Può accadere: leggi un libro e non ti piace. Da quando ho inaugurato questo sito, cioè in modo sistematico da gennaio 2017, questo è il primo libro che mi delude. Si tratta di Gattoterapia, di Giorgio Pirazzini. Ci ho riflettuto, ma ho pensato che sia giusto parlare anche di ciò che non mi è piaciuto: è un allenamento per me e una prova per il lettore. Dunque accetto la sfida rappresentata dal parlare di un libro che non mi ha colpita positivamente e provo a spiegarvi perché non mi ha convinta, senza scadere in atteggiamenti spocchiosi e tentando invece davvero di entrare nei meccanismi del testo e capire cosa non ha funzionato.

Prima di tutto, il motivo della scelta. Banalmente – ma tanto gli editori lo sanno che si tratta dei primi e più potenti ganci – la copertina e il titolo. Amo i gatti e amo l’azzurro: potevo non essere attratta da un curioso Gattoterapia con faccione di un bel micio su sfondo azzurro intenso? Certo che no. La trama in quarta di copertina l’ho letta eh, ma lasciatemi dire che, secondo me, era un paratesto che sì, raccontava per sommi capi il contenuto, senza però ovviamente approfondire troppo e per questo, forse, ingannando un po’. Credevo ci avrei trovato la storia di una coppia in crisi e di un lui che, attraverso una curiosa “terapia”, cresce e capisce come riprendere in mano la propria vita, personale e di coppia. È su questo approfondimento, solo mio, che si è aperto il bivio tra la quarta di copertina e la storia che c’è dentro al libro. E resta questo l’incastro strano che non mi ha convinta.

La storia. Lorenzo e Claudia sono una giovane coppia di pubblicitari, sposati da poco, vivono e lavorano a Londra. Tra loro le cose sembrano funzionare, senonché si allarga nel corso del tempo la forbice che divide caratterialmente Lorenzo, meno ambizioso e brillante sul lavoro, amante delle piccole cose, come la cucina e la lettura, e Claudia, molto orgogliosa, efficiente e votata alla carriera. Ci sono fastidi, tensioni, ma la coppia scoppia quando Lorenzo perde il lavoro e scopre che Claudia ha un amante. A quel punto accadono varie cose, tra cui lo sprofondamento di Lorenzo in una specie di limbo dove, senza amore e senza lavoro, si lascia trasportare dalla corrente. La corrente in questo caso è uno strano club privato dove la gente – e si scoprirà dopo, piano piano, che tipo di gente – si veste da gatto e passa del tempo comportandomi come i gatti: fusa, lotte, inseguimento di gomitoli ecc. Poi, all’improvviso, mentre la personalità insicura e debole di Lorenzo si forma su una sorta di nuova ispirazione, che è quella cinica ed egoistica della vita da gatti (leggi: non voglio legami emotivi con gli altri, devo vivere e fare le cose per il mio piacere personale e altre pillole di vita pseudogattosa vissuta), dopo aver fatto carriera inventandosi un lavoro e dopo aver vinto anche premi, Claudia scopre di avere un grave problema di salute. All’inizio Lorenzo è distaccato e cinico. Una sera, senza ben sapere come né perché, va a prenderla a casa dell’amante e la riporta con sé. La coppia si riaccoppia, mentre il mistero del club gattoso si scioglie con un finale sensazionalistico che, per me, suggella l’atmosfera strana e affatto realistica della storia.

Cosa c’è che non funziona? Due cose, fondamentalmente, secondo me. Una è la trama che ha a che fare con il club dei gatti. Chi sono costoro? Come fa Matt, il migliore amico di Lorenzo, a esserci finito dentro? Perché ci porta dentro Lorenzo? Al club gattoso non solo ci si comporta in modo bizzarro, mettendosi calzamaglie e facendo le fusa. Questa sarebbe una trovata romanzesca anche carina, se solo fosse approfondita. Invece resta sospesa, mentre intorno a questa specie di associazione monta un alone di mistero e segretezza, qualcosa di soffocante, che ha a che fare con un suicidio, con l’ascendente di alcuni personaggi importanti che tessono le trame dei nuovi arrivati, che tentano di insidiarsi nelle loro vite. Insomma, è un’atmosfera un po’ da noir, un po’ da giallo, che se coltivata poteva anche dare i suoi frutti. Infilarla senza approfondimenti, ma con un finale che, vi assicuro, è spropositatamente tragico per come è stata condotta la narrazione prima, in una storia che riguarda una maturazione e una coppia, a mio avviso non paga, anzi. Toglie credibilità, toglie un orizzonte – reale o fittizio non importa, è un romanzo – entro il quale incastrare i fatti. Non si sa più su che registro collocare tutto. Al lettore resta qualcosa di impalpabile, non afferra, non capisce fino in fondo. Forse sarà il lettore, beninteso: forse il libro vuole davvero creare questa atmosfera strana, a tratti misteriosa, a tratti sballata, dove si muove un personaggio palesemente romanzesco, che fa cose assurde, incluso parlare con un gatto che gli risponde con voce umana, e cucinare piatti complessi e costosi da appassionato di cucina qual è… Mentre però è disoccupato. Il gatto gli parla: è impazzito? Sente le voci? È solo drogato? È una forma di coscienza cinica sotto forma di gatto, che deve tenere a bada? Non lo sapremo mai. Eppure il romanzo è narrato in prima persona, supporremmo ragionevolmente che la voce di Lorenzo ci racconti quello che sente e prova, onnisciente. Ma no: la profondità non la vediamo mai, c’è troppo condimento sarcastico e cinico.

