È appena trascorsa la mezzanotte e il calendario segna inesorabile 1/07. Siamo a luglio, Anno Domini 2020, un anno segnato profondamente da una rivoluzione pazzesca: una pandemia. Ed è quindi sempre nel segno della pandemia che è trascorso come un flash il mese di giugno. Scappato dalle mani, a tratti esploso, a tratti allargato, elastico e profondo, senza meta e con l’agenda che si riempiva. Un giugno strano, bellissimo come sempre e solo è giugno: fugace, luminoso, giallo e azzurro come un’estate perfetta e sognata che poi arriva, sorprende e fa sudare, anche se ieri era arietta e piacevolezza di primizia, e oggi è estate confermata, estate piena. Giugno, in effetti, è per due terzi sbilanciato nella primavera, e sarà forse quest’anima leggera a conferirli il sapore di una delicatezza salmastra fatta di piccoli piaceri da ritagliare e rendere preziosi. Tanti sono stati i momenti preziosi del primo giugno che trascorro interamente al mare.

Salvo un giorno, scolpito nella memoria il 4 del mese, giorno di ferrovie libere oltre i confini regionali, giorno di barriere sfondate, psicologiche e materiali, come aprire una porta chiusa da mesi senza quasi più ricordarsi cosa c’era dietro. Dentro è una casa fantasma con il calendario rimasto a febbraio, le carote mummificate nel frigo e la necessità di stipare libri e mettersi in salvo. In salvo da cosa, mostri pandemici o draghi del regno del futuro spezzato? Non è tempo per capirlo, giugno è appena iniziato, cosa ne posso sapere. E dunque a Torino piove, ho la felpa e corro per fare tutto quel che ho scritto nel tempo ristretto dell’orologio. Tutto uguale e tutto diverso, tutto a portata di mano, seppure correndo, tutto così distante. La valigia si riempire, provo le scarpe che venti giorni dopo scoprirò di non dover mettere, compro una caffettiera, mi regalano un caffè in tazzina e un barattolo di caffè. Ed è bellissimo parlare con la gente, dietro le mascherine occhi vivi, chiacchiere, la bellezza di ritrovarsi anche se Torino è deserta e si percepisce. Via, mettersi in salvo, correre, non si riesce a fare altro.

Giugno è un mese in cui straccio un foglio con un disegno brutto. Ci penso, prima. Faccio un calcolo matematico delle probabilità di fallire o portare il risultato a casa: credo di conoscere la risposta, e anche se fa un male cane strappo. Si sente il rumore, lacera, ferisce, da qualche parte fa male. Anestetizzo, uscirà dopo sotto forma di aritmia e disagio. L’importante è decidere, e io nel primo terzo di giugno decido, e poi lo giro in anagramma e mi dedico. Alle mie cose. Un corso sui libri, uno ben più importante e centrale sul giornalismo lento, uno per ridere sulla scrittura. Tutto questo entra profondamente in giugno come un’onda lenta e calda, e ne modifica le atmosfere, ma soprattutto le prospettive.

A volte mancano, le prospettive: sottile, a giugno si insedia l’ansia di visione. La contrasta una grinta in grande rinforzo, aiutata da saggi maestri e consiglieri nuovi ed entusiasti. A giugno, forse, è solo una ripartenza presa in mezzo a un grande caos esistenziale, tra picchi di paura e altrettanti di voglia di riprovarci, e disegnarsi qualcosa, e smettere un loop che ormai è trapassato, travolto anche lui dalla pandemia.

Mese di mare per eccellenza, giugno ha tante giornate strane sul litorale che iniziano con un macabro ripascimento in un giorno di festa come il 2 giugno, camion di materiale fangoso che il mare respinge, basteranno due giorni e una mareggiata si sarà mangiata un lavoro pasticciato, inutile e penoso. Il nuovo problema all’orizzonte sono però sedie, tavoli e ombrelloni che a inizio mese iniziano a comparire a ogni ingresso di spiaggia: sono i guardiani, e sono di un’inutilità che conferma il mio interesse di maggio per la questione mare e gestione litorali. Ci si farà presto l’abitudine, basterà seguire le regole e indossare inutilmente una mascherina per scendere. Per il resto, la solitudine è la prerogativa per leggere in pace le tonnellate di letture che nel mese di giugno mi arrivano per lavoro e non solo, e per rilassarsi in un paio di giornate davvero perfette dove l’acqua è un cristallo e dormire lì a fianco è la cosa più dolce del mondo. Senza dimenticare che giugno è anche quel mese in cui la spiaggia è inagibile per le onde che l’hanno strapazzata, e incontro amici tutti appiccicati, finisco in posti scomodi e per terminare in bellezza le onde mi inseguono finché non mi travolgono mentre leggo un romanzo che si intitola Io sono il mare. Destino?

