Lo avevo acquistato anni fa in ebook perché era in supersconto. E, come tante cose, tra cui anche i libri, lo avevo dimenticato lì, con tanti buoni propositi addosso, tipo quello di leggerlo, ovviamente, ma anche di iniziare una personale scoperta dell’autore. Sì, perché di Ogni cosa è illuminata e di Safran Foer mi aveva parlato un’amica citandolo a proposito di libri che avevano a che fare con il Giorno della Memoria, dunque con la strage nazista di ebrei del secolo scorso: la storia riguardava un ebreo di oggi alla scoperta del passato della guerra. E poi perché mi era capitato di vedere a una serata di Libreforum (capirete forse di che si tratta: visioni di film tratti da libri) nella mia libreria di fiducia, Molto forte, incredibilmente vicino. Un film fortissimo, tratto proprio da un altro romanzo di Safran Foer, che mi aveva colpita molto, emozionata e mi era fondamentalmente piaciuto tanto da farmi dispiacere di non aver prima letto il libro.

Sono una “purista”, si può dire così? Prima il libro, e poi il film. Non per altro, ma l’universo che si crea nella testa del lettore pagina dopo pagina è una cosa totalmente personale, e ricchissima: il romanzo non ci fa mai vedere tutte le cose. Il linguaggio cinematografico funziona per immagini e quindi è costretto a mostrarci. Ecco quindi parzialmente sciupato l’effetto della letteratura: ci restano in mente volti, situazioni, scenografie che non noi ma qualcun altro ci ha costruito. Tutta questa premessa per dire che no: non ho visto il film tratto da Ogni cosa è illuminata, non ne ho nemmeno cercato immagini o informazioni.

Un giorno di gennaio mi sono svegliata e ho pensato che era giunto il momento di leggere il libro di Safran Foer, così, a secco, senza sapere nulla dell’autore. E l’impatto si è sentito, eccome se si è sentito! La prima pagina è stata di puro panico: ho scaricato un ebook sbagliato, è successo qualcosa nel file… ma che diamine sto leggendo? Ebbene, perseverare aiuta: mi sono costretta ad andare avanti e ho scoperto che quel linguaggio così strano non era che l’inglese – ovviamente italiano nella traduzione – di uno dei protagonisti, Alex, la cui lingua madre è il russo (è ucraino) e che dunque si esprimeva in una lingua goffa, e con la fatica di chi non parla la propria lingua e ricercava parole, modi di dire e così via. Un lavoro immenso del traduttore italiano.

Altra difficoltà: le storie che si intrecciano. Ci sono almeno tre piani che lungo queste circa 400 pagine iniziano, si interrompono, si sovrappongono e si separano. Il primo è la narrazione di Alex, condotta attraverso le lettere a Jonathan Safran Foer (sì, l’autore si infila nel libro perché racconta una storia autobiografica), il secondo è la storia di quel che è accaduto quando l’autore – alias “l’eroe” come lo chiama Alex, o l’ebreo, come lo chiama il nonno – è arrivato in Ucraina per indagare le tracce di una ragazza che, pare, aveva aiutato suo nonno a fuggire dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. La terza storia va un sacco indietro nel tempo e ci racconta della famiglia di Jonathan, partendo dal 1700 ed evocando una strampalata ricostruzione genealogica che mescola surreale, umorismo yiddish e stranezze. Sono queste stranezze che mi hanno in parte destabilizzata. Ma ho tenacemente proseguito: dopo un po’ il “russeggiante” di Alex si assorbe come il siculo di Camilleri, e poi c’era davvero tanta carne al fuoco per non essere curiosi su come potesse finire.

Chiaramente, non ve lo svelerò. Anche perché ci ho messo un po’ a capirlo, una volta chiuso il libro ci ho dovuto pensare, ricollegare, ricostuire e ho sentito l’esigenza di leggere qualche parere in rete. Che il tono del romanzo sia surrale è confermato, non è solo una mia impressione. Non è insomma una narrazione classica come forse mi aspettavo, idea dalla quale tuttavia sono stata piacevolmente allontanata per scoprire una voce che, cavoli!, aveva davvero qualcosa di nuovo da dire, e un modo tutto suo per farlo!

Geniale l’uso del linguaggio di Alex, ma geniale anche non raccontare affatto i sentimenti dei personaggi, salvo farci arrivare a una nostra ipotesi mano a mano che l’intrigo si dipana e iniziamo a capire come vanno le cose. In fondo, è una storia on the road, perché è un viaggio, nella memoria storica e in quella dell’autore, che racconta del viaggio realmente fatto in Ucraina. A portarlo sulle tracce dell’antico villaggio del nonno sono Alex e suo nonno (sì, è una storia di nonni, ve ne sarete già resi conto da quanto li ho nominati), finto cieco che probabilmente è tale per qualche tic, nonché un cane – femmina – di nome Sammy David Davis Junior. Già la combriccola è piuttosto stramba e folle, se poi vi aggiungo che Alex lavora per l’agenzia viaggi del padre, specializzata nel condurre stranieri a zonzo per l’Ucraina a ripercorrere le memorie storiche, capirete che abbiamo a che fare con qualcosa di fuori dall’ordinario.

Più andavo avanti con il romanzo e più ho capito una cosa: non bisognava farsi domande, solo andare avanti e cercare di entrare nei sentimenti e nelle memorie nascoste dei personaggi. Tutti infatti ne hanno: Alex, il nonno, Jonathan, e anche suo nonno, che viene solo evocato nei racconti e non è un personaggio dell’oggi. Sullo sfondo di questi ritrovamenti di memorie, che per i due ragazzi diventano un inconfondibile percorso di crescita e maturazione, c’è l’orrore della guerra nazista. La violenza inaudita contro il popolo ebraico, le conseguenze nell’oggi di mali disumani consumati in una dimensione lontana nel tempo e nello spazio. Non solo Jonathan prende un volo dagli States per arrivare in Ucraina, ma una volta trovato il villaggio del nonno scopre che non esiste più, raso al suolo dai nazisti. Sublime, di una delicatezza che dovete leggere da voi, è il personaggio di Augustine, la donna che i tre cercano e che avrebbe salvato il nonno di Jonathan. Anche in questo caso siamo fuori dall’ordinario, da personaggi scolpiti a tutto tondo. C’è del surreale, ma è delicato e frutto di un male tale per cui rispettiamo i suoi silenzi, il suo dire e non dire.

Alla fine, come commentare questo romanzo? Con la contentenzza di averlo letto, comunque e nonostante le difficoltà che mi ha riservato, e i tanti dubbi. C’è qualcosa, dentro questa storia, che prende. La simpatia di Alex, la sua ingenuità così sincera che incanta e spinge a conoscerlo meglio, la tenacia dell’autore-protagonista, il mistero e il dolore del nonno. L’alchimia che si insedia tra questi tre personaggi così diversi e li fa marciare insieme, li fa funzionare nella loro scalcagnata macchina in giro, un po’ persi e un po’ affiatati, per le campagne ucraine.

Ora sono curiosa di leggere altre cose di Safran Foer per sondare come e se abbia riapplicato e rimodulato questo stile così particolare e indefinibile che ho tentato di sviscerare fino a qui. Le cose belle della lettura: le scoperte, le novità che dicono qualcosa!

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!