Attenzione: pericolo mare. Agosto è così, se ti allontani dal tran tran quotidiano della grande città per rifugiarti nel luogo delle origini, tra ulivi e salsedine. Agosto ti frega, se credevi che sarebbe stata una prosecuzione – indegna, ma pur sempre qualcosa – delle vacanze brevissime e altrettanto issimamente intense appena finite. 1 agosto: volo di ritorno. Non c’è scampo. Quel senso di impotenza, tristezza che vira all’angoscia, grigio e oppressione di una città che si svuota implacabile è lo stesso il primo e l’ultimo giorno del mese, solo applicato a luoghi diversi. Perché anche i luoghi possono scadere, in alcuni momenti, in certe stagioni.

Torino in agosto scade: bisogna scappare, non c’è più niente, solo il richiamo del mare, che attira frotte di turisti dell’ultima ora, gente con le seconde case, nonni, famiglie, ragazzini e chi lo sa. Li incontri in stazione all’alba armati di tutto punto, l’ombrellone una lancia, la borsa frigo lo scudo, verso l’assalto del vagone sul diretto per Ventimiglia. E dunque scendete tutti, chi è arrivato in vacanza, chi è arrivato a casa, come te, che quasi ti senti coinvolto nella leggerezza generale e ti illudi di esserci anche tu, in vacanza. In fondo è davvero tutto più lieve: l’aria, il mare, il tempo per leggere l’inserto culturale del giornale della domenica. Non sai ancora (eppure lo sai, ma ogni volta te lo dimentichi) che, dopo un mese, anche quest’aria buona e questo azzurro-verde ti si stringeranno addosso, rivelandoti spiagge ormai vuote, mareggiate in arrivo, il buio alle 8 di sera, sintomi del fatto che un mese è passato, che bisogna ricominciare a lottare e il tempo per le meditazioni oziose è – appunto – scaduto.

Che poi alla luce della ragione, l’inganno che ti ha fregato anche quest’anno è presto spiegato: d’estate qui ci sono gli eventi, d’estate succedono le cose, e se pure in città non succedono, bisognerà tenere vivo il giornale in qualche modo, e bisognerà pensare alle uscite di settembre, che agosto è breve, settimane di chiusura, ferie, trovare la gente è più complicato. Insomma, tempo di controllare se i costumi sono ancora nell’armadio che via, devi tornare a lavorare, senza pensarci, credendo che sia parte della leggerezza estiva, di questa incubatrice di vacanze che è la vita da lavoratore autonomo senza sede fissa. Agosto è dunque stato il mese di un sacco di cose, persone, chiacchiere, visi, scoperte, e anche di spiaggia, mari, musei, imprenditoria, natura, eventi, musica, viaggi, panorami. Tutto vissuto, tutto coinvolgente: tutto parte di articoli, interviste, reportage e materiali di lavoro. Osi pure lamentarti? Direte voi. No, non mi lamento: è un mestiere stupendo.

Quindi ecco, mentre preparavo le interviste a Giada Sundas e Alice Basso che ho avuto il piacere di presentare a Due parole in riva al mare, e mentre sentivo colleghi, organizzavo interviste per stare dietro all’ufficio stampa della rassegna, cenavo anche vista mare, i piedi sulla spiaggia e un branzino nel piatto, ringraziando la fortuna per la circostanza lussuosa e impeccabile. E mentre intervistato un team di amici biologi e divulgatori, stavo sempre sulla spiaggia, con i piedi a bagno a inseguire frammenti di posidonia e animaletti. Ho scoperto l’esistenza dei gamberi di acqua dolce, mi sono fatta una cultura piuttosto vasta in materia di disciplina europea per la salvaguardia degli ecosistemi, e ho intervistato la creatrice di Cartoorin, che ha genialmente abbinato personaggi Disney a scorci di Torino. Ho scritto del Museo del Fiore di Sanremo, ho ripescato un libro bellissimo di Rosella Postorino (Il mare in salita) per parlare delle Logge di Santa Chiara a Imperia, ho scoperto Ventimiglia Alta, entrando in una biblioteca antica e preziosa, la Biblioteca Aprosiana, e facendomi raccontare cose da un bibliotecario che vorrei conosceste tutti per quanto ama il proprio lavoro.

