Lo sai che quel che si perde sulla Terra, sulla Luna si ritrova?

Così recita san Giovanni ad Astolfo, in cerca del senno perduto di Orlando nella selva di pagine e racconti dell’Ariosto. Una selva che muta di foglio in foglio: quadri, personaggi, scene e percorsi, intrecci, voci, situazioni, postazioni. Un mirabolante viaggio in tutto e per tutto simile a quello che ogni anno, dal 1989, si compie ad Apricale, un paesotto colato giù sulle alture della Val Nervia, dietro Ventimiglia, rimasto incastonato lì, nel polmone verde dell’estremo lembo occidentale di Italia, dove in agosto arriva la magia del Teatro della Tosse di Genova.

Il borgo degli artisti, lo chiamano, perché ad Apricale ormai hanno questa abitudine: arriva la gente, la gente che fa cose, la gente che le vede, per passare una sera d’estate diversa, per lasciarsi prendere per  la mano e accompagnare dentro una favola di quelle raccontate prima di andare a letto, quelle popolate dell’incanto, un po’ slegato, un po’ irrazionale o surreale che solo i sogni hanno. Ecco, la Tosse è questo, lo è già di per sé, ma ad Apricale lo è ancora di più. Un borgo che già solitario desta fascino e incanto, costruito lì, come lo si vede al colpo d’occhio sulla strada, sembra una frana di case sul fianco verde della collina: nell’aprico – la parte assolata, che dà la schiena all’ubagu, l’opaco, l’umido, il bosco. Apricale è lì che guarda nel sole, e il sole arriva sotto forma di spettacolo teatrale itinerante, dieci giorni d’estate, gente da tutta la provincia e dalla Francia che arriva nella piazza del paese e sta al gioco, si fa spartire in gruppi dagli attori, segue le guide, attraverso carruggi e archivolti, su e giù per scalette dissestate, tra pietre, muri e persiane verdi di Liguria, a scoprire le scene, a vedere quale quadro e quale personaggio ospiterà, quale tessera della storia sarà narrata, quale suggerimento sarà sussurrato, tra spettatori accalcati, palchi improvvisati, la quarta parete frantumata eppure la magia che si alimenta, che ancora vive.

“Le nove lune” era il titolo dello spettacolo di quest’anno, il terzo cui assisto, perché la Tosse la conoscevo già dal liceo – la mia prof ci portava spesso a Genova nella chiesa sconsacrata di Sant’Agostino a vedere gli spettacoli, sempre itineranti, sempre avvincenti, mai banali – e il teatro di strada di Apricale l’ho incontrato nei libri. Strano: Apricale è relativamente vicino a casa (dico relativamente perché, se lo è in linea d’aria, qui nella Liguria di Ponente bisogna però sempre prendere un’autostrada e poi insediarsi nella parte interna di regione, inerpicandosi per strade che salgono, si stringono e si arrotolano in curve e tornanti), ma non ci ero mai stata prima di leggere “Il mare in salita” di Rosella Postorino. È un Contromano Laterza – collana che amo – che narra della mia terra, della provincia di Imperia, vissuta dall’autrice da bambina e ragazzina, e dall’adulta che torna ogni estate. E ogni estate, Rosella va ad Apricale per l’appuntamento con la Tosse, i carruggi del paese appiccicato sulla collina e la magia del teatro. Leggetela con me:

“Il luogo in cui preferisco festeggiare il ferragosto è Apricale. Da anni, è ormai una tradizione per me trascorrere quella sera lì. Perché la sera di ferragosto ad Apricale va in scena l’ultima replica dello spettacolo annuale del Teatro della Tosse. Gli attori sono guidati da Enrico Campanati e le scenografie sono del maestro Lele Luzzati. Ad Apricale però il teatro non c’è. Perché Apricale stesso è un teatro a cielo aperto. Un teatro di pietra. Per quei dieci giorni di recital itinerante, le mura, le strade, le pietre si trasformano in quinte, proscenio e boccascena, la platea invade lo spazio scenico e a consacrare la performance sono direttamente le stelle.
Apricale dista poco più di quattro chilometri da Dolceacqua. Abbiamo imboccato la direzione Isolabona e proseguito lungo la valle del Merdanzo. A un certo punto abbiamo avvistato in cima alla collina una cascata di case, come catturate in un fermo-immagine mentre scivolavano giù per il pendio. Il declivio è talmente erto che le case sembrano sfidare la forza di gravità, avvinghiate, in procinto di sdrucciolare. L’automobile si arrampica per le curve e lassù, ora nascosto ora rivelato dagli ulivi e dalle rocce, il paese quasi tintinna, è lo scampanellio colorato di lamiere trascinate sulla strada. Un paese appeso, letteralmente steso al sole, come panni ad asciugare.
Apricale, non a caso, viene da apricus: soleggiato. Il borgo, nell’elenco dei più belli d’Italia, si è sviluppato come molti villaggi liguri sullo spiovente della collina esposto a mezzogiorno, per aver la luce addosso. Ma a differenza degli altri, questa ragione di sopravvivenza Apricale la contiene persino nel nome. Il dialetto, si chiama Abrigà. Francesizzato, può diventare Avrigue. Come il luogo in cui è ambientato il primo romanzo di Francesco Biamonti, L’angelo di Avrigue. […] Lo spiovente di Apricale è tanto inclinato che mi domando come facciano le persone a stare in piedi, a camminare, a lavorare, mi domando come non rotoli giù tutto, anche il castello, leggero che sembra debba decollare al primo colpo di vento. Bisogna arrancare per guadagnare la cima, Apricale è sul cocuzzolo, e fa venire il fiatone.”

Lo sai che quel che si perde sulla Terra, sulla Luna si ritrova?

Sulle lune di Apricale, quest’anno c’è stato spazio per licantropi, per Galileo, per un dialogo tra la Terra e il suo satellite, per una maternità di 9 lune, per la luna vecchia che si scopre improvvisamente nuova, per un Narciso che osserva la luna nel pozzo, per il futuro spaziale che verrà o forse no, e naturalmente per Astolfo, in cerca del senno perduto di un Orlando in fuga cavalcante verso l’amata Angelica. Per le pagine si parte in cerca di avventure, nelle pagine ci si imbatte, tra le pagine si fondano visioni e descrizioni e infine sulle pagine si ritorna, appagati e un po’ più ricchi, con la grande voglia, allargato il bagaglio, di rifare altri e altri giri ancora per andare a scoprire cosa c’è ad Apricale, sulla luna, e sulla prossima pagina da leggere.

Questa è una piccola gallery dello spettacolo di quest’anno, per vivere un pizzico della magia del Teatro della Tosse ad Apricale.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!