Oggi al cinema Massimo di Torino, in pieno centro, era proiettato in anteprima In Guerra Per Amore, il nuovo film di Pif, la cui fama come regista è passata alle cronache dopo la prima opera, “La mafia uccide solo d’estate“. Chiaro che la curiosità, avendo amato il primo film e seguendo da un paio di anni Pif su Radio2, dove col buon Michele Astori conduce una mezz’ora di stupendo spantegamento radiofonico che va sotto il nome de “I Provinciali” (e che vi consiglio se vi piace la radio di parola e sapete apprezzare l’ironia di due amici che sono lì per divertirsi e divertire), il mio obiettivo era entrare in quel cinema. Perché la sto già raccontando come una sfida? Perché al cinema Massimo, per l’unica proiezione serale del film, col regista presente in sala (urca!) c’erano 300 biglietti gratis, e stop. Niente posti pagati, niente ingressi secondari, niente: o prendevi quel biglietto, consegnato a partire dalle 19.00, oppure ciao.

Avevo, in origine, calcolato che potesse esserci coda, e dunque pensato di uscire alle 17.00. Ma, mi ero detta: dove vai due ore prima in un cinema deserto, e che fai? Ti cacciano! Restare lì con un libro in attesa? Ma va’, ci sarai solo tu! Ed è infatti così che alle ore 17.45 ho svoltato all’angolo tra via Po e via Montebello e…

pif cinema massimo torino

E ho trovato la coda che, originata da un gruppo di persone sedute in attesa davanti al Massimo (testimonianza di altri, ché io non ho visto), proseguiva su via Montebello. “È la coda per Pif?”. “Sì”. “Ah, però”. E mi sono accodata. La situazione era evidentemente critica visto il numero di persone, non solo già presenti, probabilmente in attesa da ore (sì, sono una stolta, avrei potuto esser là dalle 17.00 e non trovarmi affatto sola), ma arrivate poco, pochissimo dopo di me. Insomma che, passata una ventina di minuti, la coda arrivava fino in via Po. Evidentemente non ce l’avremmo fatta tutti a entrare.

Come accade nelle situazioni di convivenza forzata e ansia, ho iniziato a chiacchierare coi ragazzi intorno: una coppia, peraltro bellissimi, lui molto serio, posato, lei con metà testa rasata, smalto blu elettrico e 5 orecchini per lobo, c’era una ragazza sola come me, cappottone lungo alle caviglie, zainetto, gazzelle ai piedi e occhialoni anni Sessanta, loquace e simpatica, è stata la prima a darmi ragguagli su ipotetici conteggi di volontari che aggirandosi per la coda cercavano di stabilire “a che altezza” fossimo. Eravamo partiti a 240, cifra che ci aveva fatto sperare (mi rendo conto che con questo uso dei tempi verbali vi sarà già chiara l’evoluzione della storia, ma c’è in ogni caso una sorpresa finale), poi siamo saliti a 268 – notare la precisione – 280, 360… Insomma, in questa parte di coda borderline, zona calda lasciata a se stessa tra l’ansia di non entrare e la consapevolezza di trovarsi troppo indietro, c’era pure una bellissima coppia di ragazzi siciliani (traditi dall’accento) che si è fatta una chiamata Skype con quello che ho supposto essere il nipotino. Lo so che non c’entra con la storia di Pif e del film, ma è stato divertentissimo ascoltare i commenti della ragazza, una bellissima ragazza peraltro, a quella che ho immaginato essere la mamma, sul clima torinese: “fa freschino, ci vuole il giubbotto, eh ma poi dentro i termosifoni sono già accesi, e fa un caldo…”. Insomma, un grande classico che avrebbe potuto costituire ottimo tema per una puntata in diretta de “I Provinciali”, tanto erano le 18.00 e, mentre ero in coda, mi domandavo come facesse Pif per la puntata radio odierna, dove fosse e da dove parlasse al microfono.

Chiacchiera, commenta, respingi gente infilata nella coda per la via più breve, sono arrivate le 19.00, e dal cinema hanno iniziato a distribuire biglietti a una coda esagitata (sempre lunga fino in via Po) che nel frattempo si era “incicciottita”, accogliendo amici di amici entrati dai lati, come si conviene all’italiano tipico e alla gastrite di quelli dietro in coda da ore, gente a caso e spintonati vari. Facciamola breve, via: i biglietti sono esauriti circa 6-7 file di coda davanti a me. Siamo illusoriamente rimasti in coda per un po’  aspettando ipotetici segnali, o forse meteoriti. Accettata la sconfitta, sono transitata davanti alle porte del cinema, chiuse, ho guardato dentro, la sua hall illuminata con le maschere e il personale: magari passava Pif, chissà com’è vedere da fuori una coda – e praticamente tutta di ragazzi – che sta lì da ore a prender freddo per vedere il tuo film. Ma Pif non è passato.

