Oggi è il 10 novembre e scrivo di Alessandro D’Avenia e del suo nuovo libro Ogni storia è una storia d’amore. Non è una data casuale, in qualche modo me la sono voluta costruire, approfittando della recentissima uscita di questo nuovo testo, e di un fatto che mi ricorda il calendario. Il 10 novembre 2016 è stato infatti il giorno in cui ho passato più di quattro ore in coda, ferma e al gelo fuori dalla Libreria Mondadori di Torino con L’arte di essere fragili in mano aspettando, in mezzo a un popolo di lettori – la maggior parte ragazzi ma anche trentenni come me e persone ben più grandi – di poter vedere Alessandro D’Avenia, parlargli, farmi firmare il libro. Ma in fondo, la cosa che più mi premeva, e per la quale ho accettato questa specie di cosa assurda, che nemmeno ero preparata ad affrontare (“un’oretta e sono a casa”), era dire un grazie, scambiare uno sguardo che fosse capace di contenere tutta la potenza, la meravigliosa carica, e l’importanza, davvero concreta, grande, vera, che le parole di quel testo avevano scatenato.

De L’arte di essere fragili avrei voluto parlare su questo spazio, che era in formazione. Ma non ci riuscii: le cose vanno fatte a caldo. E a caldo invece quel giorno di attese (e di freddo! Strinsi la mano all’autore che mi disse, me lo ricordo bene “ma sei gelata!”) scrissi una lettera, una delle migliaia che D’Avenia immagino riceva ogni mese. Lo sapevo che sarebbe stata suo malgrado una lettera senza risposta, eppure fui contenta di consegnarla: significava traghettare parole dai miei pensieri a una persona che quelle cose le poteva capire, le aveva appena scritte, e non solo le capiva ma le sapeva, le sentiva, le conosceva, in qualche modo le giustificava, dando loro come una carezza, ricoprendole di umano e regalando così fiducia per il futuro. Ecco, sì, quel libro su Leopardi, che poi divenne best seller ma un anno fa era uscito da pochi giorni, è stato come un abbraccio fortissimo. Ci ho pianto tante lacrime, quelle belle, quelle di commozione per la bellezza e l’umanità che ogni pagina restituisce. Mi ha incantata, rincuorata, mi ha dato speranza, suggerito pensieri stupendi per l’amicizia, e coraggio. Così tanto coraggio che, tremante per l’emozione e il freddo, tornando a casa dopo la firma costata ore di coda ho preso il telefono e ho chiamato una persona importante la cui voce non sentivo da anni. Quello che ne è derivato dopo non è stato all’altezza, ma non importa: a me è rimasta nel cuore tantissima bellezza, tantissima stupenda fragilità umana.

Lo so, lo so, il cappello è lungo e fuorviante ma, se siete frequentatori di questi pixel, sapete che mi piace raccontare le storie di come arrivo a leggere i libri. Questa storia era importante, perché è la giustificazione grande che mi ha portato a incuriosirmi per il nuovo libro di D’Avenia, e perché senza Leopardi la lettura non sarebbe stata la stessa, e nemmeno lo smisurato senso di bellezza, e la commozione nel suo senso più grande, profondo. Anche Ogni storia è una storia d’amore è infatti un testo ibrido, una sorta di grande lezione offerta da un prof innamorato ai lettori, perché io credo che Alessandro D’Avenia sia esattamente questo: un professore innamorato della vita, dell’uomo, della letteratura e naturalmente dei suoi ragazzi e del suo mestiere, e questa è la sua grandissima molla. Non è un romanzo, nemmeno un saggio: è una ricerca, e ho l’impressione si tratti di una ricerca a cui l’autore ha pensato tanto, frutto di anni di studi e di osservazione della vita. Alle soglie dei 40 anni, D’Avenia ha sentito l’esigenza di scriverne, e si è interrogato per l’ennesima volta su cosa è l’amore. Ambizioso, sì, ma ne vale la pena, vedrete.