A Ventimiglia ho visto un sacco di mare, dalla prospettiva privilegiata, ancora una volta, della Porta Occidentale di Italia. Tonnellate di azzurro, sterminata limpidezza di orizzonti estivi, slanci sul mare a confermare le parole di Nico Orengo (la Liguria va vista da una finestra… e forse anche Calvino ci era arrivato, aggiungo io) e a lenire ancora un po’ la stanchezza del lavoro, del perenne incessante flusso mentale che porta a stare dietro alle notizie, a leggere, seguire, chiamare, scrivere. È bellissimo, è un privilegio, è una responsabilità, ma di fronte a quell’azzurro prende una vena di malinconia da pagare in un’unica rata tutta insieme il 31 agosto, in diretta da Torino, vista Mole.

Oggi come oggi mi sembrano distantissimi gli episodi di un mese – agosto – che pure è stato intenso e ricchissimo di cose fatte, viste, vissute. C’è stato per esempio lo spettacolo del Teatro della Tosse ad Apricale, appuntamento “fisso” che, tra visi amici e nonostante la lunga strada, ha in sé ogni volta qualcosa di poetico, qualcosa di sfuggente, qualcosa che riecheggia di libri, sogni e per questo forse vacanze, anche se si tratta di pochi chilometri da casa. C’è stato il concerto di Ermal Meta organizzato da Imperia Musicale, con la banchina del porto inondata di persone come mai l’avevo vista prima. C’è stata una grigliata estiva in amicizia, vista speciale sui fuochi artificiali, risate e chitarre, o una cena anni ’20, rossetto rosso, cocktail futuristi e musica jazz.

C’è stata, in fondo, una vera estate, lunga e ininterrotta, tra ondate di caldo infernale che durano da giugno e stordiscono al punto di non pensarci nemmeno più che va avanti così da tre mesi, tra una routine che non si è mai interrotta salvo cinque giorni di ferie siciliane che sembrano ormai mitologia, e che torna sempre davanti allo schermo di un pc, o di un telefono. Ecco perché il mare blu intenso di metà agosto mi getta addosso sempre tutta questa malinconia: è il blu, l’azzurro maturo di un’estate al culmine che sta per esaurire. Lo dicono le luci, sempre più fioche la sera, lo dicono i refoli d’aria, le correnti marine e i ciottoli della spiaggia, i biglietti del treno e i sandali che presto saranno archiviati, l’ammontare di email, di cose da fare che erano state rimandate al poi indeterminato della fiduciosa speranza di luglio. E quest’anno, a settembre, non ci sono nemmeno le vacanze a lenire l’amara constatazione della realtà: che un altro anno è finito. Ma sì, tra quattro mesi siamo a capodanno, due terzi del 2017 sono già andati, il più è fatto. L’attesa del piacere è essa stessa il piacere, secondo l’adagio del Campari che aveva scopiazzato bellamente dal buon Leopardi, e quando il piacere – l’estate – chiude il sipario, cosa resta? Malinconia, mancanze, ricordi, speranze e flebili progetti sul via di un percorso che della leggerezza estiva non ha per ora nemmeno l’ombra.

Vorrei andare in vacanza, sì, ma una vacanza vera, lunga, durante la quale dimenticarsi di tutto quello che ingombra i pensieri e lasciarsi solo cullare dal mare, spostando a un poi indeterminato tutti i doveri, gli ostacoli e gli errori che conserviamo piegati con cura e dovizia nella nostra valigetta 24ore quotidiana mentre il ticchettio incessante dei tasti ci impedisce di trovare la leggerezza invernale con cui affrontarli e sbarazzarcene in vista della prossima estate.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!