A volte il destino è bizzarro. Stamane ero a una conferenza stampa organizzata dalla Regione Piemonte e dedicata al lancio della campagna di comunicazione che promuoverà il turismo invernale sulle cosiddette “Montagne Olimpiche”, il comprensorio alpino piemontese, terra ghiotta per sciatori e amanti del paesaggio. Nel frattempo i feed rss mi segnalavano titoli sulla Liguria in cui tornava e ritornava il nome di Monesi e quel che, dopo l’alluvione della scorsa settimana, pesava come un presagio oscuro sulla provincia di Imperia: la chiusura – o meglio, l’impossibilità di apertura – degli impianti sciistici per la stagione in partenza.

Io non so sciare, non mi è mai interessato imparare perché fondamentalmente la montagna non mi piace tanto quanto è invece smisurato l’amore che ho per il mare. Sono gusti, poco importa. Quel che conta, invece, è che Monesi è l’unica stazione sciistica della provincia di Imperia, che, tra microclima ottimale dovuto alla costa e possibilità di esplorazione di un entroterra che si incunea tra Francia e Piemonte dentro le Alpi Marittime, ha sempre puntato a una linea turistica a tutto tondo. Mare e montagna insomma, al mattino sulle piste da sci di Monesi e la sera aperitivo sulla banchina di Oneglia, cocktail in mano e vista mare, perché no su un bel tramonto invernale, di quelli sui toni del rosso e dell’arancio. Un patrimonio piccino e a suo modo esclusivo: è chiaro che chi ama la montagna punta alle vette del Trentino, oppure alla Val D’Aosta e alle Montagne Olimpiche di cui sopra. Montagne che, peraltro, hanno salutato con favore la neve di qualche giorno fa, corrispondente ad acqua giù a valle, ed è stata un’acqua realmente infausta anche per il Piemonte. Pochi chilometri, eppure quali e quanti cambiamenti riserva la terra. È così che stamane vedevoo  lanciare a razzo una stagione sciistica, proiettata addirittura a Londra, e pesavo al contempo il disastro della fine, sopraggiunta ancora prima delle neve, di un’altra stagione, l’unica stagione sulla neve della Liguria. Tra l’intuizione anche solo distante del danno economico, scorre la bacheca del faccialibro e trovo commenti di amici e conoscenti “venuti grandi” tra le montagne di Monesi e Piaggia, che rimpiangono un luogo – un paesaggio geografico e forse anche interiore – che rischia di non tornare più come prima.

La montagna ligure

Ora, per chi non fosse della zona, non conoscesse Monesi, e si stesse domandando perché nella stessa frase compaiono Liguria e impianti sciistici, è bene che io ricordi che la provincia di Imperia non è solo costa ma, come accennavo sopra, include un territorio di parco montano sulle Alpi Marittime. Marittime perché è evidente: guardano il mare. E dai racconti che leggo, pare che a Monesi si sciasse vista mare, una condizione che non proverò forse mai, perché non scio, ma che mi ha fatto venire in mente il trampolino olimpico di sci collocato sulle alture di Oslo, in Norvegia: un salto dritto sul mare. Sono rarità geografiche che pochi posti vantano.

Ebbene, con l’alluvione degli scorsi giorni è successo un finimondo proprio in quella porzione di territorio tra basso Piemonte, Liguria e Francia, siamo qui, sulla mappa il puntino rosso è Monesi di Mendatica. Forse è strano, forse insolito: la Liguria è anche montagna, e nella provincia di Imperia ce n’è parecchia.

monesi-di-mendatica

L’acqua piovana è stata talmente tanta, ed è arrivata in così limitato tempo, che il terreno, gonfio e saturo, non ha più tenuto: è scivolato, e sta scivolando. Fiumi di fango, frane, versanti di collina che “si sganciano” e vengono giù. Travolgono case, portano letteralmente via il terreno da “sotto i piedi” alle strade, che collassano in voragini. La zona più colpita è stata la Valle Arroscia, in Liguria, quella fetta di entroterra che sale lungo la Statale 28 (la strada di collegamento per il Piemonte, se escludiamo l’autostrada), da Imperia si snoda per Pontedassio, Pieve di Teco, Pornassio, fino ad arrivare a Nava. Un territorio che sale verso il Piemonte, diventando un paesaggio da costiero via via collinare e montano. Le frane, gli smottamenti e i problemi più ingenti sono stati registrati a Lovegno (frazione di Pieve di Teco), Lavina, frazione di Rezzo, che attualmente è un paese totalmente isolato e irraggiungibile a mezzo strade, ma anche Pornassio (dalla cui frazione Ponti arriva la foto di Chiara Bottone che illustra questo post) e ovviamente Monesi.

 

La paleofrana

Ma che succede? Perché viene giù tutto? Da giorni i quotidiani locali e gli online si rimbalzano una parola che, alle mie orecchie di abitante di costa e di città, suonava ignota: paleofrana. Avrei tanto voluto parlare con un geologo, cosa che mi riservo di riuscire presto a fare, per chiarire a me, e a quante più persone possibile, cosa significa e cosa comporta sul territorio una paleofrana. Per il momento mi sono servita di chiacchiere con amici del posto e di wikipedia. Forse pochino e poco verificato, ma con un po’ di buon senso aggiunto è quanto basta a intuire che la situazione è di una gravità inaudita, e che il terreno sotto i piedi non è mai una stabilità certa, anzi.