La soluzione, per sciogliere l’amarezza della sconfitta, è stata coccolarsi con la spesa e una zuppa calda per cena, sentire qualche amico, coccolarsi ancora un po’ con un dolcetto e un caffè, fare zapping e fermarsi su Rai5 dove recitava Paolini, concordare gite con altri amici, e aspettare le 23.00. A quell’ora – solo qualche minuto più tardi, ma la Gabanelli non è stata troppo lunga – c’era la mia rivincita: Pif in tv. Ma che ha sto Pif, perché tutti a fare la fila per Pif, a seguirlo, ad ascoltarlo? Riassumendo: Pif sembra un ingenuo che si diverte, scanzonato, improvvisato, fa ridere, così pare. E invece no, Pif è tutt’altro: è geniale, è profondo, serio, preciso, ragionato. Ma che fa? Presentatore, regista, autore, forse meglio definirlo personaggio, dal momento che riesce a combinare i due aspetti, quello scanzonato e quello impegnato, in una soluzione che ne rende l’unicità, e che crea le code fuori dalle sale. Sentirti raccontare storie-commedie con la risata e uscirne toccato da una morale profonda, non è cosa ovvia.

È lo stesso motivo per cui “Un gelato con Saviano”, le speciale in programma su Rai3 questa sera, documentario di circa un’oretta realizzato da Pif, meritava di essere visto, e ha confermato quel che già pensavo di lui. Ovviamente, come si sarà inteso, cose positive: tema, certo, ma anche stile e linguaggio sono vincenti. L’occasione era rappresentata dai dieci anni della scorta di Saviano. Ora, piccolo flash back. Saviano e Pif? Sì, Saviano e Pif, ognuno a suo modo impegnato contro la mafia. Sembrerà un paragone azzardato, forse sì forse no: Saviano scrive, indaga, denuncia, ma Pif non gli è da meno, garantendo e costruendo appositi spazi e narrazioni dedicate a chi la mafia la combatte. Infatti nella sua rete è stato coinvolto anche Saviano, con il quale Pif ha passato qualche giorno per assaporarne a pieno la vita da “recluso”. È questo il tema che Pif scava nel breve e, al solito, simpatico documentario che Rai3 ha proposto. La simpatia proprio non ce la fa a trattenerla Pif, che inizia con un gelato – ricordate le polemiche legate al fatto che Roberto Saviano, a causa del fatto che è sotto scorta, non può neanche permettersi una cosa semplice e naturale come mangiare un cono gelato per strada? Pif parte da lì: dalla naturalezza, dalla realtà vera, fuori dai media, dalla loro rappresentazione filtrata e ricostruita. Tutto è ripreso in soggettiva, montaggi dinamici e filmati on the road, narrazione alla prima persona con la voce dello stesso Pif: ci siamo dentro, viviamo una storia da un punto di vista specifico. Quello di un siciliano, che la mafia la conosce bene. Ma anche quello di un personaggio che ci mette del suo, al quale sentiamo dire “io a 26 anni io ero a Londra a cazzeggiare, e tu hai scritto ‘Gomorra’”, e che prova in prima persona le “cose” di Saviano, quelle che lui non può più fare: il suo quartiere, il ristorante con la frittura più buona di Napoli, il museo archeologico, la vista panoramica sul golfo… C’è della tenerezza, dell’empatia, nei racconti di Pif, la tenerezza della realtà, un aspetto che nelle narrazioni più mainstream si tende a lasciare da parte. E poi c’è la morale finale, forte come in “La mafia uccide solo d’estate”, nella sua quasi banalità, un’altra soggettiva in movimento, Pif che corre per Roma, mentre la sua voce in sottofondo racconta “Io sono nato a Palermo…” e porta dentro alla storia di Saviano il nodo – il link! – con la propria missione, quella di una persona in crisi, che guarda alla mafia e a chi l’ha combattuta, e che si dice “loro l’hanno fatto, ed erano persone come me, imperfette, egocentriche, paranoiate, ma l’hanno fatto, e potrei farlo anche io”. Un ragionamento semplice, che avevo detto? Eppure è da quella molla lì che prende forza la missione di Pif, dichiarata e palese: raccontare. “Mi sono rotto i coglioni che uno venga ammazzato per essere creduto. Ogni volta che Roberto rinuncia a un gelato è una sconfitta per noi e una vittoria per la camorra”: coscienza, limpida e forte; e conoscenza, dunque vedere, raccogliere, parlare e far parlare.

In fondo non mi sono consolata troppo male per il mancato ingresso al cinema: Pif mi aspettava in tv, ed è stata una gran bella (seconda) serata.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!