Spesso inizio a parlarvi dei libri che ho letto spiegandovi come sono arrivata farmi attirare da quel titolo e, infine,a leggerlo. Tutti, in fondo, entriamo in libreria con intenzioni pacifiche e “facciamo danno” uscendo con pile di libri di cui all’improvviso sentiamo di non poter fare a meno. Se c’è un perché, è anche grazie al lavoro degli editori su titoli e copertine. In questo caso, chapeau a Minimux Fax, che con questo titolo ha fatto tombola attirandomi come ape sul fiore. Pronto soccorso per scrittori esordienti, Jack London. Chi, in fondo, tra coloro che hanno ambizioni scribacchine, non sarebbe incuriosito da un prontuario del mestiere che si presenta sotto l’allettante promessa di una miniclinica su carta, un pronto soccorso per le emergenze e i dubbi, insomma un rimedio in formato libro agli ostacoli della carriera dei futuri scrittori? E poi è firmato Jack London! Quello delle avventure nella neve, lui, quello che lo abbiamo letto da bambini e magari, come è successo a me, dalle edizioni ingiallite e rifasciate in carta opaca dei genitori: già il supporto sapevo di saga, di narrazione epica. London è uno dei “classici”: se promette un pronto soccorso lui, ci si può fidare.

E infatti l’agevole libretto, che è introdotto da uno scritto di Giordano Meacci capace di aprire spiragli ma di non svelare troppo del contenuto, si legge proprio bene. E non è solo questo, è che dopo averlo letto, e proprio mentre lo si legge, il libro fa già effetto. Come un farmaco magico, di quelli che ne senti ancora il gusto in bocca ma già stanno agendo sul mal di testa. Potentissimo. Che si tratti di principi attivi o di placebo, poco importa: questo libricino dice il tempo in cui è stato scritto e al contempo ci passa sopra come un cancellino sulla lavagna, resettando le marche ottocentesche e restitutendoci limpidissima la trafila di inceppamenti e problematiche tanto cara e tanto nota agli scrittori di cui sopra. E il bello è che London non si fa problemi: spara colpi, tira sberle, prende per il bavero e ti dice la verità in faccia, via ogni ipocrisia.

Ma insomma, cos’è a conti fatti questo pronto soccorso? Una miscellanea di scritti, sapientemente radunati sotto al cappello del titolo (un articolo omonimo di London) perché tutti – si tratti di lettere, richieste di recensioni di manoscritti, scritti di saggistica – riflettono sul tema della scrittura. Se ognuno di questi scritti è differente per destinatario, data e circostanze in cui è stato prodotto, c’è tuttavia un doppio filo comune. Il primo è naturalmente quello tematico: si parla di scrittura, in un esempio molto pratico e talvolta tecnico di “metascrittura” dove la scrittura dello scrittore parla del suo stesso farsi (perdonate la ridondanza). Il secondo è più sottile, e riguarda la biografia di London della quale, personalmente, nulla sapevo prima di leggere questo libro. Ignoravo London avesse avuto trascorsi economicamente difficili ma fosse tenacemente rimasto affezionato all’idea di fare lo scrittore, a costo di sacrifici enormi e di piccoli gesti di follia come rifiutare un posto sicuro in un periodo in cui nemmeno poteva permettersi di fare la spesa, per inseguire il sogno, anzi, l’obiettivo sempre molto concreto, della scrittura. La storia dei suoi ostacoli e del suo attaccamento alla scrittura è ripercorsa attraverso gli scritti: alcuni riprendono aspetti prima approfonditi, altri li estendono, fino ad avere, alla fine della raccolta, un’idea abbastanza solida di quanto l’impegno e la passione per la scrittura abbiano avuto un ruolo centrale nella vita di London, e nei suoi romanzi. Ecco perché il pronto soccorso si chiude con un pezzo che non è saggistica, ma narrativa: è la penna di London, al lavoro – un lavoro molto molto autobuografico, come si capirà – su Martin Eden, che l’editore ha piazzato in chiusura come a dirci “guarda che non erano parole campate per aria quelle dell’autore! Leggi, renditi conto di cosa lui è stato in grado di fare! Ti puoi fidare: se senti di essere fatto per la scrittura, dagli retta”.

Sottolineo l’aspetto della concretezza perché il primo a farlo è proprio London, che spazza via senza pietà nuvolette e ambizioni deboli. Scrivere è fatica, impegno, sudore, ma anche tecnica, applicazione. Solo così possono prendere forma profili solidi di scrittori. Insomma, un saldo principio: lavorare, impegnarsi con costanza e dedizione assolute. Che tuttavia non bastano, ci ricorda London: serve avere cose da raccontare, e fare attenzione che, per soddisfare le naturali esigenze del nostro portafoglio e del nostro stomaco, soprattutto, queste cose coincidano con il reale interesse degli editori. Mica ingenuo, il nostro “classico”!

“E allora tu, giovane scrittore, hai qualcosa da dire, o credi soltanto di avere qualcosa da dire? Se ce l’hai, nulla potrà impedirti di dirlo. Se sei in grado di pensare cose che al mondo piacerebbe sentire, la forma stessa del pensiero già ne è l’espressione. Se pensi con chiarezza, scriverai con chiarezza; se i tuoi pensieri sono meritevoli, altrettanto meritevole sarà la tua scrittura. Ma se il tuo modo di esprimerti è scadente, è perché i tuoi pensieri sono scadenti; se è limitato, è perché tu sei limitato. Se hai le idee confuse e ingarbugliate, come puoi aspettarti di esprimerle con lucidità?”.