Arriveranno le belle giornate d’estate, è scritto nella spensieratezza di una sera a cena, la prima cena tra amici dopo i mesi di chiusura del mondo. Un po’ clandestina, un po’ raffreddata, ma in fondo piena di risate, incontri ed empatia, tanto da pensare che è bello circondarsi di persone belle, persone da andare a ritrovare nelle mattinate in cui gli autobus, altra grande novità del mese e presenza ritrovata, ti sfiorano lasciandoti a piedi perché sei in ritardo. È così che ti infili al bar, da quanto non lo facevi? Una vita. E chiedi, timidamente, stai sullo scotch colorato per terra, assapori un caffè in tazzina da bar, una volta è una brioche, un’altra una focaccia che sancisce non solo l’appartenenza a un territorio ma un’amica ritornata al lavoro dopo l’esperienza del Covid.

Lì nasce il progetto – giugno è un mese pieno di progetti – e si lavora di concerto per il 10 giugno, anniversario degli 80 anni dell’entrata in guerra. Intervisto nonna senza che se ne accorga, la fotografo, con i ciuffi di capelli spettinati, ripasso le foto in bianco e nero, la trovo a 16 anni con sguardo volitivo, spalle larghe e grembiulino cucito da lei. Aveva già visto di tutto, e questa donnina fragile che una mattina di giugno esce dopo 4 mesi vestita con la stessa finezza di un manichino che scorgo in una boutique di lusso nel centro di Sanremo, la schiena curva, la voce tremante, la testa dura e le orecchie che difettano, mi sembra improvvisamente un universo infinito a cui restare aggrappati. Ho fatto bene a scrivere di lei e di chi non c’è più: l’ho fatto nemmeno un mese fa, tra un sabato notte e una domenica mattina, e in una giornata di giugno in cui vivo le montagne russe suona il telefono e mi avvisano che quel testo ha vinto il primo premio al Concorso Lucetto Ramella. Una bella soddisfazione. La premiazione inaugura un san Giovanni strano, ci sono gli amici, le mascherine, la targa, le foto e l’intervista di rito, c’è una birra, i tacchi, le foto con gli occhi che guardano altrove e raccontano un mondo, il mio mondo.

A giugno approda nella posta di casa anche l’antologia Ai tempi del virus, dove c’è un mio racconto, un’altra bella soddisfazione che mi dà la carica, che mi fa investire nella scrittura, e ci credo, decido di farlo per volermi bene e capirci di più. È un lavoro e lo risconterò nel finale del mese, quando il muro di parole e storie e proposte sarà alto, apparentemente invalicabile. Fogli riempiti di idee, pagine sfogliate, domande scritte, link sistemati: siamo pronti, o se non lo siamo è in ogni caso il meglio che si possa fare ora, qui, così. Non si molla.

Così giugno si trasforma nell’agenda che si affolla piano piano, la vita ricomincia tra fasce per capelli, speranze della domenica frustrate il lunedì, curriculum che si aggiornano, domande, progetti, ripartenze, muri e telefonate, pedalate, gelati di sera, cannoli a colazione mentre sta per diluviare, e qualche sogno di scorta per non farsi abbattere anche se intorno è tutto estremamente strano, e inedito, e non è dato conoscere il finale. Giugno è forte e intenso, lascia il passo al dolce maggio che ancora cullava: bisogna tornare alla realtà, tra una sberla e una coccola d’estate, quando la luce è infinita e il tempo è perfetto per un pizza e birra sul molo, con la luce che accarezza l’animo.

Rodaggi, latenze innescate per partire: programmi, due ruote che girano, finalmente girano, e quaderni di appunti che si riempiono di cose magari anche già note, ma vestite di luce inedita, quella della consapevolezza. E così una masterclass di slow journalism diventa una promessa e una speranza di nuova vita, la carta stracciata alle spalle, le nuove salite tra due ruote e una balenina di stoffa che fa da segnaposto sulla scrivania circondata di carta e libri. Libri a frotte: ho letto tantissimo in questo giugno iniziato con l’incanto di Cambiare l’acqua ai fiori e concluso con l’avvocato Malinconico. In mezzo gialli Sellerio nuovi, discese negli abissi, finali di premio Strega nella meraviglia straniante con mascherina di Cervo, saggi sulle notizie, viaggi in Italia, novità in arrivo che non posso svelare. Un sacco di storie, un sacco di luce.

Necessaria se mentre esplodono i primi fichi le gambe in casa cedono, anche se per fortuna ci si mette una pezza. Perché è un giugno strano, o forse giugno è sempre stato così pieno di vita e salite, e promesse, anche se questo ha un sapore tutto suo? A giugno 2020 la pandemia è una spada di damocle sulla vita che riprende adagio mentre si susseguono poltrone e inchini orientali per imparare a conoscersi, e meno male. E poi sfide a quattro ruote, manubri che si ribellano, un medaglione livido e una retro che non entra e gracchia nella notte: eppure si fa. Il desiderio, questo protagonista silente che prende vita una mattina soleggiata dietro una tenda bianca, tra un “lo immaginavo” e un “si è fatta male?”. Giorni incantati e lunghissimi di giugno, giorni che volano mentre scorre il san Giovanni più insolito della storia, svaporano nervosismi, si fanno e si disfano tran tran. Scale antiche, tappezzerie d’asfalto, mail senza risposta e altre nuove da scrivere domani.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!