È ottobre da dieci giorni, questo blog è abbandonato a sé dall’estate, e mi ritrovo a scrivere di settembre convinta che ancora qualcosa non sia concluso, con la testa e gli occhi ancora a quegli ultimi bagliori d’estate. È ottobre ma è sempre settembre, anche se tutto è già diverso. Ci provo lo stesso, torno con la mente al mese scorso, e vediamo come va.

Settembre ha una colonna sonora, Journey to the stars suonata da Tom Harrell, ha un luogo – la spiaggia -, ha un braccialetto con una stella e una perlina perso per sempre, è colore azzurro, talvolta diventa madreperla, ed è zeppo di novità travolgenti, di libri iniziati e non conclusi accumulati tra zaini, borse e scrivanie. Il mese inizia con una bicicletta, una minaccia, l’ansia e la ricerca delle soluzioni, delle consolazioni. Tutto scorre nella luce ancora estiva, tutto regolare, sereno, libero e sbarazzino, poi dall’esterno sembra arrivare chi per sciocchi motivi può permettersi di schiacciare sogni e ambizioni, e bisogna reagire, non farsi schiacciare, proseguire. La fatica è tanta, il sudore, gli incompresi. Ma intanto c’è un insolito Tour de France fuori stagione da seguire pranzando tardi in tv, ragionando sulla bicicletta rimessa a nuovo dopo aver forato, sulla libertà di pedalare e spostarsi.

Dunque settembre è una silenziosa messa alla prova, lo leggo tra le righe solo ora, che tutto si deposita alle spalle. Il 4 del mese sono a Sanremo a parlare a Soleà di Italo Calvino, mi circondano Mariangela D’Abbraccio e Giuseppe Conte, ho molta ansia perché c’è un palco, ci sono i riflettori, si impalla la proiezione e perdiamo una clip, ho la scaletta in mano ma devo improvvisare, e non faccio un plissè, anche se ho perso un tacco delle scarpe e una forcina ha deciso di abbandonarsi alla forza di gravità e precipitare giù, proprio tra le assi del palco.

Bisogna stare concentrati, a settembre, perché i fatti si presentano nel cielo azzurro tra le fronde delle palme, e sembra tutto regolare, sembra di poter dire “finalmente”, ché questa pandemia ancora in corso ha spazzato via routine e regolarità, tutto si trasforma, accade, non accade e ci si affanna per farlo accadere, senza magari aver progettato nulla in quanto alle conseguenze. E così una sera ti trovi su un palcoscenico a parlare al microfono, il giorno dopo sei sul giornale perché si parla di panchine dedicate a Italo Calvino, giornale che hai recuperato dal tuo amico che si improvvisa tutor e ti segue in mini corsi di formazione utili ad avere le idee chiare per colloqui insoliti, online, tra un gobeletto e un estatè. L’estatè fa estate, ricorrerà a settembre, in foto sul mare e con una focaccia, come fosse giugno, la stessa luce e lo stesso desiderio di azzurro e serenità.

A settembre vince il mio eloquio che è rimasto sopito e spiazzato troppo a lungo. E parlo, parlo tutto il mese in circostanze ogni volta differenti, messe alla prova, strutturazioni logiche da appunti presi velocemente su un vecchio quaderno tutto scassato, al telefono, al computer, al microfono, al tavolo di un bar e in posti nuovi. Riprendo treni, scopro città, zaino in spalla, sembra tutto normale anche se aleggia una strana atmosfera pandemica. Entro in un battistero bizantino, in una cattedrale, non lo facevo da tempo: poco dopo sarò costretta per forza di cose a entrare in un duomo bianco di luce in un pomeriggio troppo caldo per settembre, il candore di un evento purtroppo prevedibile, lo sconcerto e il dolore, lo sguardo attonito di sedie e sedie e sedie sotto a una cupola di luce. No, non c’è niente di normale in questo settembre, e forse mi sto anche dimenticando cosa intendevo per normale quando tutto sembrava procedere secondo regolari programmi.

Trovo un frammento di conchiglia tra le pietre dove scavo senza speranza cercando il braccialetto che mi sono resa conto di aver perso. Non mi aspettavo la mancanza, lo cerco per giorni appeso al polso, ripercorro strade alle otto passate di sera, chiedo e mi domando, ma non c’è più.

Natale 2014 fece schifo per vari motivi. Piangevo spesso. Mia mamma mi regalò bracciale e collana abbinati, con una stella e una perlina. Il bracciale era così bello che lo allacciai sotto l’albero e non lo tolsi più. Ero consapevole fosse labile, ci ho pensato a ogni bagno fatto al mare, dal Tirreno al Ligure all’Adriatico. Eppure non si era mai sganciato. Fino a oggi. Mi sono appena guardata il polso e non c’è più. Chissà dove mi è caduto, chissà quando, dal momento in cui, stamane, ho guardato l’ora e ho constatato di averlo ancora. E niente, mi spiace tanto. Come tante cose veniali, lo avevo caricato di significati.

Mi stupisco della piccola bellezza che ho intorno ancora e sempre, e ostinatamente mi installo su una spiaggia che ai primi di settembre sembra aver finito il suo tempo: è spoglia, si ammanta di rosa e azzurri pastello in spettacoli che riempiono la memoria del mio telefono di foto sempre uguali eppure sempre diversi. La pioggia sulla spiaggia, il ciao di una persona che non mi saluta da anni, il ricordo potente dell’incontro con sua mamma, delle sue parole, e poi Nico Orengo che racconta la mia terra, la voglia di scoprire di più.

