralci di vita tua, di Franco, di Citati, dei tuoi amici, dei tuoi nipoti”. “Ma figurati, io, un’autobiografia, ma non esiste! No no, quelle cose lì le fanno quelli che hanno voglia di raccontare di sé!”, questo rispondeva. Alla fine, abbiamo trovato la chiave: una sorta di autobiografia sotto forma di racconti, senza niente di autoreferenziale o autoincensante.

Carlo Fruttero e Franco Lucentini
Sergio Del Grande per Epoca

Una domanda solo apparentemente banale. Come è stato essere figlia di Fruttero?

Mi ha cresciuto e mi ha fatto respirare un’aria che non era la cosiddetta aria di cultura. Per lui la Cultura, con la C maiuscola, il letterato e il dotto, l’intellettuale, erano parolacce. La cultura era la curiosità per lui, informarsi, sapere di cosa si stava parlando: riferimenti, agganci, occasioni per approfondire. Per quello internet gli serviva molto: lì trovi tutto. Ogni tanto mi faceva delle domande: “non mi ricordo quella battaglia, non so più quel comandante, dovresti andare in biblioteca a fare una ricerca”. Io gli rispondevo “ma che biblioteca, io vado su Wikipedia!”. In 30 secondi gli stampavo tutto quello che mi chiedeva.

Avere un padre così è stato per me un regalo divino, la fortuna più immensa che potessi avere. Non lo vedevo come uno scrittore famoso, ma come un insegnante di vita, a tutto tondo.

Qui trovate la seconda parte dell’intervista e qui, invece, trovate la terza parte che chiude la chiacchierata con Carlotta Fruttero.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!