Lo stesso stridio, la sensazione che qualche ingranaggio narrativo non funzioni e che qualche passaggio psicologico si sia perso per strada, me l’ha dato il racconto iniziale, piuttosto lungo, di un episodio del passato della coppia che, se serve a far capire cosa non funziona tra Lorenzo e Claudia, resta però irrisolto. C’è una differenza di caratteri che avrà conseguenze, come una macchia sotterranea che minaccia il rapporto tra i due, e che al contempo ne costituisce l’ossatura, ma il tema non viene sviluppato: le cose accadono.

Allo stesso modo la “redenzione” di Lorenzo sembra del tutto casuale e avviene un giorno, all’improvviso, anzi una sera. Piccolo flash back: Lorenzo perde il lavoro e non riesce a trovarne uno nuovo. Pare si impegni, ma forse non ci mette quel pizzico di creatività e ambizione che servirebbero a farlo notare e distinguerlo dalla massa. C’è forse qualcosa di meno attuale? Direi di no. Ma quando non trovare lavoro e vedere tua moglie che invece fa carriera, a Londra per giunta, ti schiaccia sul divano di casa e ti porta ironicamente a pensare di poter scrivere un romanzo, come un Baudelaire “disadattato”, forse tanto male non stai messo. Sì, è vero, lo ripeto ancora, è un romanzo e tutto è lecito e permesso, anche in ragione del fatto che quel che segue, con una società segreta di gente che si atteggia a fare come i gatti e misteriosi fatti successivi, è parecchio distante dalla realtà.

Resta però che Lorenzo è come inerte, schiacciato, arreso. Si ubriaca, legge, cucina. Ma non è davvero disposto a un cambiamento che possa reggere una nuova vita, una maturazione. Non elabora mai questo pensiero, eppure è lui che ci parla. Qui, secondo me, il romanzo perde tantissimo. L’evoluzione – se così si può chiamare, perché intuiamo ci sia ma non ci viene narrata – del personaggio lo lascia debole, non vediamo la maturazione, non la vediamo affatto.  C’è un cinismo che in coppia con una debolezza di carattere schiaccia Lorenzo e lo regredisce ad alcol e qualche incursione nel mondo degli allucinogeni (latte gattoso alla mescalina, che sarò sincera ho dovuto googlare perché ignoravo cosa fosse: beata innocenza, eh?!), ma non c’è una caduta, per quanto dolorosa, con successivo superamento dell’ostacolo e prove varie, e ottenimento di un nuovo stato. Insomma, il modello narrativo classico è stemperato.

Cosa succede dentro la coscienza di Lorenzo? Cos’è che lo stordisce dall’euforia solitaria e allucinata della sua vita “gattosa” e dissipata e, nel momento del problema grave – la malattia di Claudia – lo convince a superare tutto il male e tornare con lei? Silenzio. Eppure dal vestirsi da gatto, portarsi a letto tizie sconosciute recuperate in locali, al tornare con una ex moglie operata di tumore al seno e farci un figlio, ce ne passa. Passi l’intento ironico e bizzarro di un romanzo che si intitola Gattoterapia, ma allora il perno, secondo me, sarebbe dovuto restare lì, nella leggerezza e nel voluto allontanamento dalla realtà. Probabilmente una storia misteriosa tra gatti, fornelli e sarcasmo sarebbe stata l’ideale. Ma non la caduta di una coppia, con successiva e quasi inspiegabile riappacificazione.

Altre due cose mi hanno suonato strano, e sono aspetti formali. Il primo riguarda la lingua: siamo a Londra, ci sono due italiani che evidentemente, per stare lì, parlano inglese. Il migliore amico di Lorenzo è inglese, tra loro si chiamano “mate”, compagni, e tutto il mondo intorno è naturalmente inglese. Non so, sarà una mia sensazione, ma qualcosa stride, come l’implicita accettazione del fatto che, per quanto siamo in un romanzo italiano con personaggi italiani, la lingua sia l’inglese, e a noi lettori arrivi solo il report in italiano di tutto ciò che avviene in lingua inglese. Il secondo aspetto è l’uso dei tempi verbali, che ogni tanto mi ha lasciata spaesata. Come ho già detto il romanzo è narrato in prima persona da Lorenzo, al presente: mi vesto, vado, faccio… Non ci sono salti di tempo, all’inizio la narrazione è al presente con i ricordi del passato che si aprono e di richiudono con regolarità. A un certo punto un capitolo inizia al passato ricollegandosi a un episodio con cui termina, al presente, il capitolo precedente. Non ho capito subito, ho girato pagina, dovevo capire. Poche righe per chiudere l’episodio e poi salto di riga e ritorno al presente narrativo. Non so, può darsi che sia io a non capire il fine di questo innesto temporale, ma tutt’ora, che lo sto rileggendo mentre ne scrivo, sento che mi suona male.

Ecco, inutile dire che provo già dell’imbarazzo nel pubblicare questo mio personalissimo parere che non è suggellato da una carriera come critica letteraria o che ne so, ed è solo il parere di un lettore, per quanto forte e onnivoro, sempre e solo lettore. Nel caso l’autore e/o l’editore dovessero capitare qui, io mi scuso, perché so che il lavoro per scrivere un libro e per editarlo è lungo, è appassionato e costa tempo e fatica. Mi fregio dunque solo del manifesto di Pennac sui diritti del lettore e affido con un po’ di ansia questo mio scritto alla rete sperando di non nuocere a nessuno.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!