Settembre è alti e bassi: chiude la storica gelateria perché è finita la stagione, ma domenica la spiaggia è ancora piena di chiacchiere, anche se non di turisti, si rompe l’acquedotto in mezza provincia e si devono fare scorte di acqua, due sposi arrivano sulla spiaggia per fare le foto di mercoledì, e le passeggiate sul molo a mezzogiorno sono cariche di bellezza e blu mediterraneo anche se le pagine da leggere raccontano ipocondrie e storie di incomprensioni irrisolte. Leggo tanto a settembre, mentre i libri provo anche a progettarli, mentre accadono cose su isole poco lontane da casa. In questo mese lungo e strano e vario ci sono Lorenzo Marone, Emanuela Canepa, Giorgio Fontana, e poi novità di autori meno noti, che però portano tanta linfa nuova. E allora ecco la storia di Saint Kilda, quella di David Starr Jordan, una nuova Emily Dickinson densa di delicatezza.

Sono le sue parole che mi scortano verso l’autunno. Perché a settembre tutto si trasforma in modo repentino, inaudito e quasi feroce. Il mio ostinato proseguire con la vita da spiaggia è premiato fino al 18 del mese, giorno dell’ultimo bagno. Ci sono state giornate di puro spettacolo: colori e pace, bellezza profusa tutt’intorno a me, carezze come le ultime produzioni dell’orto, l’idea che in queste serate dolci è ancora estate, e non posso lasciarla sfuggire, va gustata fino all’ultima goccia.

Dopo weekend pienamente estivi nei colori, nel clima e nell’atmosfera, dopo letture lunghe tutto il mese, dopo una settima irreale costellata di azzurri cristallo, con il mare costantemente trasparente, calmo, una carezza al cuore da allungare per sempre, dopo una meraviglia mai scontata da cercare e ricercare, qualcosa nei cieli cambia. Arriva l’autunno. Arriva feroce, spinge a comprare una giacca per andare a Torino, a rifugiarsi dentro il bar, una birra e una bottiglia thermos, racconti e forse progetti.

«In quel preciso istante, in piedi in mezzo all’autunno, Emily si trova al punto di confluenza di due eternità – l’estate scomparsa, l’inverno in arrivo. Deve stare immobile, a testa alta, per non sprofondare in nessuno dei due e continuare ad avanzare a passi prudenti lungo un filo d’erba». [Le città di carta, Dominique Fortier, Alter Ego Edizioni]

Piove, piove fortissimo in mezzo ai seggi, dove sono segretaria per la prima volta. Due giornate e mezzo trascorrono in un tempo condensato e lunghissimo, mascherine, guanti e persone, urne, schede e conti che non tornano. Finiremo a mezzanotte passata, il materiale depositato in Comune che è quasi l’una di notte, la stanchezza abissale, il senso di qualcosa che è sfuggito e che bisognerà eventualmente riapprofondire. A settembre ci sono le prime elezioni in tempo di covid, e tutto è molto strano e insolito, da vivere con un misto di incredulità e forse preoccupazioni, di certo con un asciugamano in borsa per lavarsi le mani al lavandino del bagno ogni ora.

E poi fa freddo, bisogna cambiare abbigliamento, mettere via l’estate, rassegnarsi, che tanto fuori è buio sempre prima, percorrere via Garibaldi, a Torino, alle otto di sera sotto una quasi pioggia e i lampioni è qualcosa di romantico e triste insieme. Torno a Torino, la sensazione è strana, come quella di una telefonata mentre sono sulla spiaggia: annuncio di novità, sorrisi e si vedrà. Sono stata al Polo del ‘900, non ci andavo da mesi. Ho rivisto volti noti, una specie di vita passata che non pensavo potesse tornare. L’impatto emotivo è stato fortissimo, sciocco forse, ingenuo. Una felicità strana mi si agitava dentro, rotta dai treni e dai viaggi infiniti.

È stato letto un mio racconto scritto durante la pandemia, è stato annunciato che rientrerà in un volume, e un libro ci è stato anche regalato, un libro bellissimo di cui sono molto felice. A settembre esce anche un mio altro racconto su un libro, dedicato alla pandemia anche questa volta, alle emozioni provate e vissute. Me ne arrivano delle copie a casa, ed è strano e bello ritrovare la mia voce, la mia testa di mesi fa impantanata in un caos che non sapevo si sarebbe risolto così. È dura fare i conti con la rivoluzione intercorsa: mi sento sradicata da un lavoro che era la mia quotidianità. A Torino mi sono imbucata a una conferenza stampa, ho visto una mostra dopo non so più quanti mesi, ed è stato bello, sì, ma amaro, difficile da classificare. È rimasto sospeso.

La sospensione incredula è un sentimento ricorrente in questo mese dove si succedono il duomo pieno di sedie, le palme di Villa Ormond, un poliziotto che scopri essere stato in classe con te, un sabato di maltempo in cui il mare soverchia tutto, il libro di Peter Cameron che leggi ha delle atmosfere terribili, la gita in bicicletta finisce nel viola del temporale e la giornata si conclude con l’asse da stiro, le prime tisane e un freddo interiore che nemmeno i colori da sogno dei tramonti autunnali sul mare riescono a stemperare.

Non credo di ricordarmi con sicurezza come si fa.
A stirare.
A bere tisane calde mentre fuori impazza la libecciata.
Ad aspettare sei mesi per riavere qualcosa di luminoso e confortante in cui sperare.

Settembre è finito, è iniziato così tanto tempo fa che non me lo ricordo più: c’era il sole, c’erano le palme, un viaggio in macchina di notte, cantando, un braccialetto che non avrò più tra le dita, un messaggio a sorpresa in una sera triste, l’amarezza stemperata, la forza per riprovarci e vedere che succede, mentre fuori impazza una libecciata fredda, è finita l’estate, adesso chissà cosa succederà.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!