Partiamo subito dalle cose facili: la forma del testo. In questo libro c’è un’introduzione con dedica alla mamma, ci sarà una conclusione con bellissima dedica al lettore, in mezzo 36 racconti di amori che hanno coinvolto altrettante donne di artisti, poeti e scrittori, intervallate tre a tre da pause. Nelle pause viene riportato ogni volta un pezzettino del mito di Orfeo ed Euridice così come lo narra Ovidio nelle Metamorfosi, con tanto di testo in latino, sotto. A questo frammento segue una riflessione dell’io che scrive, ed è qui che risiede il succo del testo, secondo me.

Primo passo: le storie, storie d’amore attraverso cui cercare di risalire alla cornice che tiene insieme tutto, al filo narrativo che dà senso a ognuna di queste storie d’amore, cercando di spiegare cosa sia – o cosa auspichiamo potrebbe essere – ogni storia – appunto – d’amore. Ci sono tanti nomi noti della letteratura, dell’arte: c’è Pavese, Fitzgerald, John Keats, Raymond Carver, Modigliani, Tolkien, Hitchcock…, e ci sono le loro donne, amate, muse, compagne, sorelle e sostegni. Insomma, ci sono le storie degli amori che si sono intrecciate alle vite di questi grandi artisti, visitati spesso dalla Musa, la donna che ha spodestato le altre, unica divinità capace come in ogni triangolo amoroso di causare malumori e disperazioni. E dunque storie d’amore, come tutte: lotte, disamori, rassegnazioni, sopportazioni, doni, dolore, fragilità e meraviglie, miracoli e forze, una dialettica costante tra amore e disamore che si esprime in queste vite, dal punto di vista femminile perché la donna è il grembo, la contraddizione di una nascita miracolosa da un corpo mortale.

Ecco perché D’Avenia ce le racconta: per dipingere uno scenario, e per farci conoscere l’amore e il suo opposto, il disamore. La storia d’amore per eccellenza, selezionata dall’autore per fare da guida lungo questa esplorazione è quella tra un altro artista – Orfeo, cantore –  e la sua Euridice.  È un mito, e come tale viene selezionato per la capacità simbolica potente di raccontare il mondo, narrativizzando un grande interrogativo umano.

noi siamo e diventiamo le storie che sappiamo ricordare e raccontare a noi stessi

Nel mito di Orfeo ed Euridice c’è il paradosso d’amore che, secondo D’Avenia, è alla base di ogni storia d’amore: nella nostra incessante ricerca di felicità a cui tuttavia non sappiamo mai trovare una risposta, scoprendoci ogni volta fragili, possiamo incontrare l’amore, e capire che può salvarci, riscattandoci dal nostro destino di esseri mortali quando ci doniamo all’altro, correndo il rischio di uscire da noi stessi per un po’. L’amore innesca una storia: un senso e, inevitabilmente, per etimologia, anche una direzione. Orfeo perde la sua amata durante le nozze, vive il dolore più grande, e scende addirittura negli inferi per ritrovarla, sbagliando e cedendo alla tentazione superficiale di voltarsi per vederla. Così facendo la perde ancora, e se ne dispera, restando immobile e sprofondato nell’amore per lei e lei sola. Sarà ucciso: l’invidia per un amore così grande è cieca, ma sarà così che l’amore tra Orfeo ed Euridice arriverà al suo apice, nell’incontro tra i due, in uno spazio altro, un tempo altro che è quello della relazione.

