Singhiozzi e schiaffi: aprile 2017 è un mese intenso ma tutto sommato breve, che si porta dietro la connotazione di queste due parole chiave, metaforicamente utili a definire l’andamento del periodo. Ma tranquilli, il lieto fine c’è, lo si intravede nelle promesse tardoprimaverili del calendario, nell’ambizione alle giornate di sole intenso, quelle in cui stare a mezze maniche senza sentire i refoli freddi del venticello ancora invernale, lo si scorge in una vacanza che presto arriverà, in tanto lavoro bello e appagante che sta per ingranare. E poi lo si intravede nelle strane e inattese pieghe del caso che il destino ha intessuto in un modo assai bizzarro dai primi giorni del mese alla sua ultima sera, il 30 aprile. Come a dire, con De Saussure, che “tout se tient”. Il campo, così, è utile e aperto per costruire una storia.

La storia ha diversi personaggi, alcuni attuali, vivi e presenti, altri del passato, invisibili ma a loro modo ancora presenti. La storia, come dicevo sopra, si alterna nel mese di aprile tra singhiozzi e schiaffi, tra percorsi che dovrebbero poter essere lineari e invece si inceppano e riprendono nella costanza di un doppio movimento poco fluido, e momenti di secco svelamento, inaspettati e dalla portata gigante, che come cinque dita spalmate sulla guancia spostano la direzione dello sguardo, e svelano altri orizzonti di pensiero.

Aprile è iniziato al sole caldo e alla luce dorata di due sedie piazzate sugli scogli in mezzo a un mare che anticipava l’estate. Una collocazione precaria quanto ancestralmente stabile: in mezzo alle pietre di un mare che mai come in questo periodo è mancato, un mare che è famiglia, casa, sicurezza. Eppure, quell’orizzonte stabile contro cui far rimbalzare la prospettiva per riceverne in cambio un paio di certezze, di quelle che in fondo ognuno lo sa, sono sempre lì, ha avuto di che animarsi. La mareggiata si è creata nello scarto tra le immagini costruite per dare un senso, e un’inaspettata realtà raccontata tra quelle sedie al sole sugli scogli e un lungomare notturno agitato da un torrente di parole e addolcito dal profumo dei primi fiori di pitosforo, che allestivano lo scenario di una stagione che non c’era ancora. Cose che mentre accadono sei consapevole di stare vivendo, ma che allontani già da te ridefinendole dentro una storia, una pagina di romanzo, un dialogo sceneggiato, un quadro. Cose che sono come una sorta di strappo alla tela, da cui escono fuori, a stento e con le parole bloccate in gola, altre cose che non pensavi, che restavano fuori dalla cornice.

Ridipingere la tela. Ecco la necessità inaspettata e più difficile in una stagione che simulava tranquillità e proverbiale ozio (aprile, dolce dormire…). Spostare i confini, rielaborando il panorama che includono, i personaggi che vi si muovono all’interno, ciascuno con il suo sacco pieno di tasselli di vita, spesso invisibili. La tela en plein air portata su quegli scogli alla luce dorata delle prime giornate lunghe di aprile ha quindi preso atto della necessità di abbracciare un personaggio il cui profilo è diventato improvvisamente più vivo e vivido, più gonfio di vita e maturo come mai lo si sarebbe immaginato. Un personaggio a tutto tondo che si animava e pativa dietro a una silhouette assai più sciatta creata dalla mia mente per semplificare. Non è scontato: prendere atto dell’età adulta che si è adagiata sulla vita di un tuo amico con cui hai condiviso momenti e passioni infantili, formandolo e trasformandolo da ragazzo a uomo, può destabilizzare. Invita a confronti, a domande, porta a ritirarsi per pensare, a ricalibrare le lenti. Ad accettare, infine, il tutto con una dolcezza estrema e, forse, adulta anche lei. Serve una vagonata di umanità per digerire storie che non avevi previsto, che non pensavi, che proprio non esistevano. Personalmente, preferisco condire questa nuova presa di volume di una figura piatta con parecchia ironia. La semplicità – da una parte e dall’altra – non fa parte di questo mondo. Del resto, se così fosse, sarebbe tutto più piatto, triste e lineare, mentre qui si tratta di montagne russe con colpi di scena improvvisi. Nulla è mai scontato. Dunque, per quanto aprile sia finito, quella tela è ancora là sugli scogli che, dopo aver ricostruito la quadratura, attende ispirazioni per lavorare sui dettagli.

