A volte il mio mestiere, quello di giornalista, riserva salite dure, schiaffi e offese che ti portano a pentirti di averlo scelto come strada per la vita. C’è però di buono che, altre volte, arrivano momenti speciali, veri privilegi, che mescolano insieme entusiasmo da bambini, prontezza, resistenza, professionalità. E anche persone speciali. Sono i momenti delle interviste, alcune delle quali si trasformano in occasioni di incontro e crescita. È stato così per la mia intervista a Fabio Geda, da poco uscito in libreria con il nuovo romanzo Einaudi Anime scalze. L’ho intervistato al telefono mentre guidava, io ero seduta alla scrivania e domandavo, e intercalavo le domande con commenti a caldo, da lettore che ha appena chiuso il libro e ne sorride ancora, e un po’ gli mancano le voci. Mi sono ricordata di Holden Caulfield, che vorrebbe tanto poter telefonare agli autori che gli piacciono per poter direttamente parlare con loro. Ecco, l’idea è stata questa. Ed è merito di un autore disponibile e gentile, e di una storia che non lascia indifferenti.

Una storia che, per chi conosce i primi libri di Geda, segue quel solco, quello delle storie di adolescenza, di crescita, di incontro nella relazione con gli altri e con un sé in divenire che parla sempre in prima persona e non si lascia sfuggire momenti intensi, ma anche buffi e ironici. Insomma, se dico adolescenza non pensate subito a contesti “per adolescenti”: no, Geda scrive per tutti, è il suo occhio che resta particolarmente affezionato all’adolescenza. La esplora, la considera, la mette alla prova con situazioni che la manipolano, la trasformano, allargandola o stringendola, in un incessante lavorio che però riesce sempre a essere dolce quanto forte.

In questo romanzo, Anime scalze, sembra di veder tornare a raccontare Emil, il protagonista di quello che fu il primo libro di Geda, Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani. Ercole, il quindicenne protagonista, è un altro Emil, un ragazzino questa volta italiano, cresciuto a borgo Cenisia, a Torino, in una famiglia spantegata dove la madre se ne è andata, il padre c’è ma è come se non ci fosse, e a far da genitore è solo la sorella maggiore, Asia. In questo contesto, arriva l’estate dove tutto esplode, quella che tante volte ricorre nell’adolescenza: l’estate che ti innamori, che le cose girano in un senso e tu quel senso lo segui e “sbam!”, accadono cose, talvolta più grandi di te, e tu ti trovi lì nel mezzo.

Ercole c’è proprio nel mezzo, insieme a un bimbo di 5 anni, Luca, quando il romanzo si apre. È asserragliato sul tetto di un capannone con il bimbo e un fucile in mano, la polizia intorno che gli intima di scendere. Com’è che siamo arrivati qui? Cosa ha generato questa situazione? Sarà pure un espediente narrativo scontato, un congegno romanzesco che aggancia e non molla, ma la curiosità di capire se quella voce che parla, quella del ragazzino, è davvero folle come sembrerebbe, e la voglia di conoscerne la storia per capire che ci fa lassù, diventa fortissima nel giro di tre pagine. Ecco, siete dentro la storia, la scrittura di Fabio Geda vi ha conquistato ancora.

La lettura si spinge avanti, insaziabile. Perché Ercole è in balia di una situazione più grande di lui, e soprattutto rimbalza tra genitori che fanno i ragazzini e ragazzini che, oltre a costituire il suo piccolo mondo – la sorella, Viola, la ragazza di cui si innamora -, si devono improvvisare grandi. Seppure quasi abbandonato ai propri problemi, grandi e piccini, Ercole ha un profilo nitido, definito, che ne fa un personaggio unico, perso nella dolcezza che gli manca, stupito del mondo e, alla sua maniera, risoluto in alcune scelte, naturalmente non ponderate ma agite sul momento, come quella di non avere un telefono cellulare, aspetto che lo rende diverso e, come ragiona lui, per certi versi apprezzabile.

