Un libro per l’estate, magari da leggere nei giorni del solstizio, a cavallo dell’esame di maturità, che vuoi quel che vuoi ma ogni anno ci coinvolge e ci fa romanticamente e nostalgicamente tornare ai nostri 18 anni, a quel senso di possibilità, al futuro sconfinato, alle montagne da scalare. Ebbene, qual è questo libro? Per me, quest’anno, è stato La prima regola degli Shardana, di Giovanni Floris, il giornalista.

Si tratta di un romanzo di pura fiction, niente a che fare con il giornalismo o la saggistica, a discapito dell’autore.  È una storia, dove a dire la verità un giornalista c’è, Giuseppe, copotragonista insieme ai due amici di infanzia, Giorgio e Raffaele.  Ed è una storia di quelle liberatorie, che racconta l’amicizia di tre cinquantenni, che fin dal liceo ne hanno combinate di ogni e adesso, cresciuti e realizzati – chi più, chi meno – con famiglie solide, vacillanti o inesistenti, hanno l’occasione di rimettersi in gioco. Il gioco, in questo caso, è il calcio. Ma state tranquilli: nemmeno a me piace il calcio, eppure leggere questa storia non è stato fastidioso né difficile, anzi. Il calcio è infatti una scusa per mettere in movimento l’intera storia, e ridare una desiderio e una possibilità ai personaggi, schiacciati da una vita piuttosto piatta e spenta. Ma come ogni buon romanzo, e più che mai un romanzo che vi consiglio per il relax estivo, anche questo ha bisogno di ostacoli, intoppi, segreti, bugie e speranze per mettere in moto il suo meccanismo. Qui ce ne sono davvero tanti, di questi elementi, distribuiti tra una rete di personaggi ben costruita, che si allarga a partire proprio dai tre protagonisti e amici, da un calcio dato a un pallone e da uno sconosciuto paesino della Sardegna.

La storia parte con un espediente narrativo che tira subito dentro: siamo infatti a vicenda avviata, qualcuno sta minacciando Giuseppe nello spogliatoio di uno stadio di calcio, nel cuore dell’Ogliastra, in Sardegna, e per essere precisi a Prantixedda Inferru (che si pronuncia non con la x ma con la sg). Ma come siamo arrivati qui, cosa c’è dietro? Torniamo allora all’ordine narrativo classico. Roma, in uno studio condiviso lavorano, o fingono di farlo, Giorgio Raffaele e uno psicologo da strapazzo. I primi due si conoscono da una vita, Giorgio è avvocato e vive di espedienti e piccole truffe assicurative, finché non si mette nei guai con una banda di rom, Raffaele è messo ancora peggio: inguaiato nei debiti, senza un’attività né un reddito, tra qualche bugia, una vagonata di rimpianti e un pizzico di follia, si decide ad acquistare la squadra di calcio – inesistente – di Prantixedda. E Giuseppe? Lo sorprendiamo alla partita di calcio dei genitori, un’occasione per i suoi figli noiosissima, e per lui di revival glorioso, nella quale si distingue per un goal, e per il successivo colpo della strega che lo blocca. Giornalista televisivo di successo, Giuseppe vorrebbe tornare alla spensieratezza del gioco a calcio, ed è per questo che prende al volo l’impresa di Raffaele, ed entrambi partono per Prantixedda, dove ad accoglierli ci saranno la casa e i genitori di Raffaele, una squadra da inventare, e un sindaco viscido ex compagno di liceo chiamato non a caso Il Merda.

Il set è pronto, adesso va in scena la vicenda, che racconta dell’epica costruzione di una sgangherata squadra di calcio, di decisioni che a cinquant’anni faranno ripartire e caricheranno di nuove angosce e speranze le vite di qualcuno, di pericoli e inghippi da risolvere tra fortuna, destrezza e lanci nel vuoto, all’insegna della prima regola degli Shardana. Ma che vuol dire? E qual è questa regola? Gli Shardana sono gli antichi pirati-guerrieri di Sardegna, spietati e vittoriosi, a cui si ispirano i nostri protagonisti senza in realtà sapere quale sia la prima regola… un segreto che troverete solo nelle ultime pagine. O forse, sotto sotto, anche prima.