D’Avenia pesca a piene mani dalla letteratura classica, dal mito greco e dalla stessa lingua che così tante meraviglie schiude ancora oggi, rivelandosi tra una parola e l’altra del nostro italiano. Ma non solo: per approfondire meglio la sua teoria dell’amore, si cala anche nel fantastico mondo dantesco, da cui prende a prestito tre termini inesistenti nel lessico, ma così belli e grandiosi da forzare le regole del dizionario ed entrarci, con tutta la potenza del Poeta. I verbi sono questi: intuarsi, cioè entrare in un altro, in un tu che si relaziona a un io; infuturarsi, cioè fare ingresso, in due, nel rischio di un futuro insieme; infine insemprarsi, svincolarsi cioè dal tempo orizzontale e inoltrarsi nella verticalità che può sfidare la morte e la paura che ne abbiamo, la nostra stessa ferita di fragilità. Gli innamorati sono questo: abitano insieme lo spazio dell’amore, e il suo tempo speciale. Tutti i verbi iniziano per in: indicano dinamismo, movimento, insomma storia, l’ingresso in un’avventura, l’apertura di una novità e una pagina bianca ancora da scrivere, muovendo passi nel vuoto, con tutto il rischio che ne deriva, ma sempre mossi dal desiderio. De-siderium: l’uomo guarda in su, verso le stelle.

Nessuno di noi può diventare protagonista se non in rapporto a un tu che lo stana. Il tu capace di stanare sempre e comunque l’uomo è la bellezza, l’avamposto di cui si serve l’amore per chiamarci, la seduzione dell’avventura, la promessa di una pienezza di cui lo stupore iniziale è solo l’idea rispetto all’opera compiuta, il ponte levatoio che ci immette nelle mura del castello interiore pieno di nemici, che non sono altro che gli ostacoli della nostra piena maturazione e felicità: la nostra salvezza. Nessuno si innamora se non attraverso la bellezza

Ogni storia è in fondo una storia d’amore perché non possiamo pensarci se non immersi in una trama (ci avete fatto caso? La trama del tessuto e quella di un racconto), in un percorso che dà vita a un senso, e dunque a una storia. Se pensiamo alle basi della teoria proppiana della narrazione ci rendiamo conto che è così: il movimento dell’eroe scatta da una mancanza, per rimediare alla quale il nostro affronta pericoli e ostacoli, giungendo a una dimensione di sanzione che lo conferma come un altro rispetto a colui che era partito. Questa è l’essenza della storia d’amore: la ricerca, il movimento, il rischio e l’insemprarsi, la nuova dimensione raggiunta. Ci vuole forza, ci vuole coraggio a uscire da sé per raggiungere l’altro, accettandone i limiti e provando il brivido dell’ignoto. Ma poi, dice l’autore, ci si accorgerà di avere finalmente i mezzi per competere con la nostra ferita, quella dell’essere mortali.

L’amore vero ci fa abitare la terra e il mare, perché richiede sofferenza, dolore, uscita da sé attraverso l’altro e conoscenza di sé attraverso l’altro. Noi siamo territori di frontiera, come le spiagge, cerniere tra terra e mare. Non sappiamo mai dove collocarci. Come anfibi, impariamo a uscire dal mare per inoltrarci nel territorio della morte. Solo l’Amore ci trae fuori dalla placenta comoda della vita, permettendoci l’esplorazione della nostra paura più grande, grazie a un altro

Amando Euridice, Orfeo passa attraverso l’esperienza della morte: cosa significa? Che la vita stessa è una storia, una storia attivata dall’amore, la molla che spinge a mettere a rischio, a sbilanciarsi sull’abisso di quello che non si conosce scommettendo tutto per trovare la felicità. La vita, attraverso la morte delle proprie certezze. E una partenza, che si avvia nella definizione di un io rispetto a un tu, cioè dentro una relazione. Lo dice anche la teoria semiotica e linguistica: solo in questa relazione l’io e il tu si definiscono, tenendosi insieme, nessuno sarebbe senza l’altro. In tutto questo libro, come un vero filo rosso nel labirinto della vita, del mito e del testo, si susseguono trame parallele, percorsi, quello dell’amore e quello del meccanismo narrativo. La meraviglia è che alla fine si scoprirà che le due tracce si incontrano, anzi, no, sono proprio la stessa, una grande narrazione d’amore che scaturisce dall’uomo in quanto essere mortale. Un uomo che, per tornare al de-siderium, ha un volto e non un muso perché può alzare lo sguardo e fissare il cielo, cercando un destino tra quei puntini luminosi, una meta, tracciando un arco per una storia. È tempo di partire, alla ricerca di un tu dove specchiare quell’io con il naso all’insù.

