Dicembre 2019, il mese che chiude un altro anno, il terzo da che compilo e scribacchio questa sorta di rubrica nata allo scopo di mantenere vivo il blog almeno con un post al mese, e diventata poi un appuntamento ricorrente e quasi necessario – a volte pesantissimo – per me che scrivo, e forse una paginetta coinvolgente per voi che leggete.

Ma, dicevo, dicembre 2019, gli ultimi 31 giorni per trovare un senso a questo andare, per coronare un anno, o forse solo per arrivare, e finalmente tirare il fiato, respirare, rilassarsi, recuperare l’arretrato ormai impolverato con la vita, ritrovarsi, chiudere in un cassetto quell’ansia divoratrice e farla stare buona per un po’.

Peccato che il mese sia iniziato con una ennesima grande prova di destrezza, costata qualche minuto di troppo di sospensione del fiato, qualche ora notturna sprecata a recuperare ombre nel pozzo, qualche momento di protagonismo assoluto dell’ansia. A sedare la spirale al negativo ci ha pensato però l’influenza. Scaltra, infida, lunghissima: 15 giorni di carnevalesco ripresentarsi in raffreddore, mal di gola, tosse e acciacchi vari trasportati in giro per l’Italia e infine planati in un ambulatorio medico a raccogliere la sentenza “faringite acuta”.

Senza voce, con tosse persistente, sono infatti atterrata dopo qualche giorno di lavoro e intense progettazioni di bagaglio a Roma, nella prima decade del mese. Un viaggio atteso, carico di speranze fuori e dentro: vuoi strappi da ricucire, vuoi una città in cui riconciliarsi con dicembre, cose belle dove poter dare respiro ai pensieri, scoprire il velo oltre l’ostacolo del quotidiano affanno stressante. Là fuori il mondo esiste, esiste ancora, e talvolta è ancora bello come te lo ricordavi, e forse c’è qualcosa di nuovo da vedere, da scoprire, da assaggiare.

Così è stato, perché Roma è la città eterna, perché Roma è sempre un incanto, una meraviglia, un sentirsi a casa che resta inspiegabile attraverso ogni epoca, ogni stagione, ogni stato d’animo. A dicembre, è perfetta: il sole delle belle giornate, troppo calde per l’abbigliamento alpino da torinese incallita, le cose da scoprire, sempre mille, sempre una in più, il cibo fantastico, le persone calorose, la storia e le luci di Natale, i mille alberi e il bui presto, preceduto da quell’ora blu che solo a Roma, solo a dicembre.

E così le mie ferie sono trascorse su tram, metro, in giro per il centro storico, alla scoperta di Più libri più liberi e della Nuvola, con piacevoli incontri e sorprese, e ancora a zonzo per San Paolo Fuori le Mura, a salutare Camilleri al cimitero acattolico, nella piazza Navona del Natale, con bancarelle, la giostra e mille luci a scaldare l’atmosfera già bellissima. Ci sono stati carciofi al ghetto ebraico, spremute nei bar dei quartieri che non avevo mai frequentato, visite in farmacia, chiese ritrovate, caffè al Sant’Eustachio, una carbonara da urlo a Trastevere e taglieri sproporzionati rispetto al tavolo. Insomma: c’è stato farsi una vacanza, che era una meta rara e tanto ambita.

Nonostante i malanni, ma si sa che avere tutto è pretesa troppo grande a volte. E quindi ho portato i germi in terra ligure tra un albero e un presepe da fare onorando il periodo dell’Avvento – sì, nemmeno quest’anno sulla pagina Facebook di A contrainte è mancato il calendario dell’Avvento dei libri, questa volta in compagnia di Libreria Ragazzi e Armadilla di Imperia –, gli amici, la famiglia e il tempo domestico.

Del resto dicembre è stato, fino a un certo punto, freddo e buio, uno scivolamento inesorabile verso il giorno più corto dell’anno, quella santa Lucia che anche quest’anno ho ricordato con i dolcetti tipici svedesi, tra l’inizio della salita per recuperare gli arretrati, i colpi di tosse, la bellezza delle luci dell’albero pieno di palline e storie, e un po’ di tranquillità.

Non che sia stato un periodo statico: ci sono stati gli appuntamenti per progettare cose future, le dita incessanti sulla tastiera per chiudere cose e portarsi avanti con altre, le conferenze stampa, e poi l’università. A dicembre 2019 ho avuto la bellissima e preziosa opportunità di essere invitata al corso di Letteratura italiana dei luoghi dell’università di Genova, sezione di Imperia, e di raccontare di Torino di carta a una platea di studenti curiosi e interessati con cui lungo due ore si è creato un profondo scambio di idee e pensieri sulle guide letterarie, sul mio lavoro, la mia scrittura, la mia idea per il libro che, volente o nolente, ha caratterizzato il mio 2019. Gli studenti porteranno questo testo ai loro esami, e a me fa molto strano, lo confesso, sebbene sia anche molto contenta, e le due ore che ho trascorso alle pendici ponentine della mia città, in aula, siano state tra i ricordi più intensi e felici che ho del mese. A sentirsi realizzati, a volte, basta poco. A sentirsi bene, nel posto giusto.

Ecco perché l’attesa e la piacevolezza di dicembre sono una delle cose che più mi fanno stare bene al mondo: potersi godere le cose, anche quelle più piccole, un salto in libreria da un’amica, un cappotto e una sciarpa caldi, una sera in compagnia, una cena con traduttore dall’inglese e amici che dicono cose bellissime di te, ricordando eventi trascorsi, e transitando nella tua città in una notte fredda, che all’improvviso sembra però così bella, così caratteristica con le luci del Natale che la rivestono a festa. Dicembre è il mio mese, non c’è niente da fare.