Ho scoperto che una paleofrana, quella che interessa Monesi di Mendatica in questo momento, non è altro che una frana che è rimasta come “congelata” su un pendio collinoso o montano infinito tempo prima di ora. Cercando di semplificare sempre più, si tratta di un grande ammasso di materiale franato in tempi antichi (paleo, per l’appunto), così antichi da costituire, per chi è arrivato dopo, realtà dei fatti e terreno apparentemente stabile: è lì, è fermo, non ha l’aspetto di una frana. Il problema è che quel materiale (porzioni enormi di terra, su cui si è edificato o sono state apportate nei secoli modifiche, come i famosi terrazzamenti liguri, utili a coltivare un terreno scosceso) potrebbe riprendere a franare da un momento all’altro, magari agevolato dall’infiltrazione sottostante di acqua, che lo farebbe scivolare, essendo la roccia che vi sta dietro impermeabile. Immaginate, semplificando all’estremo: roccia, fiume di acqua penetrata, terra instabile sopra, che slitta senza più attrito, causando frane. Una situazione analoga è stata quella alla base del disastro del Vajont, 1963.

 

Dissesto idrogeologico

Un borgo fantasma, straziato dalla frana, con profonde crepe sulle case, la strada che non esiste più, le vie interne collassate. Le case di Monesi di Mendatica si sono spostate, si inclinano paurosamente, con profonde aperture che disallineano i muri e le fondamenta. Intorno un silenzio irreale, si sentono solo cigolii di lamiere e un rumore sordo, profondo che a intervalli sembra nascere dal terreno. Nel cielo l’elicottero dei Vigili del fuoco che sorvola l’area. Si sta monitorando il movimento franoso che ancora impensierisce e non dà tregua. La strada che porta a Monesi di Triora è spezzata, tagliata di netto, sprofondata in un groviglio di terra e palificazioni. La frana incombe, non è ancora ferma” riporta con una descrizione molto efficace Milena Arnaldi sul Secolo XIX il 28 novembre parlando di Rezzo.

Dopo aver capito cos’è una paleofrana, e aver osservato attravero i video la quantità enorme di terreno spostatosi e l’ingenza davvero inimmaginabile dei danni, è chiaro anche ai non esperti come me che il movimento non cesserà con la pioggia, e che tutti quei paesi e quelle strade sono in rischio folle e totale, forse verranno giù, forse saranno cancellati, è anzi probabile che nulla in questi posti sarà più come prima.

La domanda ora è spontanea: come è possibile che si stia assistendo a questo disastro senza che nessuno avesse fatto notare che questi abitati sorgevano su una paleofrana? Il punto è che la cosa era ovviamente nota, viste le frane e le precedenti alluvioni. Per nulla si parla di dissesto idrogeologico in Liguria: è, credo, noto a tutti il ricorrere di disastri che spaziano da Ponente a Levante passando per Genova (la sindaco Marta Vincenzi riceve proprio in questi giorni la condanna a cinque anni per l’alluvione del 2011, che causò alcuni morti). Ebbene, grazie a un suggerimento della mia amica Chiara, che da giorni spala fango a Pornassio, ho scovato in rete un documento del 19 maggio 2016 emesso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e che includeva, tra gli interventi urgenti in programmazione, anche Mendatica.

Cito dal testo, che trovate qui: “I nuclei abitati del Capoluogo di Mendatica e della Borgata Piano  vengono a trovarsi all’interno di un’ampia paleofrana , che risulta essere la più estesa della Valle Arroscia e tra le più estese della Provincia d’Imperia e di particolare rilevanza tra quelle che ospitano, sulla loro superficie, un centro abitato. Essa si sviluppa dalla Costa Pian dei Prati, a monte del nucleo abitato Cian Prai, sino ai Campi Sottani, situati a monte della confluenza del Rio Passo Cagnasso nel Torrente Arroscia. L’abitato risulta infine ricompreso nell’ ”Atlante dei Centri Abitati Instabili della Liguria – IV. Provincia di Imperia” redatto dal Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche.
L’intervento mira alla mitigazione del rischio idrogeologico per l’abitato, ad oggi in una condizione di assoluta emergenza, in conseguenza degli elevatissimi valori pluviometrici registrati nei mesi autunnali 2012/2013 e in concausa dei quali si sono verificati fenomeni di dissesto  tali da comportare l’emissione di numerose ordinanze di inagibilità relative ad intere porzioni dell’abitato”.

 

È la Liguria una terra leggiadra

frana-pornassio-2016Nel 2013 le piogge autunnali avevano già fatto danno. Si sapeva, si era previsto. Eppure. Eppure ora in Valle Arroscia si vive nell’angoscia di veder precipitare concretamente e simbolicamente un territorio. L’impianto sciistico di Monesi, peraltro, pare, salvo, sarà inagibile perché irraggiungibile: le strade sono interrotte in più punti e a chiunque è interdetto l’accesso in borghi letteralmente appesi per un pelo alla collina. “È la Liguria una terra leggiadra”, recitava Cardarelli, ma tra le immagini poetiche escludo la retorica di un dipinto leggiadro del territorio e penso invece alla tenacia e alla resistenza della ginestra di Leopardi, che fa suoi pendii scoscesi e rocciosi, vi si aggrappa con forza nonostante l’assurdità della sua collocazione, e infine fiorisce e rifiorisce, con la sua piccola e impalpabile bellezza, gialla di sole.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!