Dettagli da cui stanno scomparendo altri volti e personaggi, in un lungo e faticoso processo di rivalorizzazione. Schiaffo, singhiozzo, elaborazione. E poi ancora: inceppamento, debolezza e singhiozzo, e accavallamento con un improvviso schiaffo, aumento del singhiozzo, incapacità di elaborazione, richiesta di aiuto, soccorso, qualcuno dica qualcosa, qualcuno spieghi. Tra gli scogli, al tavolino di un bar, su uno schermo di telefono o in una sala cinematografica, per non parlare delle affannose ricerche tra i libri. Singhiozzi, schiaffi, e aprile che scorre, il sole che singhiozza anche lui, una sera di aria fredda e chitarre e jazz che in agenda è il 30 aprile. Il nodo si scioglie. Almeno apparentemente, almeno nelle speranze, almeno per ora. Tra cocci luminosi che restano e resteranno, e un orizzonte che su quel mare dorato, visto da una sedia, fa meno spavento.

Alti e bassi, vi avevo avvisato. Schiaffi destabilizzanti e ore di dialoghi per ritrovare sensi e direzioni, per ricucire figure e trovare colori da applicare alla tela. Una soluzione a questo zigzagare, che alterna spavento e spaesamento alla ricerca incessante di momenti di serenità, e ogni tanto crea sacche di consistente angoscia, esiste. Ecco la storia, direbbe Pennac : se si uniscono i puntini tra uno schiaffo e un singhiozzo, la sagoma che esce fuori è quella di una relazione, di un incontro. Aprile è stato un mese iniziato e concluso in mezzo agli amici. È stato affollato di amici, di incontri, di rocamboleschi incastri che hanno fatto sì che amici provenienti dalle più diverse sfere geografiche si intrecciassero al mio percorso. Quante birre. Quante parole. Quanti consigli. Quanti viaggi. Quanta pazienza. Quante bellissime e straordinarie storie di cui a stento riuscirei a fare a meno.

Tornando a citarlo, Pennac, in questo mese di aprile, ha un ruolo di tutto rispetto: non solo è da poco uscito in libreria il nuovo capitolo della saga Malaussène, ma, parentesi personale, grazie a un cofanetto dei primi sei volumi sto scoprendo quella stessa saga, con lo scopo di arrivare pronta al Salone del libro e agli eventi che riguarderanno Pennac. Benjamin Malaussène e la sua strampalata famiglia vanno conosciuti, ve lo posso assicurare fin da ora, al secondo volume della saga. Siamo già in piena sintonia, facciamo notte insieme tra gli eventi grotteschi di Belleville e abbiamo sviluppato lo stesso tenero affetto per tutti gli abitanti della ex ferramenta. Non avete capito nulla? Be’, è perché dovete leggere anche voi la saga Malaussène! Se invece alla Parigi scalcagnata e ironica di Pennac preferite un’ambientazione italiana, il romanzo di aprile è il nuovo di Fabio Geda, Anime scalze. Una storia che è quasi una versione aggiornata di Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani (anche questo, vivamente consigliato), primo romanzo di Geda, che ho avuto il grandissimo piacere di intervistare al telefono. Spero di parlarvene presto sul sito. Per ora vi dirò che è una storia di adolescenti, di sentimenti grandi che crescono in mezzo al caos del mondo e di quell’età, ma è anche una storia di relazioni, di fratelli, sorelle e genitori, e per questo tocca tutti. Se poi a narrarla è la voce di Geda, vi posso assicurare che l’empatia, e la simpatia, saranno grandi, e che questo romanzo vi resterà dentro come una storia di grande dolcezza e forza. Insomma, sono molto soddisfatta delle letture e delle scoperte editoriali di aprile, ed è con questa bella sensazione che aspetto scalpitante quello che sarà l’evento con le lettere maiuscole di maggio: il Salone del libro di Torino.

Aprile è stato però anche un bel viaggio a Genova, con una sosta-focaccia a Castelletto e una breve incursione sul Porto Antico. È stato una sera di ri-incontri inaspettati al Circolo dei lettori. È stato tante ore sui tasti del pc a dare forma a un libro. Episodi staccati, a ritmo singhiozzante. Tanto e troppo, niente e silenzio, e poi di nuovo l’agenda che esplode e i ponti vacanzieri piatti e vuoti. L’andamento è faticoso, forse è una caratteristica dei tempi e dell’epoca multitasking. Tuttavia, si sopravvive. Un po’ stanchi, con le idee un po’ frullate, tanti chilometri seminati per risultati che al momento sembrano ancora lontani. Eppure, tutto si tiene, il lavoro sulla tela non demorde: accetta i rallentamenti, mentre il pittore contempla l’orizzonte domandandosi cosa disegnerà, scalpitando un po’ perché questo tempo singhiozzante si esaurisca in un nastro limpido e lineare; riprende frenetico, concentrato sul punto e non sull’insieme, convinto che dando qualità alle piccole cose, l’allestimento finale ne risentirà positivamente.

Insomma, si lavora, senza sosta, senza demordere, prendendo le cose con dolcezza, o almeno provando a farlo. E siccome oggi è il primo maggio, questo lavoro si stempera ancora di più in consapevolezza umana della storia, e di tutte le storie che le ruotano intorno.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!