“Ho pensato che grandi e piccoli si educano a vicenda, e che la curiosità è la cosa più importante del mondo” ragiona Ercole a un certo punto. Senza svelarvi nulla in più della trama, vi dirò che Ercole, a un certo punto, preso atto della mancanza di  figure genitoriali salde, scoprirà l’importanza e la bellezza delle relazioni di fratellanza: da un lato ha infatti la sorella maggiore Asia, una vice-mamma che tuttavia gli si pone sempre a fianco, dall’altro lui stesso è impegnato nell’incarico di fare da fratello maggiore, sviluppando sensazioni di protezione e incoraggiamento che lo spingono a diventare migliore. Una spinta che per forza di cose lo investe, rendendolo un ragazzino più ricco, più “spugna” emotiva di quanto non sia già, meravigliosamente.

Se questa è una storia di genitori e fratelli, come ha spiegato lo stesso autore, è però anche una storia di amore, un amore che salva, anche in mezzo al caos, anche se piovuto in relazioni pasticciate e incomplete. Bisogna crederci, ed essere così sicuri di averlo visto da saltare giù da un bus per non perderlo, quell’amore, come sa bene Ercole. E se i genitori non riescono a svolgere il compito per cui sono chiamati tali, si scoprirà la bellissima e salda presa dei fratelli, leggete qui:

“Tuo papà non è cattivo. I genitori non sono cattivi, noi ne sappiamo qualcosa. È che alle volte, niente, proprio non ce la fanno. E se i genitori non ce la fanno ci sono i fratelli. Noi possiamo farcela. È vero che possiamo farcela, Asia?”
“Non è così semplice…”
“Ma è necessario provarci. È l’unica speranza che abbiamo”

La speranza, l’amore e le relazioni trasportano Ercole in un percorso di crescita che lo allontana da quei mostri nei muri che temeva da piccolo e gli apre una nuova possibilità. Una possibilità che pagaia pacifica e serena sul Po, quel fiume che divide idealmente due metà della stessa città, quella ricca e benestante da cui arriva Viola, destinata a diventare la ragazza di Ercole, e quella dei borghi di pre-periferia, dove abita proprio lui. Torino è lo sfondo della storia: una Torino da tanti volti, che si attraversa in bus e dalla quale si può uscire per ritrovarsi nella serenità e nel silenzio della campagna.

Ammetto di non avervi voluto svelare molto della trama, e che, così scegliendo di fare, tutte queste parole possano risultare un po’ vane. Ma quella di Geda è una storia che merita di essere letta e che si farà leggere volentieri, ve ne accorgerete: è anche per questo, per non deludere le aspettative, che ho scelto di non fornire ulteriori dettagli sulla famosa estate che per Ercole cambierà tutto. Mi concedo però il lusso di evidenziare una cosa che sta proprio in fondo al romanzo. È il paragrafo conclusivo, ed è bellissimo. Riassume nell’immagine del fiume la risoluzione a cui arriva questa storia: l’importanza di una figura che si collochi al nostro fianco. Senza nulla pretendere da noi, solo stando lì, e chiedendo implicitamente di non essere assillata: c’è, bisogna fidarsi, bisogna sentirsi un po’ più sicuri per il fatto che è lì, cammina insieme a noi, la sentiamo e ci sente. Ed è fantastico così.

Vogavamo in silenzio. A Viola non piace parlare mentre voga e io comunque non avrei fiato per farlo. Andavamo in direzione di Moncalieri, per cui lo sguardo era a Torino che si allontanava, mentre noi, controcorrente, entravamo ogni vogata un po’ più dentro la nebbia. Sapevo di avere Viola alle spalle, le sentivo il fiato e intravedevo gli spruzzi del remo nell’acqua. E sapevo che non mi sarei dovuto voltare a cercarla. Procedevamo allo stesso ritmo, negli occhi la partenza, che quella la si conosce sempre, e nel respiro una quieta fiducia, come quella di certe anime scalze mentre risalgono i fiumi in cerca della sorgente

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!