Sì, i toni sono un po’ forti, ma non è in fondo tutto meravigliosamente vero? E quante volte noi stessi, in veste di studenti, genitori, insegnanti (soprattutto, insegnanti!) ci rendiamo conto della confusione nelle idee dal pasticcio di scrittura che ci troviamo a leggere? Vale se leggiamo cose altrui, ma vale anche se, con sforzo maggiore, ci distacchiamo dalla nostra scrittura e proviamo a capire cosa volevamo dire, dove volevamo arrivare. London ci invita “solo” a un po’ di concentrazione. E poi spinge sulla leva dell’impegno: “devi studiare – dice – devi toccare con mano il pulsare più profondo delle cose“. Non basta fare i secchioni, è questo quello che tra le righe cogliamo, c’è bisogno di quella che lui definisce “filosofia operativa”, ovvero una sorta di sguardo sul mondo (attingo a piene mani, per questa espressione, dal Palomar di Italo Calvino), un’impronta personale, un punto di vista. Altrimenti realizzato in forma di scrittura: la voce dell’autore.

Meacci ci avvisa: quello che ci invita a fare London è l’insegnamento di Yoda  a Luke Skywalker, cioè non provare, ma fare, “compiere l’impossibile” e “ripetere l’impresa di continuo”, perché “nessuno è mai diventato un grande senza realizzare l’impossibile“. A questo punto è legittimo che il vostro sconforto sia alle stelle: ma cosa vuole da me questo London? Perché io pensavo di sedermi al pc, aprire il file word e scrivere investito dalla sacra ispirazione, e invece questo qui, che è pure un luminare e ha fatto la storia della letteratura, mi dice che ci va di più, che mi devo sforzare? Perché è vero, cavolo! Chi legge tanto, come me, lo coglie: le voci lavorate, sostenute da impegno (e senza dubbio anche da talento) si sentono, si percepiscono, così come si individuano dopo poche pagine le storie e le narrazioni deboli. “Leggi il meglio, e soltanto il meglio – dice London – non finire un racconto solo perché lo hai cominciato” (come non pensare ai diritti del lettore di Pennac?).

Al di là dei pensieri sulla scrittura, London ha benissimo in mente tutto quanto ciò che fare narrativa implica. Volendo riassumere, e affrontato il lato della scrittura stessa, abbiamo il lettore e l’editore, i due soggetti a cui chi scrive deve sempre pensare. Guai a meccanismi letterari che “cigolano”, per esempio: il lettore lo sentirebbe, è un errore da evitare. E attenzione anche a quello che si pubblica, che gli editori selezionano: sarebbe inutile e improduttivo sottoporre altri lavori.

Sucita forte empatia l’attenzione insistita dell’autore per i paradossi del mondo editoriale, che personalmente trovo di un’attualità lampante. London si chiede: come posso approdare, io scrittore alle prime armi, sulle riviste, se non ho fama nè referenze e dunque il direttore editoriale tenderà a scartarmi preferendo chi già ha un nome noto? Ottima domanda, la risposta però è vacillante. Lavorare, non mollare, perfezionare, insistere. Ma solo se si ha la coscienza di aver fatto un ottimo lavoro. Pubblicare però, è la meta che gli scrittori dovrebbero sempre tenere bene a mente: non tanto per gloria o vanità quanto, banalmente e concretamente, per soldi. Scrivere è un lavoro e come tale – London sarebbe stato forse deriso ai nostri giorni – va retribuito: l’idea che le professioni editoriali/creative possano essere sottostimate non è contemplata. Ma il  fatto che le retribuzioni siano (fossero) spesso misere, quello London lo sa eccome, e lo sottolinea dando un’iniezione di realismo e accendendo il riflettore sulla natura commerciale del mestiere. Bisogna pur mangiare, del resto.

Dunque, per concludere, a noi/voi che sogniamo di scrivere e portare a termine progetti letterari, un piccolo memorandum dalle citazioni di questo libro che scorre bene e che si è rivelato un ottimo sprone per fare, scrivere:

“Il tempo! Se non sei capace di trovare il tempo, stai sicuro che il mondo non troverà il tempo di ascoltarti”.

“Studiare i trucchi degli scrittori arrivati. Loro sono riusciti a padroneggiare gli stessi strumenti con cui voi vi ammaccate ancora le dita. Loro realizzano opere che recano all’interno le tracce di come sono state realizzate, Non aspettate che qualche buon samaritano venga a indicarvele; scovatele da voi”.

“Tenete un quaderno di appunti. Tenetelo con voi mentre viaggiate, mentre mangiate, mentre dormite. Sbatteteci dentro ogni pensiero vagabondo che vi svolazza nel cervello. La carta da due soldi si deteriora meno della materia grigia, e i segni di matita durano più a lungo della memoria”.

“E poi lavorate. Scrivetelo in tutte maiuscole: lavorate. Lavorate in continuazione. Imparate a conoscere questo mondo, questo universo; questa energia e questa materia, e lo spirito che attraversando l’energia e la materia traluce dal magnete alla Divinità. E con tutto questo voglio dire lavoro come filosofia di vita”.

“C’è un solo modo di cominciare una carriera, ed è quello di cominciarla; e cominciarla con il duro lavoro e la pazienza, preparati a tutte le delusioni che ha incontrato Martin Eden prima di riuscire”.

 

 

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!