A Prantixedda fa caldo, un caldo torrido. E non c’è niente, non c’è nemmeno la squadra, che verrà composta tra un provino e l’altro da un gruppo caleidoscopico di personaggi uno più memorabile dell’altro. L’autore gioca, si diverte, e così ci divertiamo anche noi. Da un lato c’è la vicenda dei tre amici, il nodo da cui parte e dipende tutto, poi c’è la squadra, l’ansia di presentarsi alle partite del campionato, quella, grande, della vittoria. Ci sono i pericoli, seri e armati di coltello e pistole. E ci sono gli amori, che finiscono e che arrivano, leggeri e lo stesso travolgenti, con personaggi ancora una volta completi, belli nei loro ruoli e divertenti.

Penso che il filo conduttore di questa appassionante vicenda sia proprio questo, il divertimento. Quello dell’autore nello scrivere una storia in cui crede, e per la quale dà vita e spessore umano ai personaggi, tra le due grandi passioni in campo, quella per il pallone, e l’amicizia sacra che unisce i protagonisti. Ma anche il divertimento del lettore, che a quei bei sentimenti, genuini, antichi e per questo solidi si lascia andare, convinto che stando tutti insieme qualcosa succederà, e che l’estate, e la Sardegna, avranno una grande parte nel sostenere come scenario unico tutti gli intrighi, problemi e impicci che la gloriosa impresa del Prantixedda dovrà affrontare.

La Sardegna ha infatti un ruolo grande in questa storia. Non è affatto la Sardegna color smeraldo della costa, è quella profonda, l’Ogliastra torrida e chiusa, quella che guarda con diffidenza “i romani” arrivati dal continente, che non dà confidenza ma che sotto sotto, tra un mirto rosso (non bianco!) e un bicchiere di nepenta, tra una caletta nascosta dove fare il bagno di notte e un “eja!” rivela un cuore e una sincerità smisurati.

La famiglia di Raffaele, la cui casa diventerà una sorta di quartier generale, un asilo di arrivi e partenze, un viavai di personaggi assurdi e improbabili, è la rappresentazione di tutto questo: del sentimento più autentico della Sardegna interna, dei legami e delle relazioni, tra cui vince e stravince a ogni pagina l’amicizia. Sì, l’amicizia è la vera protagonista di questa storia. Un’amicizia che si riverbera nei ricordi di un’adolescenza serena tra i banchi di scuola, e che non molla, maturando di pari passo a chi da anni la coltiva al di là delle alterne fortune lavorative e relazionali. È un’amicizia sacra, una linfa che dà coraggio, speranza e che infonde positività. Ed è l’arma più potente che ci sia.

Ecco perché questa è una storia bella per l’estate: ci sono lo sport all’aria aperta, il divertimento, c’è lo spirito di squadra, la costruzione di un progetto che ha dell’assurdo, i nemici da combattere tutti insieme, le bugie da perdonare, gli amori che sbocciano, la tensione della vita lavorativa che si stempera su sondi nuovi e orizzonti che tornano ad allargarsi e sorridere. C’è un’adolescenza recuperata da un gruppo scalcagnato e comicissimo di cinquantenni che diventeranno presto anche vostri amici, e che vi mancheranno. Come forse sono stati amici e sono mancati anche allo stesso Floris, che immagino sorridere tra sé e sé mentre si diverte a scrivere questa storia. È la storia di una rivincita nel segno del legame e del sentimento più bello che ci sia, che per chi è nato qualche decennio fa non può che essere quell’amicizia indissolubile fatta di scorribande e ricordi, di stupidate dettate dal cuore e di buoni sentimenti condivisi nella sicurezza che la tua squadra non ti abbandonerà neanche di fronte al peggiore dei nemici. Bello, divertente, ben congeniato nel meccanismo narrativo e con quel pizzico di nostalgia che aleggia tra gli snodi e che lo rende emozionante e umano. Eccolo qui: un libro per l’estate appena iniziata!

“Lei sa qual è l’energia più potente del mondo?” riprende Feliciani quando ormai Giuseppe pensava si fosse perso ad ammirare il panorama.
“Non saprei… il nucleare?” Giuseppe beve un sorso di Mirto.
“Gli scienziati forse direbbero così. Una donna direbbe l’amore,” Feliciani fa il sorrisetto di quello che le donne le conosce bene. “Io invece le dico che l’energia più potente del mondo è quella sprigionata da un gruppo di amici che condividono una passione fuori tempo massimo.”
Cazzo, pensa Giuseppe, quest’uomo è un genio.
“Se vuoi mettere a rischio ogni conquista, ogni certezza, ogni equilibro,” continua Feliciani, “fai salire in una macchina quattro amici del liceo e falli andare verso l’avventura.”
“Tre,” sussurra Giuseppe. “Ne bastano tre.”

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!