Infatti, inesorabile, è arrivato anche il mio compleanno, tra giornate di lavoro, ma tranquille, che ormai era quasi Natale, tra una pioggia incessante che ha bagnato Torino, e un’atmosfera perfetta per le lucine, le tazze di tè caldo, la copertina sul divano e i pensieri belli. Sono stati loro a vincere sulle ombre, e di questo sono grata al tempo trascorso, alle ferite rimarginate, alla bellezza che cerco sempre di trovare.

Nella valanga di auguri per il mio compleanno ce n’è stata molta, per esempio: onde di pensieri, un pandoro su cui soffiare, dei selfie orripilanti come è giusto e due bicchieri di moscato mentre è in corso un quizzettone letterario all’ultimo autore e la mattina dopo parlerò alla radio consigliando libri. E poi una notte è arrivato un messaggio vocale profondissimo e denso di luce, una grazia rara, una meraviglia che scalda, rafforza, accarezza.

Così rincuorata mi sono regala un altro incanto, quello di sfidare la pioggia e il buio delle cinque per visitare la mostra dedicata a Mantegna a Palazzo Madama. Quanta bellezza, nel silenzio e nella calma distesa di un giovedì sera anonimo in cui perdersi a fotografare i riflessi delle luci d’artista nelle pozzanghere, e dirsi ancora che Torino è bella, e che il capitolo su Giovanni Arpino del mio libro non avrebbe potuto esistere senza queste suggestioni. In linea con Mantegna e il Rinascimento da gustare, eccomi correre sempre sotto la pioggia, in ritardo e trafelata, a 35 piani di altezza per vedere da vicino la brillantezza dei colori di Giovanni Bellini e della sua Madonna con bambino. Un augurio di Natale e cose belle, di serenità e dolcezza, un invito a riscoprire.

Questo, sebbene fuori ci fosse allerta rossa e il torrente della mia città natale fosse gonfio come altre rare volte. La mareggiata in corso, forte e affascinante, ha cullato i giorni prima del Natale: si è aperto un periodo dolcissimo. Colazioni al sole e scogli del cuore, la Corsica, magica fata morgana all’orizzonte e i tramonti di dicembre, loro, frutto di una tavolozza incantata. Il mondo fuori andava un po’ a rotoli ma questo lembo di terra estrema sa lenire, sa riportare al centro delle cose, al meglio: l’amicizia cara e bellissima, sotto Natale ancora di più, trovare a salutare persone che non hai mai tempo di curare, e condividere pochi bellissimi minuti e abbracci, e i biscotti, le sorprese, un audiolibro per tornare a Belleville con la famiglia Malaussène.

Una corsa allegra e spensierata come nei libri di Pennac, fino alla Vigilia, dolcissima colori pesca sul mare, luci in città e pandori e brachetti con cui brindare. E poi Natale, ma non ci si ferma, in un carosello di amici da incontrare da Santo Stefano tutta dritta, una serata a passeggio, una tra la musica e una pizza, beandosi della bellezza di stare insieme, e gli aperitivi, le merende con il latte di unicorno, i pandori, le creme e le luci, le bottiglie da stappare, i calici con cui brindare. E sì che il fegato manda segnali di resa, ma c’è ancora una doppia focaccia di recco tra armature medievali e boccali, e taglieri di salumi, e risate tra art-attack e foglie spezzate di aloe- Sì, anche qualche incontro che salta proprio alla fine, ma pazienza, l’importante è non perdersi d’animo.

È lo stesso segreto per recuperare il tempo perso e nella corsa verso fine anno dedicarsi a tutte quelle piccole cose da sistemare, per le quali si è atteso tanto, mesi e forse anni, come la Letterina 22, la macchinina da scrivere di carta da costruire tra forbici e colla, regalata a Natale 2018 e rimasta chiusa 12 mesi. Non c’era mai tempo. E allora dopo una passeggiata in spiaggia ecco che la pazienza viene in aiuto, la voglia di fare, forbici colla e il desiderio di mettere le mani in qualcosa che liberi la testa.

Le letture del mese che mi restano in testa sono L’eco delle balene, iniziato in una lunga e affascinante traversata ferroviaria sulla Tirrenica con cambio a Genova e Fluimucil al bar della stazione, fino all’ultimo regionale scassato per casa, nel buio di una sera dicembrina. E poi lui, Raspodia Mediterranea, 400 pagine di passione per il mondo del mare, per le culture del Mediterraneo, i suoi immaginari, i suoi porti, i cibi e gli aromi, i sogni, le onde e la salsedine. Commuovente, bellissimo, incantato e magico: mi predispongo a presentarlo, sarà uno degli appuntamenti del prossimo anno, il 2020.

Non è un caso che questo libro mi abbia coinvolta nella coda di dicembre: energia positiva, tanta bellezza e serenità, equilibrio, necessario, lungimirante, calma, riposo, sicurezze da tenere care. Fino alla spesa di fine anno, tra pistacchi, salame e l’unico pandoro rimasto alle soglie dello scoccare della mezzanotte. Un tramonto dipinto che forse era finto, forse era fatto apposta per meravigliare fino in fondo, per rasserenare l’animo. Per dire che tutto va bene, finché ci sono gli amici e una spaghettata al pomodoro tutto va estremamente, profondamente e sinceramente bene.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!