Ho ripreso in mano questo sito e blog il 6 di gennaio, nel giorno dell’Epifania, dopo una notte passata a leggere Il pastore d’Islanda e con la sensazione che l’anno nuovo, appena iniziato, potesse portare novità nella mia vita e nella mia professione. A costo di lavorarci, e di lavorarci sodo. Tenere vivo, aggiornato e rendere costantemente interessante un sito non è cosa da poco. Richiede tempo, impegno, un po’ di studio e barili di forza d’animo, per non cadere scoraggiati. Ho accettato la sfida: anno nuovo, sito nuovo. E si parte.

Gennaio, adesso che lo guardo col senno di poi, è stato un mese di lenta ripartenza: degli impegni, della gestione del tempo, della nuova stagione in arrivo. Non è stato male: avvolta in quella che ho scoperto essere la winter blues ho accarezzato progetti per il futuro, ordinato carte vecchie, concrete e metaforiche, fatto pulizia e allestito scrivanie sgombre, pronte ad accogliere cose nuove, prospettive diverse.

I 30 anni hanno simbolicamente aiutato nelle scelte e nel ripensamento di questo spazio web: era giunto il momento di lanciarsi, di provarci, di mettere a frutto. Ma soprattutto, di fare. Inutile dire, pensare, sperare o sognare. Sì, è pur vero che quando si vive dentro una pentola a pressione, la bolla dei sogni è l’unico sfogo e, per quanto uno non possa materialmente agire per procurarsi quanto sperato, già solo anelarvi ha un effetto balsamico, rassicura. Ma una volta aperta la valvola della pentola, la pressione allenta la morsa ed è allora che quanto di sognato diventa concreto, distante magari, in cima a salite, ma raggiungibile. Quello – questo – è il momento di fare.

Dunque, con molte ore spese davanti allo schermo coccolata dal freddo intenso delle giornate di gennaio e dal buio, ho coltivato questo spazio. L’ho riordinato, riassestato, gli ho creato una pagina Facebook pulita e il più semplice possibile. L’ho pensato, progettato, scacciando via i tentennamenti, promettendomi di correggere il tiro a ogni curva sbagliata. L’ingranaggio ha iniziato a prendere vita, e così, mentre il laboratorio di gennaio correva al termine, il sito si concretizzava e anche io ripartivo.

La vera complice è stata una giornata, anzi un sabato pomeriggio. Accade spesso, praticamente ogni anno, che dopo i lunghi periodi casalinghi e fare i conti con i bilanci di fine e inizio anno, gennaio si stemperi in una voglia di ripartenza che respiro in mezzo alla natura, nella mia città. Quasi sempre in Liguria di Ponente gennaio chiude i suoi giorni non con il rigore che la tradizione attribuisce ai giorni detti “della merla”, ma con qualche sorprendente giornata di pre-primavera. E allora perché, un sabato pomeriggio di calma, non imbacuccarsi e, gambe in spalla, preferire al sentiero sul mare quello in salita, che va verso le colline, per scendere a patti con il mondo e tornare a farne attivamente parte?

La mia passeggiata mi ha così condotto da casa a Gorleri, un paesino a cui sono affezionata per motivi familiari. Un paesino che si trova sul cucuzzolo della collina che separa la città di Imperia da quella di Diano Marina. La strada che vi ci porta, passo dopo passo, e con sempre meno traffico di auto, è costeggiata da verde, in quantità crescente mano a mano che si sale. Giardini, alberi, cespugli. I kiwi, maturi, gli agrumi, pieni di frutti gialli e arancio, e le mimose, sorprese in un lento risveglio dal loro letargo, i batuffoli di cotone profumato pronti a schiudersi, e un alone di colore che già andava a rallegrare il verde uniforme. E poi, ancora, i primi fiorellini, ansiosi di tornare alla ricchezza dei colori primaverili. Ogni passo, un incanto di bellezza semplice, familiare, tra odore di legno bruciato dalle stufe e la distesa del mare, quello del Golfo di Imperia e poco dopo quello dell’altro versante, che da Diano spazia fino al promontorio affacciato sull’azzurro di Cervo, con la sua inconfondibile chiesa.

Gorleri è un posto piccolo piccolo, una tappa sulla strada che scollina, posto di giochi in strada, di epici cimiteri, fermate di autobus nel niente, di una chiesa dove ogni volta una gattina mi accoglie miagolando e strusciandosi sulle mie caviglie. Il posto dove fare pace con i rigori dell’inverno e con la propria città, spesso scomoda e troppo piccola e, respirando a pieni polmoni, decidere di percorrere una strada dove a ogni angolo lasciarsi stupire da una quotidiana meraviglia.

Sono scesa da Gorleri passando attraverso una mulattiera, la salita “degli Spesci”, che si snoda tra curve e pendii più o meno dolci e ricongiunge la collina alla via di casa mia. Era deserta, ed era l’ora del tramonto. Un tramonto di gennaio, che a dispetto dei falò rosso-fucsia che solo dicembre sa regalare, si affresca tra cielo e mare con toni pastello, quasi perlacei. La mia città si stagliava nitida su quello sfondo, lì dietro saltava all’occhio la bizzarra architettura di Villa Grock, il verde dei giardini tutt’intorno prendeva vita, e i miei polmoni facevano incetta di aria nuova, aria pulita.

Autore

Sono una giornalista, mi occupo di uffici stampa per la cultura e l'ambiente, di comunicazione e social media. Ho un dottorato in semiotica: va da sé che ho una spiccata curiosità per tutto ciò che ha a che fare con i testi e i loro meccanismi. Amo il mare, leggo tantissimo e adoro scrivere: A contrainte è il mio sito, ci trovate recensioni di libri e racconti di quel che mi circonda!