L’ora di pietra è uno di quei libri di Margherita Oggero che mi sono passati da sempre in secondo piano. Da quando è uscito – infatti, lo ignoravo -, a quando me ne hanno parlato – non mi aveva suscitato curiosità -, a quando infine a una presentazione in compagnia dell’autrice mi sono convinta che poteva essere una storia interessante, l’ho comprato e messo nella pila dei tanti in attesa di lettura. Credo da allora, dall’acquisto, siano passati due o tre anni, ma finalmente in coda a questa estate 2017 ho deciso di leggerlo.

E non ci ho trovato la Margherita Oggero che mi aspettavo. Quella ironica, vivace, che racconta la Torino che mi piace, i personaggi a cui mi affeziono alla seconda riga, le pieghe dei caratteri e dei pensieri che mi fanno ritrovare tra le storie. No, questa volta il romanzo ha stentato a prendere il via, anche se ammetto che, una volta superato il picco iniziale di difficoltà, è bastato un pomeriggio intenso per aver voglia di vedere dove andavamo a parare. Perché, oltre a una patina di grigiore che lo differenzia dagli altri romanzi della Oggero – sarà il tema, saranno i personaggi e le vicende non particolarmente felici – questa storia ha una struttura narrativa complessa.

Si tratta, infatti, di due storie (in certi momenti potremmo individuarne anche tre) che corrono parallele e di cui siamo invitati a cercare il punto di incontro. O meglio, i punti di incontro, perché ci accorgeremo presto che le vicende sono tutte legate e i piani temporali sfasati non sono che da ricomporre in una logica di causalità. Cosa ha generato la situazione pazzesca in cui si trova Imma, la ragazzina che ci parla affacciata da una finestra della sua casa-prigione mentre aspetta l’ora di pietra, il momento velocissimo in cui tutto, fuori, sembra immobile? E cosa c’entrano quelle narrazioni che parlano l’accento del sud e raccontano di una famiglia, dei suoi figli e poi dei suoi nipoti?

In mezzo c’è la mafia, lo capiremo presto, anche se il talento giallistico della Oggero è tutto qui, nel tenere sospesa fino all’ultimo la tensione sul fatto scatenante, quello che ha fatto sì che Imma fosse condotta lontano da casa, dalla zia finta della grande città (che intuiamo essere Torino, o almeno io lo intuisco perché il grande mercato con bancarelle ha tutta l’aria di Porta Palazzo), in regime di assoluta protezione e anonimato, nell’assurda condizione di prigioniera dentro casa. Imma è un’adolescente speciale, molto riflessiva, accorta, attenta a tutto forse per via della sua storia familiare sfortunata, ma ha il vizio di cacciarsi nei guai, lo capiremo mano a mano che la sua storia ci si chiarisce. È anche una ragazzina mansueta, che si preoccupa della propria situazione ma non alza la testa, non scappa. Perché sì, troverà anche le chiavi per evadere dalla prigione, ma responsabile e razionale si concederà una sola ora d’aria, proprio come i carcerati. Un’ora d’aria che, oltre ad assaporare l’atmosfera della nuova città, la porterà a fare una cosa bellissima: a comprare libri per evadere dalle mura che la imprigionano con la fantasia, anzi, ancora di più, per trovare storie simili alla sua da considerare e di cui soppesare gli aspetti per capire meglio la propria realtà.

I libri che Imma legge sono Il diario di Anna Frank e Io non ho paura di Nicolò Ammaniti: due storie di ragazzi imprigionati, la scelta come dicevo non è affatto casuale e a me sembra anzi di vedere il viso di Margherita Oggero che strizza l’occhio. Che bella, la consapevolezza dell’autore per il suo lettore modello! E che bella la sapienza della costruzione romanzesca, in questa storia che ai miei occhi è partita lenta, e in cui non riuscivo davvero a trovare un legante tra Imma imprigionata in casa oggi, la saga della famiglia con i suoi nonni, zii e genitori, e quella di un’altra famiglia del paese di origine, probabilmente in Campania. Vi do un consiglio: fidatevi della Oggero. Se anche a voi capiterà di perdervi tra i personaggi, tenete duro, perché tutto si ricomporrà e la trama diventerà robusta e sicura, portandovi al finale con tutti i tasselli a posto e la soddisfazione di aver capito e di potervi così godere il bellissimo e improvviso finale.

Se la storia che si snoda dietro Imma è per lo più una narrazione di fatti, con poco scavo psicologico e invece una ricerca evidente sull’uso linguistico del dialetto campano, i brani in cui la ragazzina parla in prima persona sono la parte che il lettore più attende, o almeno il lettore come me, quello che non vede l’ora di entrare nella testa delle persone. Perché Imma riflette, macina immagini, collegamenti, pensieri, visioni. Condisce tutto con un po’ di ingenuità adolescenziale, ma nemmeno troppo, è invece molto adulta e matura, ha capito purtroppo, testimone e vittima com’è di fatti orribili, come funziona il mondo. Trovo di una delicatezza infinita i suoi incontri durante l’ora d’aria al mercato con il ragazzo che vende libri usati. Come sempre, la Oggero ha dipinto un quadretto: lui infatti intuisce i gusti della ragazzina timida che si sente imprigionata, e le consiglia ottime letture a tema, e lei lo osserva e un po’ se ne invaghisce. Il ragazzo maneggia libri, studia all’università. E la conoscenza a Imma non fa affatto paura: lei vorrebbe sapere, leggere, capire, approfondire. Ecco perché legge, ecco perché sottolinea con forza l’importanza di aver preso con sé, nella fuga rocambolesca da casa propria, qualche libro.

La conoscenza e l’istruzione sono determinanti, sembra dirci questa storia: avrebbero evitato alcuni sbagli, alcuni errori, e possono invece, oggi, dare una spinta in avanti, incoraggiare, aiutare, ma ancora di più, e soprattutto, disvelare, far aprire gli occhi, e abbracciare una quantità di cose, atteggiamenti e persone impensabile da un paesino del sud, o addirittura da un appartamento chiuso a chiave. È una storia tragica e delicata insieme, questa, che di destreggia con una scelta narrativa non facile, e vince a pieni voti la sfida di tenerci incollati. E se non ci ho sentito la Oggero più “fiammante”, c’è però una Oggero più silenziosa nascosta dietro ogni pagina, di questo libro, e dei tanti che lo popolano in una missione bellissima e importantissima, quella della crescita.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!