La bellezza deflagrante di questo libro è proprio il filo. D’Avenia trova con la forza del suo innamoramento le parole, i toni e i modi per scendere giù in quella ferita imprescindibile che tutti abbiamo, e che punge, piena di paura, dubbi, fragilità. In questa cristalleria delicatissima lo scrittore scende, dritto all’essenziale, ne fa materia di mito, di storia, e lo analizza, intesse intorno altre storie e riflessioni attingendo al nocciolo del pensiero occidentale, ai dubbi che da secoli hanno arrovellato la mente umana, ai simboli che da quando siamo sul pianeta ci servono per spiegarci il mondo, la vita, noi stessi. È da questo nucleo così denso, così pieno di vita che ribolle, che scaturisce la meraviglia delle parole di D’Avenia: ci tocca dentro, in profondo, è uno di noi e lo sa, lo ha provato e allo stesso modo in cui combattiamo noi l’ha fatto anche lui, dandosi risposte – provando a farlo – con la letteratura.

Il risultato è pura bellezza, puro scavo, pura umanità condensata in righe e pensieri e parole e incoraggiamenti che da tutto questo discendono, a illuminare percorsi, a spianare strade o più semplicemente a regalare una voce sorella, compagna fedele durante un cammino che, lo sappiamo, semplice non sarà. La scrittura di D’Avenia con-sola, per dirla con quei giochi, che tali non sono, che ripescando le etimologie delle parole ne rinnovano il significato autentico, e che l’autore utilizza spesso per richiamarci all’essenziale, per suggerire all’attenzione di concentrarsi sugli strati che sostengono le parole, non sulla loro flebile superficialità che sfugge all’occhio e alla mente, e che tendiamo per questo a banalizzare.

Con D’Avenia si scende dritti dritti al cuore, al mistero, all’essenziale. Si entra in una storia, ci si confronta con un io diventato tu, e forse si ritrova il filo perduto di un cammino pieno di rocchetti da riordinare grazie alla mappa contenuta in un libro come questo. Quale parola definisce il contrario di cinismo? Forse proprio amore, quello che salva, quello che non smette di trapelare dallo sguardo e dalle parole di questo scrittore, che è innanzitutto un uomo di un carisma sconfinato. Lo si intuisce a pelle, dalla voce, dallo sguardo, dalle idee che smuovno i visionari libri a cui dà vita. E poi lo si vede ai firmacopie: ore e ore di code mansuete, centiania di persone, che una per una una entrano con il proprio libro, sorriso, emozione e che vengono accolte con un sorriso, delle parole dedicate, delle domande che si interessano, delle chiacchiere che illuminano e fanno capire che, al di là del fenomeno letterario e del marketing editoriale, dietro quella firma in copertina c’è una persona che guardando le stelle ha deciso di tesserne la bellezza sulla pagina.

Grazie a te, lettore, che hai voluto tenere un capo del filo del racconto e ti sei lasciato guidare fino a qui arrotolando il gomitolo che io mi sono lasciato alle spalle. Il filo che unisce uno scrittore e un lettore è un legame forte: dove lo scrittore finisce la sua ricerca comincia quella del lettore, quello che per chi scrive è un punto di arrivo, per chi legge è un punto di partenza. La meraviglia è l’inizio e la fine di un libro, in vite diverse. Spero di averti concesso qualche ora di pura gioia, di tempo verticale, di incanto dei sensi, di rinnovata ricerca del senso. Siamo nella trama della vita, insieme, per questo motivo.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!