Da che mondo è mondo, quando gli Elio arrivano a Sanremo è subito fenomeno. Ironia, sarcasmo, talento e genialità, dalla Terra dei cachi alla Canzone mononota e giù ancora con altri e altri esempi, da anni Elio & co ci avevano abituati a guizzi dell’estro e prove di provocazione. E invece quest’anno, così, quasi come una minestrina riscaldata, è arrivata Arrivedorci, una specie di addio ufficiale in salsa di bis dopo la fine del concerto.

Gli Elio sono giunti in sala stampa acclamati come sempre, tra flash, scatti e sorrisi complici. «Chiariamo subito una cosa – hanno esordito– ed è la cosa interessante che non ha colto nessuno: noi siamo già sciolti». Tra ironia e realtà, mentre non si capisce se la band stia scherzano o faccia sul serio (e c’è pure un giornalista che lo domanda, stranito e in cerca di un aiuto per interpretare questa messinscena un po’ amara), e nella solita miscela di genialità che decreta il loro successo da trentacinque anni, gli Elio sono tornati a Sanremo con un brano che, nomen omen, è un addio in pieno stile per il grande pubblico.

«In realtà state vedendo delle stelle esplose milioni di anni fa, è quello l’effetto – cercano di chiarire – ci stiamo rendendo conto che la musica sta diventando noiosa, ci sono conduttori che cercano disperatamente di raccontare le loro cose, e poi purtroppo vengono interrotti dalla musica stessa. Questa cosa ha superato ogni limite, e poi anche la storia delle canzoni che durano tre minuti e mezzo…è troppo, dovrebbero essere 30 secondi e poi via, si dovrebbe lasciare tutto ai social. Che poi avendo i pezzi di quattro minuti, uno li divide in due e ha già belli pronti due pezzi da mandare in radio».

Idee chiare, nonostante la faccia tosta di annunciare una fine e ricomparire poi, con poca coerenza e quasi uno stridio rispetto alla forza impetuosa a cui ci avevano abituati. «Anche le cose che abbiamo in mente ora sembrano le solite battute – provano a redimersi – ma forse, invece, si avverano. Tipo, io vorrei fare insieme il rapper, lo youtuber e l’influencer prendendo l’esempio da padre, figlio e spirito santo, perché nel ventunesimo secolo se non fai quelle cose lì sei out».

E la musica? Gli Elio si sono resi conto che forse non va più tanto di moda: salire sul palco, cantare brani anche complessi, armonicamente, strutturalmente, melodicamente, tentando di essere intonati, pare una cosa molto out per il momento storico. «Ecco perché al 30 giugno termina tutto – si giustificano, un po’ stanchi, un po’ stufi – chi vuole assistere ancora per un’ultima volta all’esibizione di una band italiana che suona bene, ha tempo solo fino a quel termine. Dopodichè abbiamo tantissime idee su come fare il perfetto Festival del ventunesimo secolo: secondo noi bisognerebbe farne uno senza canzoni, tanto parlano già solo i presentatori, i contestatori, e poi alla fine ci sono quelli che cantano. Se invece eliminiamo i cantanti guadagniamo circa un’ora e trenta, e da quattro ore di spettacolo lunghissimo e noioso diventa uno show velocissimo di due ore e mezza che fa ascolti altro che al 52, ma all’80!».

“Una carriera artistica dolcemente stitica, ma elogiata dalla critica”: ed eccoci qui, al punto in fondo al paragrafo. Ma davvero, ma proprio così? Forse hanno ragione a dire che il pezzo che portano a Sanremo è drammatico, e non fa per niente ridere. «Siamo il primo e unico caso al mondo di gruppo sciolto che si esibisce insieme – ci tengono a sottolineare – Arrivedorci è come il saluto di Stanlio e Onlio, non riesce mai, ma alla fine eccoli che partono». La partenza è imminente: dopo la fine di Sanremo ci sarà un tour di addio: «avevamo organizzato tutto con il concerto di addio a Milano – spiegano – ma erano tantissimi quelli che volevano essere salutati bene, per cui per accontentare tutti a grande richiesta abbiamo pensato di estendere quella data in altre località per consentire a tutti di venirci a vedere. Il nostro R.I.P. è stato interpretato male, era un ritorniamo in primavera».

Un brano sanremese, e un disco per un Arrivedorci che gli Elio vogliono far suonare come testamento autobiografico, ma poi eccoli, di nuovo a sorprendere e a lasciare la sala stampa col punto interrogativo sull’esito di questa operazione che, se anche voleva esser comica, forse ha più l’aspetto di un malinconico (per i fan) rigurgito e di un trastullo commerciale (per il management) riuscito sghembo: «Noi il 30 giugno smettiamo. Forse non faremo più niente per sempre, ma vi fa proprio così schifo se un giorno torniamo?».

Ai posteri…

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!